Il Gesù della storia, di Daniel Marguerat

Sommario: 1. Ricostruire la biografia di Gesù: un compito possibile? 2. Le fonti documentarie (le fonti romane, le fonti ebraiche, il Nuovo Testamento, la letteratura cristiana extra-canonica). 3 Possibilità di una ricostruzione storica. 4. Il quadro storico e geografico della vita di Gesù. 5. Nascita e morte di Gesù: la datazione.


I. RICOSTRUIRE LA BIOGRAFIA DI GESU’: UN COMPITO POSSIBILE?

Si definisce «ricerca del Gesù della storia» lo sforzo storico di ricostruire la vita di Gesù su basi documentarie verificate. La definizione «Gesù della sto­ria» (o Gesù storico) si applica alla ricostruzione della vita di Gesù sulla base di dati storici «neutri»; la neutralità designa qui l’assenza di deformazioni do­vute alla soggettività dei testimoni (la loro fede o la loro ostilità) nella rico­struzione dei fatti. Questa ricerca, il cui iniziatore è individuato nella persona di Hermann Samuel Reimarus (1694-1768), si prefigge di raccogliere la docu­mentazione antica a disposizione su Gesù e di procedere al suo esame criti­co.

Si tratta infatti di verificare, all’inizio, 1!1 fattibilità dell’obiettivo: ricostruire la vita di Gesù è un’impresa possibile? La risposta, si vedrà, non è immediata­mente, né incondizionatamente, positiva. Bisogna chiarire due premesse me­todologìche. In primo luogo: la documentazione di cui disponiamo è suffi­cientemente vasta e affidabile da consentirci di ricostruire la biografia di Ge­sù? In secondo luogo: disponiamo dei necessari elementi critici per giudicare la credibilità delle fonti? Affronteremo di seguito queste due domande.

 

2. LE FONTI DOCUMENTARIE

Noi non disponiamo di un accesso immediato al pensiero di Gesù; non ci è pervenuto nessun documento di sua mano, né che gli potrebbe essere attri­buito. La mediazione delle testimonianze storiche offre dunque un accesso indiretto costituito da quattro tipi di fonti documentarie, a seconda che pro­vengano dalla storiografia romana, dalla letteratura ebraica, dal Nuovo Te­stamento o dalla letteratura cristiana extra-canonica.

 

Le fonti romane

Diciamo subito che il risultato della ricerca documentaria è qui deludente. «Dal punto di vista di uno storico romano, Gesù di Nazaret e i suoi seguaci non avevano alcuna importanza» 3. In compenso la fede dei primi cristiani è segnalata, qua e là, per i disordini che provoca.

All’inizio del II secolo, verso il 116~117, nei suoi Annales (15, 44) Tacito ricor­da l’incendio di Roma. Nei confronti dei cristiani Tacito è ambiguo. Da una parte, condivide l’odio che il popolo consacra a coloro che sono animati da «odio verso il genere umano» (odium generis umani: 15, 44, 4). Dall’altra, condanna il modo in cui Nerone aveva cercato di discolparsi dal sospetto di aver egli stesso ordinato l’incendio indicando alla vendetta popolare «coloro che, odiati per le loro nefande azioni, il volgo chiamava Cristiani. Il nome de­rivava da Cristo, il quale, sotto il principato di Tiberio, era stato condannato al supplizio dal procuratore Ponzlo Pilato Il (15, 44, 5). Interessante ~ ql menzione del supplicium Inl1itto da Pilato” a Chrtstus.

Verso Il Il J, Plinio Il Giovane parla della venerazione dei cristiani di Bit per Christus (Lettera 96 all’imperatore Traiano”), Questo nome compare c anni più tardi in Svetonio, il quale giustifica l’espulsione degli Ebrei da Rl sotto il regno di Claudio: «Siccome gli Ebrei si ribellavano continuamente istigazione di un certo Chrestos, egli li cacciò da Roma» (Vita di ClaudiCJ 4). Chrestos deve essere qui una variante ortografica per Christus, che Sv nio prende evidentemente per un agitatore ebreo; l’indicazione è preziosa chiarire il conflitto tra ebrei e giudeo-cristiani a Roma prima dell’anno ma non fornisce nessuna informazione su Gesù di Nazaret.

