La grande famiglia del sardo-azionismo repubblicano. Ricordo di Giuseppe Serri storico “glocalista” e sardo gentiluomo, di Gianfranco Murtas

 

Sono scomparsi di recente, a Cagliari, due uomini di scuola ai quali sono stato legato, in modo diverso, ma con un comune tratto di ammirazione, anzi di venerazione per il vigore intellettuale messo al servizio della missione educativa e scolastica… professori d’una volta! Dico di Francesco Floris e Giuseppe Serri. Ad accomunare queste due eccellenti personalità del nostro ambiente culturale è stato anche, purtroppo, il tratto finale della loro vita, segnato dalla malattia: drammaticamente prolungato quello del professor Floris, più breve ma venuto nel contesto emotivo del dolore per la perdita della moglie – la professoressa Marcella Mocci, altra splendida creatura e bella intelligenza donatasi all’insegnamento e, più avanti negli anni, anche alla originalissima ricerca della scrittura femminile in Sardegna – quella del professor Serri.

Scriverò del caro professor Floris in altra occasione. Qui vorrei adesso brevemente riferirmi a Giuseppe Serri, per introdurre un suo testo, inedito di fatto (perché da me stampato per distribuzione soltanto… catacombale).

Figlio di un maresciallo dei carabinieri, egli nacque a Nule, tappa provvisoria del servizio paterno nell’Arma, ma le origini dei Serri erano radicate nella terra stessa di Lussu, nel Gerrei, a San Nicolò precisamente. La morte prematura del genitore e vicende familiari lo portarono ancora bambino, insieme con la madre e i tre fratelli, nel capoluogo dove frequentò le scuole medie e superiori e quindi l’università, laureandosi in giurisprudenza. Docente di storia e filosofia nei licei statali, conobbe la trafila, propria degli insegnanti, del cumulo paziente dei punteggi in vista dell’avvicinamento alla sede preferita, ovviamente quella di Cagliari.

Passato alla docenza universitaria, nel corso di pedagogia della facoltà di Magistero come titolare di Storia della Sardegna (poi Storia contemporanea), firmò una infinità di articoli e saggi sulla Sardegna in età spagnola, sabauda e contemporanea. L’Opac segnala un centinaio di titoli di monografie o di contributi vari, apparsi in riviste e quotidiani, spogliati per il repertorio. Nel molto si segnalano forse gli studi (ripresi in più tempi, con approfondimenti sempre ulteriori e un più largo spettro territoriale) sulla demografia e i donativi dei parlamenti sardi

Quando lo incontrai, ora è già più di un quarto di secolo, egli aveva già accompagnato la docenza universitaria alla specializzazione in problemi della didattica della storia ed aggiornamento degli insegnanti. Aveva allora da poco pubblicato, con altri colleghi (Paola De Gioannis, Gian Giacomo Ortu e Luisa Maria Plaisant, e un’altra volta soltanto con la De Gioannis), libri importanti proprio sulla didattica della storia con ampio supporto antologico storico-letterario. Mi riferisco a “La Sardegna e la storia” e “La Sardegna. Cultura e società”.

Passò quindi a dirigere la collana “Materiali didattici” dell’Istituto Sardo per la Storia della Resistenza e dell’Autonomia.

Nel 1991 lo ebbi ospite in una trasmissione televisiva (Zibaldone) che conducevo insieme con un gruppo di giovani valentissimi, taluno al suo esordio giornalistico e/o professionale in campi diversi da quello di redazione. Erano Maurizio Battelli, Vito Biolchini, Elio Masala, Massimiliano Rais e Armando Serri, quest’ultimo figlio del professore e, in tempi relativamente ravvicinati, fra i promotori a Cagliari di diverse anticipatrici iniziative di volontariato culturale (fra l’altro si ricorderà l’associazione Ipogeo) ed anche del felice progetto di Monumenti Aperti.

In occasione della uscita del mio”Titino Melis, il PSd’A mazziniano, Fancello, Siglienti, i gielle” – alla cui stesura collaborarono, con contributi originali anche Paolo De Magistris, Elena Melis, Mario Melis, Gianni Filippini, Piero Cossu, Marco Piredda , Francesca Carta, Maurizio Battelli ed Elio Masala – chiesi al professore, e a Bachisio Zizi, Salvatore Cubeddu e Marcello Tuveri, di presentare criticamente l’opera, il che avvenne il 15 dicembre 1992 nella sala convegni del Banco di Sardegna.

