L’weekend del PD, di Salvatore Cubeddu

L’EDITORIALE DELLA DOMENICA.


La manifestazione della Cgil contro Renzi, la Leopolda di Renzi prescindendo dalla Cgil, l’elezione certa a segretario del Partito Democratico in Sardegna di un amico di Renzi: un concentrarsi di fatti in questo fine settimana che offre una rappresentanza straordinaria della mutazione della sinistra, in Italia e da noi.

Renzi è il motore del processo. L’Italia sfinita da una crisi persino  peggiore di quella del ’29 invoca un demiurgo. E’ già avviato con successo il generale cambio di campo nella direzione del  vincitore. E’ tutta la società italiana, prostrata da vent’anni di berlusconismo e  stanca di politica, che domanda soluzioni efficaci e poche discussioni, che ha voglia di soluzioni e si affida ad un giovane che si presenta deciso e sicuro, forte. Una società che ha l’angoscia del lavoro che manca, che vorrebbe, forse, lavorare, ma riducendo al minimo il dibattito:  più fishion in tv – con preti, suore, medici, carabinieri, commissari – e meno talk show politici.

Renzi va completando l’espulsione dalla sinistra di governo degli eredi della scissione di Livorno. Non a caso il loro radicamento sociale, i metalmeccanici della Fiom e le poche  categorie loro amiche nella Cgil, vengono per lo più individuati come residui di un inutilizzabile passato. Craxi sorride dalla sabbie di Hammamet, Berlinguer si pentirebbe di non aver promosso in tempo una sua autocritica alla Bad Godesberg (1959: il Programma di Bad Godesberg del partito socialdemocratico tedesco decise l’abbandono definitivo del marxismo e l’accettazione dell’economia di mercato).

I lavoratori dipendenti non possono ambire ad una qualche ‘egemonia’ se il loro destino lavorativo e  di vita risulta nelle mani esclusive del padronato. La cecità del sindacato  a prevalenza ex-comunista nell’essersi sempre opposto alla proposte cisline della cogestione (stile DGB, tedesca, la più potente organizzazione sindacale nel mondo) o dell’autogestione (CFDT, il sindacato cattolico francese) ha lasciato nudo il sindacato italiano, tradito peraltro dall’incapacità dei dirigenti della Cisl succedutisi a Pierre Carniti nel portare alle giuste conseguenze la partecipazione dei lavoratori al governo delle aziende.

Un grande azzardo spinge Renzi a mettere la manodopera al servizio del padronato nell’ipotesi che questi, ringalluzzito e riconoscente, investa di nuovo e crei occupazione. E se questo non dovesse succedere? E se il padronato continuasse nello stile berlusconiano del godimento parassitario delle ricchezze, confermando un Paese sputtanato di fronte all’Europa ed al mondo in tutte le dimensioni e categorie, dal piccolo comune fino a parte significativa delle stesse gerarchie cattoliche?

Oggi dei sardi, non sappiamo in quanti, si recheranno ad eleggere i dirigenti del partito democratico. Non è un partito sardo e il suo segretario resterà un funzionario – di rango, forse, ma sempre e solo uno di seconda o terza fila nella gerarchia dell’organizzazione italiana – che si accompagnerà al gruppo via via egemone in via del Nazareno. Forse qualcuno di quei dirigenti ieri  si è recato alla Leopolda, il luogo dove dover essere se si vuole sul serio contare nel futuro.

Il partito democratico in Sardegna è un ‘non essere’, in attesa che si completi la definizione di ciò che esso sarà in Italia. La stessa oggettiva caratterizzazione di ‘governo tecnico’ attribuibile alla giunta-Pigliaru dipende in gran parte (lo scetticismo politico-ideologico degli assessori/professori ne è pure parte notevole!) da questa indeterminatezza. In Sardegna, più che nel Continente italiano, urgono quelle decisioni istituzionali, economiche e culturali che renderebbero  ‘grande’ l’arte di una politica svolta con libertà e responsabilità. Dei tre funzionari/segretari del PD al voto, non v’è dubbio che Renato Soru sia, oltre che il più conosciuto, la personalità più notevole per esperienza e rinomanza esterna. Ma Soru non appare più quello della speranza dei suoi inizi, né forse la presente condizione della sua azienda lo rende libero come ci si aspetterebbe da un leader chiamato ad affrontare i nodi irrisolti della Sardegna.

La campagna per le primarie del partito democratico ci ha detto molto dello scontro in atto per il potere interno e quasi nulla sull’idea di Sardegna per la quale si dovrebbe andare a votarli. C’è un ovvio legame tra l’obbedienza all’esterno ed il vuoto di opinioni su di sé. Siamo curiosi, e saremo attenti ai futuri sviluppi, a come il partito renziano in Sardegna procederà.

Cagliari, 25 ottobre 2014

 

Condividi su:

    Comments are closed.