Più esplicita è la testimonianza del retore Luciano di Samosata che nel su bello De morte Peregrini (verso il 169-170) parla di «questo grande uomo c stato impalato” in Palestina per avere introdotto nel mondo una celebrazione religiosa nuova» (1l). Parla anche di Gesù come di un «sofìsta» le cui «lei i cristiani del suo tempo seguono ancora (13).

Magro bilancio, dunque. E tuttavia, per frammentarie che siano, queste il cazioni collocano il personaggio nella storia collegandolo a Tiberio e a PU menzionando il suo supplizio e facendo della sua morte una questione I vante per la giurisdizione romana. Si noti anche che in nessun momento storiografia romana esprime dubbi sull’esistenza di Gesù.

 

Le fonti ebraiche

 

La Misnà, ovvero la raccolta dell’insegnamento dei sapienti d’Israele per i mi due secoli dell’era cristiana, non contiene alcuna menzione di GesCl produzioni posteriori (Talmud di Gerusalemme e Talmud di Babilonia) l sentano alcune notazioni polemiche contro il Nazareno, essenzialmente tate a mettere in dubbio l’affermazione della nascita verginale? Un paslo trattato Sanhedrin nel Talmud di Babilonia merita una menzione “peci Parla di Yesù che «fu impiccato la sera della vigilia di Pasqua. Quaranta I. ni prima, un araldo aveva proclamato: “Egli sarà condotto alla lapldazlc perché ~a praticato la magia, ha sedotto e respinto Israele. Chiunque vo deporre m suo favore, venga e produca la sua testimonianza!”. Siccome m fu addotto a sua discolpa, fu impiccato la sera della vigilia di Pasqua» (bS. la”). Vanno notate da una parte l’accusa di magia, che attribuisce a Gesù nche se se ne contesta l’origine) un’attività miracolosa; dall’altra la decisi o­~ di far morire Gesù attribuita a Israele.

Nel complesso, il silenzio dei rabbini su Gesù si spiega con il conflitto, ben presto virulento, tra ebrei e cristiani; l’ebraismo non aveva alcun interesse a esprimersi sull’eroe di una religione concorrente e peraltro la pressione crist­iana non ha fatto altro che rafforzare la censura ebraica.

è tanto più incuriositi dallo scoprire sotto la penna dello storico ebreo Giu­ppe Flavio due menzioni del Nazareno che non hanno nulla di polemico. mo tratte dalla sua opera Antichità giudaiche, pubblicata nel 93-94. La pri­a è succinta: presenta Giacomo come «fratello di Gesù chiamato il Cristo» O, 200). Non c’è motivo di pensare qui a una interpolazione di un copista cristiano, perché la distanza che implica l’espressione «chiamato il Cristo» m gli si confarebbe; a meno che non si tratti di un falso molto abile!

altra menzione, chiamata Testimonium Flavianum, è sicuramente il frutto una glossa. Eusebio di Cesarea nel IV secolo la conosce già”, ma l’autentici­tà di questo ritratto di Gesù viene fortemente dibattuta a partire dal XVI secolo­; l’ipotesi dell’interpolazione cristiana di un testo originale di Giuseppe è ttavia più probante di quella di un falso.  Questo brano testimonia l’intere­sse risvegliato dalla persona di Gesù nello storico ebreo.

Verso lo stesso tempo visse Gesù, uomo saggio, se pure bisogna chiamarlo un uomo, perché faceva miracoli ed era il maestro degli uomini che ricevono con gioia la verità. Egli attirò a sé molti Ebrei e molti Greci. Era il Cristo. E quando, su accusa dei nostri capi, Pilato lo fece condannare alla crocifissione, coloro che l’a­vevano dapprima amato non cessarono di farlo, perché apparve loro tre giorni dopo essere risorto, mentre i profeti divini avevano annunciato questa e mille meraviglie a suo riguardo. E il gruppo, chiamato “cristiani” a motivo di lui, non è ancora scom­parso (Antichità giudaiche, 18,63-6411).

