Sardinia divisa est in partes duas, di Salvatore Cubeddu.

L’EDITORIALE DELLA DOMENICA.

Nicola Sanna, sindaco di Sassari.

Il primo messaggio politico del nuovo anno l’ha lanciato il sindaco di Sassari ed è una chiamata alle armi di tutto il Nord Sardegna contro la riforma degli enti locali successiva all’abolizione delle province: «Non pensino di tirar fuori una riformetta dove, alla fine della corsa, rimangono in piedi Regione, Comuni più o meno uniti e l’Area metropolitana di Cagliari. Non se ne parla proprio». Nel corso di questa settimana ha promosso ad Oschiri la riunione di una quarantina di sindaci del Sassarese e della Gallura per preparare la loro partecipazione all’assemblea generale dei sindaci sardi che si terrrà domani.

Nicola Sanna si presenta come un sanguigno sindaco ‘meridionale’ distante anni luce dai modi e dal tono normalmente espressi dal contesto intellettual/chic della sinistra turritana. La sua passione per trasformare la Nurra in un immenso campo di cardi al servizio dell’Eni è una delle non molte cose che sembrano avvicinarlo alla classe dirigente sassarese. Ma, nonostante questo, riuscirà a toccare le corde profonde della ‘sassaresità’, quelle capaci di fargli assumere la statura del leader nella tradizionale e storica competizione – e frequente contrapposizione – con Cagliari.

Sardinia divisa est in partes duas, avrebbe potuto scrivere Giulio Cesare, se avesse dovuto parlare della guerra da lui non combattuta, il ‘de bello sardico’. Raramente viene richiamato, ma la nostra Isola deve al suo passaggio (16 – 28 aprile 46 a. C.) sia il riconoscimento di municipium al collaborazionismo dei cagliaritani (che prevalsero così sui filo-pompeiani di Nora e di Sulcis) e sia la fondazione della colonia di Turris Libisonis tramite l’insediamento di proletari provenienti da Roma e dalla penisola. Cagliari deve a Giulio Cesare il suo ruolo di capitale. Turris – Sassari: la sua esistenza come città. La Sardegna come la Gallia, dunque.

Ma è pure vero che la divisione, per i Romani, restò a lungo quella tra la Romània e la Barbagia, che troveremo risolta solo in epoca giudicale. Come è indubbio che, dopo i sei secoli di Giudicati, gli stranieri governarono la Sardegna confermando sempre sia la presenza di due governatori, a Cagliari (più il vicerè) e Sassari, e sia la difesa degli interessi forestieri attraverso casteddos lungo la costa (Casteddu di Cagliari, di Alghero, Castel Aragonese, di Bosa). Avere la capitale a Cagliari avrebbe permesso – tra le altre opportunità – anche una più facile via di fuga che non da qualsiasi altro posto. Nel tempo, solo Oristano è rimasta costantemente una città sarda (mentre l’Iglesias pisana conteneva un interesse solo per la fase di estrazione dei metalli).

L’ANCI ed il suo presidente Scano hanno ragione quando invitano a leggere le motivazioni storico-geografiche allorchè si va a decidere ‘la madre di tutte le riforme’. Sono soprattutto i termini della memoria a permetterci di considerare in modo nuovo la riunificazione fattiva dei rapporti e degli interessi tra i comuni e tra le città della Sardegna. E quindi la riassegnazione alle città di Nuoro e di Oristano di funzioni urbane faticosamente costruite e ricostruite lungo il secolo scorso. Conseguentemente, l’assegnazione ad Olbia del destino di città da rifondare, non solo nell’urbanistica ma anche nel compito di moderno capoluogo della Gallura, che vada oltre quello di servile appendice di una Costa Smeralda ormai in caduta di luminosità.

Non è un male, quindi, il fatto che da Sassari si rimetta in discussione l’immotivata tendenza a concentrare su Cagliari le funzioni e le rappresentanze del popolo sardo. Purtroppo, per Nicola Sanna (e non solo), alla Regione ora comandano soprattutto i sassaresi. Che amano tanto – quando non ce l’hanno con i cagliaritani – essere con/appartenere/obbedire ai … romani. Antico vezzo, non solo loro.

Non vi è dubbio, però, che nei prossimi giorni l’alzata del pennone di guerra in partenza da Sassari troverà orecchie attente nei ceti urbani delle città in allarme contro la ‘Cagliari-piglia-tutto’. Potrebbe finalmente arrivare a maturazione un  dibattito, non subalterno al centralismo cagliaritano, sui destini dei nostri paesi e delle città, che suppongono e domandano un’idea generale della Sardegna, dei prossimi decenni e più. Ne abbiamo scritto anche noi da poco. Era la riforma che si chiedeva, restando comunque e ancora indispensabile, venisse solennemente istituzionalizzata nel nuovo statuto della Sardegna. Purtroppo, invece di essere fatta propria nella sede istituzionale ad esso deputata (consiglio regionale e/o assemblea costituente), passerà direttamente tramite il conflitto tra le istituzioni.

Eravamo in pochi a temerlo. Potremmo trovarci tutti in situazioni poco piacevoli. Ma i problemi veri, quando ci sono, emergono comunque.

Cagliari, 18 gennaio 2015

 

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