Egli propose, con il garbo che gli era consueto, e naturalmente con la sua dottrina impegnata e gustosa, le sue riflessioni che qui ripropongo non tanto, ovviamente, perché riferite a un mio lavoro, ma per l’asse portante, sempre argomentato, delle sue tesi circa il rapporto fra la storia generale e quella locale. Materia sulla quale mi piace di lui segnalare la relazione tenuta al convegno “La Sardegna: un’isola, una storia, una cultura”, svoltosi a Cagliari nel dicembre 2000 ad iniziativa dell’Istituto Gramsci, motivato dalla uscita della seconda edizione del libro (recante lo stesso titolo) curato da Serri con la De Gioannis e indicato per le scuole.

 

Il professore e il minatore, di Giuseppe Serri

L’ opera di Gianfranco Murtas, relativa alla figura e all’opera di Titino Melis, si aggiunge alle altre numerose opere dello stesso autore edite in questi ultimi anni, dedicate ai protagonisti del sardismo, dell’azionismo, del sardo-azionismo, cioè di quelle correnti politiche che, in Sardegna, si sono ispirate alla democrazia mazziniana. Si tratta di un complesso di testi che rispondono ad un piano di lavoro organico: ciascuna delle opere, infatti, si collega alle altre e ne costituisce la continuazione e l’integrazione. Le figure dei personaggi descritti compaiono talora in diversi testi, attraverso una serie di rimandi e di riferimenti incrociati che ce li fanno apparire come membri di una grande famiglia di cui si può cogliere la vita soltanto esaminandone i rapporti interni, nel loro complesso. Per questo, più che soffermarci sull’ultimo libro preferiamo valutare globalmente tutta l’opera di Murtas.

L’autore ha affermato in più occasioni – e lo ha scritto anche nel testo degli indici che chiude questa serie di opere – che egli non si ritiene uno storico, ma un semplice «dilettante» degli scavi storici, «un minatore per gioco», anche se serio – aggiunge – serissimo. Un giudizio, questo, che fa onore all’autore, che dimostra piena consapevolezza dei problemi e delle difficoltà che deve affrontare chi si dedica alla ricerca storiografica: ma è un giudizio eccessivamente riduttivo, frutto dell’ apprezzabile modestia dell’autore e che merita pertanto qualche riflessione.

Una prima riflessione nasce dal fatto che Gianfranco Murtas si occupa di problemi di storia locale, regionale e quando ci si accosta a questo settore di studi spesso capita di suscitare diffidenze e perplessità, come se ci si occupasse di qualcosa che non merita grande attenzione, a fronte della “grande storia”, della storia nazionale e internazionale. Sembra quasi che ci si occupi di una storia di serie B, rispetto alla storia di serie A, rappresentata dai grandi quadri storici nazionali e mondiali.

La realtà è ben diversa e queste diffidenze appaiono oggi sempre meno giustificabili. È vero che esiste una categoria di studiosi dei problemi storici locali, sparsi nei paesi e nelle città, che operano con una logica ristretta e localistica, denunziando il possesso di modesti strumenti metodologici: ma è anche vero che spesso questi studiosi – talvolta definiti, con ironia tipicamente accademica, “storici della domenica” o “storici di villaggio” – producono molto, regalandoci talvolta opere decorose e comunque molto utili, anche perché mettono a disposizione degli altri studiosi un materiale documentario altrimenti difficilmente reperibile.

Ma, al di là di questo e più in generale, queste diffidenze sono ingiustificate perché oggi la storia locale non può essere identificata soltanto con la produzione degli storici dilettanti, bravi o meno, ma ha acquistato un ruolo importante e stabile all’interno del panorama generale della ricerca storica ed è entrata a far parte di pieno diritto dei meccanismi di tale ricerca: un ruolo che le viene riconosciuto anche dal mondo degli storici professionisti e accademici, un tempo molto critici nei suoi confronti. Appare cioè sempre più evidente che la storia “generale”, di un’intera nazione o di uno Stato, può e deve essere ricostruita, capita ed interpretata attraverso la conoscenza delle sue articolazioni locali: in altre parole che per capire e interpretare i processi di ordine generale dobbiamo conoscere gli sviluppi delle situazioni locali. Per restare alla storia italiana, dobbiamo ad esempio chiederci di quale Italia intendiamo parlare: perché non esiste una Italia, così come non esiste una Francia, una Inghilterra, etc. Al suo interno l’Italia è composta di realtà molto diverse, con storie diverse, con caratteristiche che si sono stratificate diversamente nel corso dei secoli: l’Italia delle cento città, degli Stati regionali, delle etnie diverse, dei diversi quadri intellettuali, dei dialetti e delle lingue molteplici, etc.