Abbiamo riportato in corsivo le formulazioni per le quali è verosimile un’inte­rpolazione dovuta a copisti cristiani dell’Antichità; spogliato da queste aggi­unte, il testo corrisponde quasi esattamente alla versione del Testimonium flavianum come ci è stata trasmessa dal vescovo arabo Agapio di Ierapoli .lla sua Storia cristiana universale (X secolo 12). L’interesse di questo testo è considerevole, poiché conferma, con più precisione rispetto agli storici romani­, molti dati biografici essenziali: il legame con Pilato, la natura della con­mna, l’attività taumaturgica, l’insegnamento, la raccolta di seguaci attorno Gestù nonché il ruolo giocato nella sua condanna dai notabili ebrei.

Il Nuovo Testamento

 

Per quanto riguarda li Nuovo Testamento la prima testlmonlanza in ordine cronologico è fornita dall’apostolo Paolo. ~ noto però che la corrtspondenza redatta dall’apostolo tra il SO c il S8 contiene ben pochi riferimenti alla vita di Gesù, tranne la sua morte in croce e la sua risurrezione. Qui e là si paliano spigolare solo frammenti: l’ebraìcità di Gesù (Galati 4,4; Romani 9,5), la sua appartenenza al ceppo di Davide (Romani 1,3), il fatto che fu tradito di notte (1 Corinzi 11,23) e che i Giudei hanno una responsabilità In questa morte (I Tessalonicesi 2,IS). Paolo comunque menziona a quattro riprese una .parola del Signore», ma la formulazione non coincide esattamente con nessun detto conosciuto dei vangeli (lCorinzi 7,10; 9,14; l Tessalonìcesl 4,16·17; Romani 14,14)13. D’altra parte, Paolo sembra conoscere alcune primitive raccolte di detti di Gesù, che utilizza (talvolta senza citarle) nella sua argomentazione. ~ in questo modo che si individua in lui la struttura fondamentale dell’etica di Gesù, un’etica dell’amore (Galati S,14 è l’equivalente di Marco 12,29·31); si l’i· trova anche l’idea di una coerenza essenziale tra la vita e la morte di Gesù (2 Corinzi 8,9; Galati 1,3; Romani 2,24-2S). Nel complesso, il contributo docu­mentario è modesto. L’evidenza con la quale l’apostolo parla di Gesù implica il fatto che le comunità da lui create avevano accesso a una tradizione al l’i. guardo; vent’anni dopo la morte di Gesù questa tradizione (orale?) riportava gli avvenimenti: ma Paolo non ritiene utile accennarne.

La seconda fonte è una raccolta di detti di Gesù, la Fonte dei logia (chiamata anche fonte Q). Questo documento, oggi perduto, è postulato dalla maggioranza degli esegeti come retroterra dei vangeli di Matteo e di Luca. Ha raccol­to tra gli anni SO e 60, in Palestina, una serie di detti che Gesù enuncia in qua. lità di maestro di sapienza sotto l’orizzonte del Regno di Dio. La maggior par. te del discorso della montagna (Matteo 5-7; Luca 6,20-49) proviene da questa raccolta di detti 14.

Un terzo gruppo è costituito dai tre vangeli più antichi, chiamati sinottici. Il vangelo di Marco (redatto verso il 65) integra per la prima volta l’insegna. mento di Gesù nel racconto della sua vita. Anche Marco eredita dati più anti­chi: ha raccolto i racconti di miracoli, le parabole o i detti che erano stati riu­niti prima di lui, talvolta già messi per iscritto; in particolare ha ereditato un ciclo narrativo della passione, fissato fin dagli anni 40 all’interno della Chiesa di Gerusalemme in vista della commemorazione della morte di Gesù, e che costituisce la trama dei capitoli 14 e 15 del suo vangelo 15. Secondo la tradizio. ne egli avrebbe raccolto la testimonianza diretta di Pietro. Vengono poi i vano geli di Matteo e Luca, che hanno conosciuto il vangelo di Marco e integrato la fonte dei logia; si è collocata la loro fissazione letteraria tra il 70 e 1’85.

