“TU SEI PIETRO…” , di padre Alberto Maggi OSM

Il versetto più studiato, più difficile, più complicato e più controverso, non solo del vangelo di Matteo ma di tutto il Nuovo Testamento. Un versetto che ha dato luogo ed è stato causa di divisioni tra le varie confessioni cristiane. Un vangelo sul quale, ed è il caso di dirlo, i teologi e le chiese si sono letteralmente scannati. È il versetto che dà il titolo all’incontro: «tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia chiesa». E’ il vangelo di ieri, festa dei santi Pietro e Paolo.

Questa sera noi, che in genere affrontiamo temi abbastanza facili, scegliamo il versetto più studiato, più difficile, più complicato e più controverso, non solo del vangelo di Matteo ma di tutto il Nuovo Testamento. Un versetto che ha dato luogo ed è stato causa di divisioni tra le varie confessioni cristiane. Un vangelo sul quale, ed è il caso di dirlo, i teologi e le chiese si sono letteralmente scannati. È il versetto che dà il titolo a questo nostro incontro «tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia chiesa».

Perché il personaggio di Pietro?

Perché, dopo Gesù, il personaggio più citato nei vangeli è questo discepolo: Simone detto Pietro. Di lui non sappiamo storicamente, esattamente, quale fosse la sua caratteristica. Quello che i vangeli ci presentano è, lo dico tra virgolette, una “caricatura”, cioè è una figura talmente esagerata e nelle parti positive e nelle parti negative che chiaramente i vangeli non ci presentano il Pietro storico ma una caricatura di tutto quello che può essere, nel bene o nel male, un discepolo di Gesù. Questo Pietro viene presentato in maniera diversa secondo i vangeli, per esempio in Matteo, Marco e Luca è il primo discepolo, insieme a suo fratello Andrea, invitato da Gesù a seguirlo. Nel vangelo di Giovanni invece Gesù non invita mai Pietro a seguirlo, soltanto alla resurrezione, quando Gesù mette k.o. questo discepolo testardo, allora gli dice “vieni e seguimi”.

Questo discepolo che si chiama Simone era già conosciuto con il soprannome di “testa dura”, “pietra”.

Gesù non si rivolgerà mai a Simone chiamandolo Pietro, soltanto una volta, nel vangelo di Luca, Gesù si rivolge a Simone chiamandolo Pietro, ma sarà sempre un artifizio letterario degli evangelisti che, ogni qualvolta Simone sta facendo qualcosa di contrario a Gesù, cioè quasi sempre, lo presentano soltanto con il suo soprannome. Quando nei vangeli trovate soltanto “Pietro”, è una chiave di lettura che ci dà l’evangelista per dirci “guarda, adesso questo discepolo sta combinando una cosa contraria a Gesù”.

Questo discepolo, nel testo di Matteo fa la fine più drammatica; dopo il tradimento di Gesù scompare definitivamente dal vangelo.

Marco, più caritatevolmente, gli dà una possibilità, l’angelo della risurrezione dice «andate a dire ai suoi discepoli e a Pietro» (Mc 16, 7); quindi dà una possibilità a Pietro.

In Giovanni (c. 21) lo vedremo protagonista delle apparizioni di Gesù.

 

Questa sera noi vediamo l’episodio probabilmente più importante che delinea la figura di questo discepolo, l’episodio nel quale Matteo scrive la famosa espressione «tu sei Pietro e su questa pietra…» (Mt 16,18).

Allora, caliamo, come sempre, il vangelo nel contesto, nell’ambiente dove è stato scritto, per comprenderne il profondo significato e, con piena serenità, lo dico alle persone che fossero qui per la prima volta, quella che vengo a proporvi è sì un sunto di tutti gli studi più recenti su questo brano, ma è semplicemente una proposta. Una proposta che chi sente corrispondere ai propri desideri, alle sue necessità, la accoglie; chi invece vede che la turba, la può benissimo rifiutare.

Allora, nel capitolo 16, noi iniziamo dal versetto 13. 3

Gesù aveva messo in guardia i suoi discepoli dal «lievito dei farisei», cioè dalla mentalità e dalla dottrina dei farisei; e per essere sicuro che i suoi discepoli fossero lontani dall’influsso nefasto dei farisei li porta in territorio pagano (a Cesarea).

Allora, dal capitolo 16 del vangelo di Matteo, leggiamo il versetto 13

«Essendo venuto Gesù nella regione di Cesarea di Filippo».

Se l’evangelista ci dà un’indicazione geografica è importante, perché ci fa comprendere poi tutto quello che viene di seguito.

A Cesarea di Filippo c’erano le sorgenti del fiume Giordano. Ebbene, la sorgente del fiume Giordano, nella tradizione ebraica, veniva considerata l’ingresso alla dimora dei morti. A quell’epoca, lo spiegheremo più avanti quando Gesù ne parlerà, la terra era considerata come un rettangolo, immaginate come questo altare, sotto c’era un’enorme caverna che era la dimora dei morti, cioè dove andavano a finire tutti quanti, indipendentemente dalla loro condotta: buoni e malvagi, una volta morti, andavano a finire là. Uno degli ingressi di questa caverna sotterranea era considerata la sorgente del fiume Giordano, teniamolo quindi presente per comprendere quello che avverrà dopo.