È evidente, quindi, che se vogliamo capire come si è formata l’Italia sul piano istituzionale-statale, se vogliamo cogliere il senso del processo risorgimentale e di unificazione nazionale, con tutte le sue conseguenze, o se vogliamo interpretare i momenti della ricostruzione politica e ideale della nazione dopo la parentesi fascista, non possiamo fare a meno di passare attraverso le espressioni locali di questi processi. Ha scritto in proposito lo storico Silvio Lanaro: «ci può essere soltanto una storia “locale” dell’unificazione, una storia “locale” dello sviluppo capitalistico, una storia “locale” del formarsi della coscienza nazionale». Possiamo aggiungere che ci può essere soltanto una storia “locale” del processo di formazione di una coscienza antifascista e repubblicana.

Se questo è vero, va però anche aggiunto che il rapporto tra la storia locale e la storia generale non è univoco, ma è un rapporto dialettico, di reciprocità: se è vero che per capire la storia generale è necessario conoscere le situazioni locali, è anche vero che per capire il senso e il significato dei processi locali è necessario tenere presente il contesto generale in cui questi processi si collocano. In questo senso, la via per sfuggire ai pericoli sottili del localismo fine a se stesso, della chiusura nella “logica del villaggio” e dell’erudizione spicciola, sta proprio nel cercare sempre le possibilità di analisi, di confronto, di verifica delle connessioni esistenti tra la microstoria e la macrostoria, tra realtà di scala diversa, nei loro rapporti di interconnessione e di reciprocità.

In questa direzione appare di notevole interesse tutta l’opera di Gianfranco Murtas che, oltre ad utilizzare strumenti metodologicamente corretti e rigorosi, ci offre una produzione non casuale, non episodica o legata ad interessi limitati e locali. Si tratta, infatti, di una produzione di vasto respiro – non solo da un punto di vista quantitativo, poiché si esprime in circa quattromila pagine – che segue una logica e un preciso paradigma storiografico, cioè risponde ad un disegno consapevole e ben definito: quello di ricostruire, attraverso le vicende personali di alcuni intellettuali e politici sardi, un’intera vicenda politica isolana, che parte da lontano e arriva sino ai nostri giorni. Non solo: risponde anche al disegno di far luce sulle più ampie vicende nazionali, proprio attraverso questa ricostruzione di un clima politico, di vicende, di contrasti di posizioni diverse in ambito isolano.

Con una scelta di campo ben precisa, Murtas mette a fuoco le forze politiche che si sono ispirate al filone ideologico del mazzinianesimo e del federalismo, attraverso l’ opera di personaggi come Cesare Pintus, Emilio Lussu, Michele Saba, Mario Berlinguer, Titino Melis, Francesco Fancello e tanti altri, tra cui non poche donne, come Bastianina Martini Musu, Ines Siglienti, Mariangela Maccioni: ma lo fa tenendo sempre presente la stretta correlazione tra il “locale” e il “ generale”, tra le vicende e i personaggi isolani e il quadro della situazione nazionale, che viene illuminato proprio dalle vicende che maturano nell’isola.

In questo contesto, appaiono di scarso rilievo le accuse che in qualche occasione sono state mosse all’opera di Murtas, che avrebbe privilegiato eccessivamente la storia dei protagonisti, dei personaggi di spicco rispetto alla storia delle masse popolari: la “storia dei vincitori”, rispetto alla “storia dei vinti”, per dirla con Francesco Masala. In realtà, crediamo che sia oramai acquisito che nella storia c’è posto per tutti e per tutto: la storia, diceva Marc Bloch, è come il maiale, di cui tutto va utilizzato, dalla testa alle zampe. Fuor di metafora, nella storia ci sono le masse e le élites, i protagonisti. i comprimari e le comparse, i politici e i contadini, le idee e i consumi alimentari, le dottrine politiche e il sesso, i vinti e i vincitori: tutto va capito e tutto serve per capire la storia degli uomini.