Quarta fonte: il vangelo di Giovanni, un’opera posteriore; con esitazione se ne Issa la redazione prima dell’anno 90. Il confronto tra i tre vangeli più antichi la fatto concludere che questa impressionante interpretazione della tradizione di Gesù conteneva poche informazioni storiche affidabili; oggi si constata che su parecchi punti essa ci offre dati preziosi (per esempio, la durata del ministero di Gesù e la data della sua morte).

 

La letteratura cristiana extra-canonica

 

 

Sotto questa definizione si raggruppa una massa di scritti scaglionati tra il II ~ il VI secolo, il cui punto in comune è di non essere stati conservati dalla Chiesa nel momento in cui quest’ultima chiuse il canone delle sue scritturenormative. Simili documenti, chiamati anche «apocrifi», ci sono pervenuti sotto forma di frammenti e di scritti integrali: vangeli, atti degli apostoli, apo­calissi o libri di insegnamento. Tra i frammenti: il Papiro d’Ossirinco 840 che riferisce di una visita di Gesù e dei suoi discepoli al Tempio), il Papiro l’Ossirinco 1224 (una controversia e qualche detto), il Papiro Egerton 2 (qualche controversia e la guarigione di un lebbroso) e alcune citazioni conservate lai Padri della Chiesa di un Vangelo dei nazarei, di un Vangelo degli ebioniti e li un Vangelo degli ebrei. Tutti questi testi sono fortemente contrassegnati dall’inasprimento del conflitto tra Chiesa e Sinagoga dopo la seconda guerra giudaica del 135.                                                                               .

l Vangelo di Pietro (redatto tra il 100 e il 150) e il Vangelo di Tommaso (verso l 170) sono nettamente più coerenti. Del primo possediamo un lungo fram­nento che racconta la crocifissione e la risurrezione di Gesù. Il secondo, di origine copta, ha riunito una serie di detti di Gesù commentati in senso spirit­ualizzante. Menzioniamo anche il Protovangelo di Giacomo (l 50-200), che riferisce l’infanzia di Maria e la nascita di Gesù facendo largamente ricorso alla finzione teologica. Di questi tre scritti, il Vangelo di Tommaso è certamnente il più fruttuoso per la ricerca del Gesù della storia. Sebbene un grande iumero di detti rechi l’impronta di una tarda riformulazione spiritualizzan­te, alcuni presentano una fattura vicina alle parole veicolate dai vangeli sinott­ici. Per esempio: «Colui che è vicino a me è vicino al fuoco, e Colui che è lon­tano da me è lontano dal Regno» (logion 82; cfr. Luca 12,49) o «Gesù ha det­o: “Un profeta non è accolto nel suo villaggio. Un medico non cura coloro che lo conoscono”» (logion 31; cfr. Luca 4,24). Non è proibito pensare che al­:uni detti di Gesù siano stati conservati dal Vangelo di Tommaso, mentre i vangeli sinottici li hanno riformulati o ignorati. La questione se il Vangelo di Tommaso rappresenta un filone autonomo contrapposto al vangeli sinottici e di Giovanni, oppure, al contrario, se dipende letterariamente da uno di essi, è un punto assai dibattuto; per quanto mi riguarda, ritengo che la decisione debba avvenire caso per caso; nell’insieme, però, questo testo offre piuttosto a fisionomia di una reinterpretazione, nel II secolo, della tradizione da cui sono usciti precedentemente i vangeli sinottici “.

 

3. Possibilità di una ricostruzione storica.

Il bilancio di questo Inventario delle fonti documentarie può essere riassunte in alcune constatazioni.

La prima constatazione che si impone è che per quanto concerne il Gesù del, la storia abbiamo a nostra disposizione un’abbondanza di informazioni seno za pari. Questa ricchezza si segnala tanto per la diversità di origine (lettere d:

Paolo, vangeli, scritti ebraici) quanto per la precocità dell’informazione (Unii ventina d’anni separa la morte di Gesù dalla più antica lettera di Paolo). Nes. sun personaggio dell’Antichità beneficia di una attestazione documentarie quantitativamente e qualitativamente così ricca. Ma questa constatazione rì­chiede ben presto di essere sfumata: eccetto il Testimonium Flavianum e i ri. ferimenti sporadici degli storici dell’Impero, la parte preponderante delle fonti appartiene alla letteratura cristiana. Ora, quest’ultima è immediata. mente ~sposta al sospetto di essere soggettiva e tendenzialmente agiografica. tanto pIÙ che non rappresenta una documentazione di prima mano: nessuno scritto a nostra disposizione, perlomeno nelle versioni che ci sono pervenute è attribuibile a un testimone oculare. . ,

L’esame delle fonti cristiane conferma l’imbarazzo dello storico. Esse non equivalgono a un resoconto neutro, poiché la loro comprensione della storia è governata da una confessione di fede. Non hanno alcuna ambizione di rico­struire l’esattezza documentaria rivendicata dallo storico moderno. In ciò, di. ciamolo, non differiscono dalle biografie e dalle monografie storiche dell’Antichità; certo, gli storici antichi si attengono a un’etica della precisione e della verifica dei fatti, ma scrivono anche per difendere una posizione, per illustrare un punto di vista, cosa che li induce a selezionare, a interpretare, a destreg­gìarsi con l dati che raccolgono.”. La neutralità non e una preoccupazione della storiografia antica, sia essa greca, ebraica o romana.

Nel caso dei vangeli si deve aggiungere la difficoltà supplementare che il loro interesse per la storia di Gesù non ha nulla di archeologico; essi conservano i gesti e le parole che hanno un senso per la rispettiva comunità. Così, i miracoli di guarigione sono riferiti nella misura in cui attestano la potenza di Dio che agisce in Gesù, ma anche per il fatto che questa potenza risorge nel contesto della Chiesa. Le parole di Gesù sono conservate perché viene loro riconosciuta autorità, ma esse evolvono in un processo di adattamento alla situazione di co. loro che le ricevono. Insomma, le fonti cristiane fanno memoria della storia passata di Gesù e dei suoi discepoli in virtù della potenzialità che questa storia ha di regolare la vita dei credenti. Nella sua ricerca del Gesù della storia lo sto. rico moderno sottopone dunque i vangeli a un’indagine di tipo docum~ntario che non coincide con la prospettiva di edificazione teologica che li anima. ‘ Insistiamo. Sarebbe falso dedurre che la Chiesa antica si ricordasse con di­sinvoltura dei fatti e dei gesti del Nazareno. Essa era invece convinta che il Si. gnore della Chiesa non poteva essere conosciuto al di fuori della vita dell’uo­mo di Nazaret. Ma proprio perché della storia interessa soltanto la sua di. m.en~ione f~ndativa ~ non il suo él;spett? fattuale, il rapporto che i primi cristìanì allacciano con Il passato è dialettico: una preoccupazione di fedeltà alla storia coabita con una libertà interpretativa quando si tratta di spiegare il suo significato nel presente.