Per quanto riguarda in particolare la storia dei “protagonisti”, è ben nota oramai l’importanza che ha talora la ricostruzione delle biografie di singoli personaggi, delle loro vicende personali e delle loro esperienze individuali; si sa quale valore documentario abbiano gli epistolari, i diari, la memorialistica: tutte fonti che ci aiutano a conoscere e a capire le situazioni più generali, il valore di certe scelte politiche, i caratteri di certe ideologie.

Per tornare al nostro caso concreto, pensiamo – ma è solo un esempio – alle belle pagine dedicate da Murtas, in quest’ultimo volume, a Ines Berlinguer e al marito Stefano Siglienti, alle loro vicende familiari, al loro impegno personale di antifascisti, ai loro rapporti con la resistenza; appaiono pagine molto illuminanti sulle vicende più generali dell’ antifascismo italiano e sulla situazione drammatica dell’ Italia fascista. L’uso della memorialistica e degli epistolari che Murtas fa in questa come nelle altre sue opere risulta molto efficace in questa direzione di raccordo tra le vicende personali e locali e le situazioni più generali.

 

I profili dei protagonisti

Ma Murtas non utilizza soltanto questo tipo di documentazione: tutta la sua operazione di ricostruzione storica è fatta attraverso l’utilizzo di un materiale documentario molto vario: e qui sta un’altra caratteristica positiva dello studioso, cioè la sua straordinaria capacità di ricercatore di fonti e di documenti di ogni genere. Egli utilizza, infatti, tutto il possibile armamentario e bagaglio documentario che uno storico può utilizzare: i documenti ufficiali, le interviste, gli epistolari, la stampa, la bibliografia esistente, gli appunti personali, che ha rastrellato in archivi privati: tutta una mole enorme di materiale che egli mette a disposizione degli altri studiosi e che probabilmente sarebbe rimasto sepolto se egli non lo avesse dissotterrato e pubblicato.

Ma, come talvolta capita, la troppa abbondanza può anche nuocere in qualche modo. Le opere di Gianfranco Murtas, ricche di documenti e articolate in modo complesso, appaiono talora di non facile consultazione e di non facile lettura. Anche quest’ultimo libro, come i precedenti, è articolato variamente: ci sono pagine di Murtas su singoli aspetti o personaggi; ci sono numerose pagine documentarie; ci sono contributi di altri collaboratori, per la maggior parte giovani studiosi che Murtas è riuscito a mobilitare e a responsabilizzare (il che è un altro suo merito grandissimo: si contano più di venti giovani collaboratori che hanno partecipato, in una o più occasioni, alla stesura di questi testi).

Ora, proprio questa complessa articolazione dei testi e quindi, paradossalmente, questa ricchezza documentaria, rappresenta in qualche modo il limite di queste opere. Non è facile, infatti, destreggiarsi tra i personaggi, le vicende, i documenti, gli articoli, le interviste, etc. che in ogni testo vengono proposti con dovizia; si tratta, come già detto, di un materiale prezioso, da cui però il lettore deve estrarre il succo, l’essenza, i significati.

Nella sostanza, questi testi costituiscono un’importante operazione di scavo e un’importante offerta documentaria, che pone le basi e le condizioni per una grande sintesi storica, per una ricostruzione globale dell’azione politica e delle caratteristiche delle forze democratiche, federaliste, sardiste e repubblicane dell’isola e non solo dell’isola. Una sintesi che Gianfranco Murtas, che ha dimostrato di saper padroneggiare con autorità l’enorme mole di materiale che ci ha offerto, può e deve fare.

È augurabile che questo autore così prolifico voglia fare questo ulteriore sforzo, per fare chiarezza su momenti importanti della nostra storia politica. Che poi si tratti di una storia dei vinti o dei vincitori è del tutto secondario: si tratta pur sempre di uomini che hanno lottato, vinto o perso a seconda dei momenti, ma che hanno contribuito comunque a costruire la storia della nostra isola e della nostra nazione.

 

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