 

Quest’ultima constatazione porta a mettere in dubbio il quadro attributto dal vangeli ai fatti e ai gesti di Gesù, che la Scuola della forma letteraria (pur sen­za convincere sempre) ha mostrato derivare nella maggior parte dei casi dal­l’attività creativa degli evangelisti. Le circostanze degli incontri di Gesù han­no sollecitato meno la memoria che la parola pronunciata dal maestro in questa occasione. Si tratta di consultare altre fonti contemporanee se si vuole supplire alle lacune informative dei vangeli relativamente al contesto sociale, culturale, economico e religioso del paese di Gesù. Questa incertezza sulla lo­calizzazione degli episodi narrativi dei vangeli ha una pericolosa conseguen­za: ci toglie ogni possibilità di ricostruire oggi lo scenario biografico di Gesù di Nazaret. Nulla può, con sufficiente garanzia, situare nello spazio e nel tem­po la maggior parte dei detti e dei gesti attribuiti a Gesù. Qualche riferimento sicuro rimane: il battesimo di Gesù alla vigilia del suo ministero pubblico; la sua attività svolta essenzialmente in Galilea 19; un’intensa pratica della guari­gione; un crescente conflitto con le autorità religiose di Israele; un ultimo pe­riodo a Gerusalemme contrassegnato dallo scoppio della crisi; la sua esecu­zione decisa dai Romani su denuncia ebraica. Fuori da questi indizi, colloca­re cronologicamente e geograficamente i materiali della tradizione di Gesù appartiene al campo dell’ipotesi azzardata.

Una simile situazione rende ancor più acuta la necessità di verificare l’affida­bilità dei documenti.

 

 

4. Il quadro storico e geografico della vita di Gesù.

Tre domande guideranno la nostra riflessione in questo capitolo. Cosa si sa della situazione politica della Palestina” nel I secolo? Con quale grado di pre­cisione si può datare la biografia di Gesù? Si conosce la storia sociale dei luo­ghi frequentati da Gesù?

 

1. LA SITUAZIONE POLITICA DELLA PALESTINA NEL I SECOLO

 

L’evangelista Luca, che si sofferma a sottolineare le sincronie tra la storia che racconta e la storia dell’impero romano, fornisce una datazione precisa della vocazione profetica di Giovanni detto il Battista: «Nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Itu­rea e della Traconitide, e Lisania tetrarca dell’Abilene, sotto i sommi sacerdo­ti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel de­serto» (Luca 3,1-2). La precisione dell’informazione cronologica, si noti, non guasterebbe il testo di un cronista dell’Impero. Così, nell’anno 28 (eventual­mente 29), che corrisponde al quindicesimo anno del regno di Tiberio, la Pa­lestina è divisa in parecchi territori con uno statuto disuguale. Tale disugua­glianza tradisce in realtà una massiccia presenza di Roma.

 

Il dominio dei Romani sulla regione data dall’intervento delle legioni di Pom­peo nel 63 a.C.24. Da allora la storia della Palestina è interamente dominata, in modo diretto o indiretto, dall’autorità romana. Pompeo poneva fine al po­tere della dinastia degli Asmonei, la cui ribellione guidata da Giuda Macca­beo (166-160) aveva cacciato il re seleucide Antioco IV Epifane; la molla che fece scattare !’insurrezione fu la politica di forzata ellenizzazione del paese, per effetto della quale il re seleucide si era attirato l’odio del popolo. Gli Asmonei hanno condotto una strategia di espansione e di conquista, i cui successi più significativi furono la riconquista della Samaria e dell’Idumea da parte di Giovanni Ircano (134-104) e della Galilea da parte di Aristobulo I (105-104). Le dispute dinastiche che ne seguirono indussero i Romani a sta­bilizzare la regione mediante la spedizione militare di Pompeo.

 

Per assicurarsi il controllo su un territorio, Roma disponeva di tre formule istituzionali. Le province pacificate erano senatorie, poste sotto l’autorità di un proconsole che rispondeva della propria gestione davanti al Senato. Più diretta era la dipendenza delle province imperiali, governate da un legato dell’Imperatore coadiuvato da capi militari e da procuratori: era il caso della provincia di Siria (capitale: Damasco), Le province imperiali più agitate ricevevano il rango di procuratorie, amministrate non da un senatore, ma da un esponente dell’ordine equestre. Quando la Giudea l’h quest’ultimo statuto, il suo procuratore assunse il titolo di prefetto, come testimonia un’iscrizione scoperta a Cesarea Marittima”. Il governatore d comandava le legioni stanziate sul suo territorio, mentre il prefetto della Giudea disponeva solo di truppe ausiliarie; doveva dunque fare appello al suo vicino allorché l’ordine romano si trovava minacciato,

 

La terza formula consisteva nell’affidare la gestione politica a un re alleato. Questi sovrani, eredi della tradizione delle monarchie ellenistiche, erano vassalli di Roma e raccoglievano le imposte per l’Impero. L’amministrazione del  territorio era lasciata alla loro iniziativa, ma l’autonomia interna di questo regno basato sulla clientela era limitata a ciò che consentiva una fedeltà indefettlbìle a Roma,

 

Roma cominciò con l’affidare l’insieme della Palestina a Erode il Grande che aveva saputo contrarre a tempo debito le alleanze favorevoli alla corte rom ana al tempo  del conflitto tra Marco Antonio e Ottaviano. Nel 40 a.C, ricevette il titololo di «re della Giudea» a patto di conquistare militarmente il suo regno, che gli riuscì nel 37 con la presa di Gerusalemme e la deposizione di Antigono. Il suo regno durò sino al 4 a.C. Fu lungo, fastoso, ricco di grandiose costruzioni (porto di Cesarea, Tempio di Gerusalemme, fortezze di Macheronte e di Masada), ma fu anche disseminato dai capricci politici di un re patologicamcnte turbato dalle possibili rivalità contro il suo potere, cosa che spiega la traccia negativa che lasciò nella memoria ebraica”.

 

La sua successione non avvenne senza problemi. Augusto ratificò il suo testamento, che spartiva il regno fra tre dei suoi figli, ma rifiutando ad Archelao il titolo di re. Costui ricevette con il titolo di etnarca l’autorità sulla Giudea, la Samaria e l’Idumea. Erode Antipa divenne tetrarca della Galilea e della Perea. Filippo amministrò i territori essenzialmente non giudaici del nord – est (Batanea, Gaulanitide, Traconidite e Auranitide).

 

Nel 6 d. C. !’imperatore Augusto depose Archelao per incompetenza e lo esiliò a Vienne in Gallia. La Giudea e la Samaria divennero allora provincia senatoria, il cui prefetto risiedeva a Cesarea Marittima. È in occasione di questo cambiamento di fisionomia che Quirino giunse dalla Siria per procedere, con l’aiuto del procuratore della Giudea Coponio, al censimento degli abitanti della nuova provincia (Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, 18, 1; cfr. Luca 2,1-2). Erode Antipa governò fino al 39, prima di essere esiliato dall’impera­tore Caligola a Lione. Il suo territorio fu donato al re Agrippa I, nipote di Ero­de il Grande, che riportò sotto controllo romano il regno di suo nonno e lo amministrò dal 41 al 44.

 

Così, durante la giovinezza e l’attività pubblica di Gesù, la Galilea e la Giudea conobbero due regimi diversi. La prima fa parte di un regno alleato, con un’amministrazione ebraica sotto tutela romana; la seconda vide un regime di occupazione assicurato da un prefetto agli ordini dell’imperatore, mentre l’autorità del Sinedrio e del sommo sacerdote si limitava alle materie religio­se.?. Una simile dominazione straniera sul paese d’Israele, direttamente o per mezzo di re alleati, generò dei movimenti di protesta popolare di cui riparle­remo.

 

5. NASCITA E MORTE DI GESÙ: LA DATAZIONE

 

Datare con precisione la nascita di Gesù è impresa che supera la documenta­zione in nostro possesso. La nostra unica informazione proviene dai vangeli, che sovrappongono a questo avvenimento due dati tra loro incompatibili: il regno del re Erode (Matteo 2,1) e l’editto di censimento di Quirinio governa­tore di Siria (Luca 2,1-2). Ora, Erode è morto nel 4; Quirinio procede al censi­mento della Giudea in quanto legatus Augusti pro praetore, ma non prima del­la deposizione di Archelao nell’anno 630. Sembra certo che Luca confonda due periodi molto vicini per via dell’agitazione messianica popolare di cui sono stati teatro (ci ritorneremo): la morte di Erode il Grande e la destituzio­ne di Archelao.

 

Altro riferimento cronologico: l’anno quindicesimo di Tiberio per la vocazio­ne profetica di Giovanni Battista (Luca 3,1). Ora, sempre secondo Luca, «Ge­sù quando cominciò il suo ministero aveva circa trent’anni» (3,23), e questo inizio dell’attività pubblica è successivo all’incontro di Gesù con il Battista. Anche se questo dato non è al di sopra di ogni sospett03!, esso sposta la nasci­ta di Gesù a prima dell’inizio dell’era cristiana. La forte associazione che la tradizione opera con Erode il Grande induce a privilegiare il periodo degli ul­timi anni di regno di questo re, diciamo tra il 7 e il 4. Più precisi non si può es­sere. È giocoforza riconoscere che nel VI secolo Dionigi il Piccolo si è sbaglia­to nello stabilire il computo cristìano “.

Il luogo di nascita attribuito a Gesù dai vangeli è Betlemme, la «città di Davide (Luca 2,11), Può darsi che questa località sia stata dettata dal ricordo di un oracolo di Michea, il quale preannunciava che in questo luogo sarebbe nato il Messia figlio di Davide (Michea 5,1 citato in Matteo 2,5), In questo caso, il figlio di Giuseppe sarebbe nato a Nazaret dove la tradizione colloca la sua infanzia, Non è certo però che la scelta di Betlemme sia solo teologica; lo storico del IV secolo Eusebio di Cesarea cita il caso di pronipoti di Gesù chiamati a comparire davanti all’imperatore Domiziano, e che erano stati denun­ciati in quanto «appartenenti alla stirpe di Davide». L’affiliazione della fa­mlglia di Gesù alla linea davidica potrebbe certo essere autentica, dal mo­mento che la tradizione (soprattutto con Matteo) si era impadronita di questa genealogia per farla parlare teologicamente a partire da Michea 5,1. Si può dunque lasciare aperta la questione del luogo di nascita. Altra questione aper­ta: Gesù aveva dei fratelli e delle sorelle «secondo la carne»? La menzione di Euseblo corrobora un dato sul quale tutti gli evangelisti e l’apostolo Paolo sono unanimi: Gesù nasce in una famiglia in cui ha fratelli e sorelle”: gli uo­mini chiamati a comparire davanti a Domiziano sono infatti presentati come i nipoti di Giuda, fratello di Gesù «secondo la carne». Siccome il senso dei termini che designano la parentela hanno nella Bibbia un’accezione allarga­ta, si può anche pensare a una cuginanza.

Se i vangeli concordano nel collocare la morte violenta di Gesù a Gerusalem­me in prossimìtà della Pasqua ebraica, non si ritrovano invece sul giorno della morte. Marco (15,42) la situa in un venerdì in cui veniva celebrata la festa di Pasqua, cioè il 15 del mese di nisan. Giovanni (19,14) opta per il pomeriggio del 14 nisan, la vigilia di Pasqua. La cronologia di Giovanni ha dalla sua la verosimiglianza storica: una condanna di Gesù e la sua esecuzione nel giorno di Pasqua sono difficilmente ipotizzabili. Su queste basi l’astronomia fornisce due date possibili: il 14 nisan coincideva con un venerdì, il 7 aprile dell’anno 30 o il 3 aprile dell’anno 33. Se si considera che Gesù è vissuto una trentina d’anni fino all’inizio della sua attività pubblica (Luca 3,23), a cui si tratta di aggiungere da due a tre anni di ministero “, la data del 7 aprile del­l’anno 30 si presenta come la più credibile.

 

 

Daniel Marguerat Gesù di Nazareth, Storia del Cristianesimo, Borla – Città Nuova, 2003,  pag. 26 – 37

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