Inoltre Cesarea di Filippo, chiamata così per non confonderla con l’altra città Cesarea Marittima, era una città in costruzione e quindi era un grande cantiere. Questi dati sono da tenere presenti per comprendere poi le immagini successive.

Allora, Gesù, venuto in questa regione, chiede ai suoi discepoli:

«Chi dicono gli uomini che sia il Figlio dell’uomo?»

Qui Gesù contrappone «gli uomini» (oƒ ¥nqrwpoi), l’espressione uomini nel vangelo è sempre negativa, non perché Gesù veda pessimisticamente gli uomini ma con gli uomini si intendono quegli individui che non hanno accolto lo spirito del Signore, quando gli uomini accolgono lo Spirito del Signore diventano, come Gesù, «il figlio dell’uomo», cioè l’uomo per eccellenza. L’uomo porta a maturità il suo essere, l’uomo si realizza pienamente quando riceve, come Gesù, dal Padre, lo Spirito, cioè la capacità di amore. Quindi gli uomini sono coloro che non hanno la capacità di amore e quindi di discernimento e il figlio dell’uomo, che è Gesù e tutti coloro che lo accolgono, sono coloro che attraverso la capacità di amore portano a piena maturazione la propria esistenza.

Allora Gesù dice «chi dicono gli uomini che sia il figlio dell’uomo?».

La risposta è deludente. Dovete sapere che Gesù aveva mandato i discepoli a predicare. I discepoli poco hanno capito, peggio hanno predicato; hanno fatto una grande confusione. Le risposte confuse che adesso loro danno hanno la loro responsabilità nella predicazione confusa dei discepoli e quindi quello che viene fuori è un guazzabuglio.

Essi risposero:

«qualcuno Giovanni il Battista», si credeva a quell’epoca che i martiri sarebbero ritornati in vita, sarebbero riapparsi.

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Alcuni invece «dicono che sei Elia», si credeva nella tradizione che Elia, questo misterioso profeta dell’Antico Testamento, sarebbe apparso per preparare la strada al Messia.

«Altri Geremia». Perché Geremia? Geremia venne condannato alla lapidazione, ma secondo la tradizione che è al di fuori della Bibbia, la tradizione orale, Dio aveva trasformato Geremia in una pietra e lo aveva salvato.

«Oppure uno dei profeti».

 

C’è una confusione totale. Gesù li ha mandati ad annunziare chi è lui e il suo messaggio, i discepoli non hanno capito niente e, soprattutto, il denominatore comune di tutti questi nomi è che sono tutti individui che appartengono al passato, nessuno ha compreso la novità portata da Gesù. Ecco «il lievito dei Farisei», è la tradizione. Non c’è niente di più terribile dell’attaccamento alla tradizione religiosa, perché se uno intende la tradizione religiosa come un fattore positivo non se ne staccherà mai, ma per comprendere la novità portata da Gesù bisogna recidere l’attaccamento a quella tradizione religiosa.

«Disse loro: ma voi», prima Gesù si rivolge a tutti quanti. “Ma voi, avete capito qualcosa, voi chi dite che io sia?”. Rispose Simon Pietro.

Gesù non ha chiesto a Simon Pietro, Gesù ha chiesto a tutti quanti, ma ancora una volta c’è questo discepolo che presume di essere il portavoce degli altri dicendo «tu sei il Messia, il figlio di Dio, il vivente».

La risposta di Pietro, in parte è esatta, soprattutto per quello che riguarda «il figlio di Dio, il vivente». Il grande equivoco che si faceva nei confronti di Gesù è che Gesù veniva riconosciuto come «figlio di Davide». Per figlio, nella cultura ebraica non si intende nato da qualcuno, ma colui che assomiglia al padre nel comportamento. Allora, gli ebrei attendevano un Messia figlio di Davide, cioè un Messia come Davide.

Perché Davide? Davide è stato l’unico re che è riuscito a radunare tutte e dodici le tribù e ha inaugurato il Regno di Israele. Naturalmente mediante la violenza, mediante l’oppressione, allargando i confini in una maniera che dopo non sarà più possibile. Salomone resisterà ai confini ricevuti da Davide e poi ci sarà la scissione. Quindi la gente aspettava la rivincita: il Messia deve essere come Davide, cioè uno che attraverso la violenza inauguri il Regno di Israele. Ebbene, Simon Pietro, per la prima volta nei vangeli, riconosce che Gesù non è il figlio di Davide, non è uno che attraverso la violenza inaugurerà il regno, ma riconosce il figlio di Dio, ed è importante l’attributo di questo Dio, il Dio vivificante, cioè il Dio che comunica vita. Questa è la risposta esatta, è la definizione esatta di Gesù.

E adesso seguono i tre versetti, come dicevamo prima, i più difficili, i più complicati e quelli più polemici non solo del vangelo di Matteo ma di tutto il Nuovo Testamento. I tre versetti che hanno causato la grande divisione tra le varie confessioni cristiane. Noi intendiamo prescindere adesso da queste divisioni e ci atteniamo semplicemente al testo, il testo originale greco, e vediamo di comprendere quello che l’evangelista ci vuol dire.

«E Gesù gli disse: Beato» (mak£rioj); anzitutto Gesù proclama Simone beato, e si riallaccia alle beatitudini che sono presenti nel vangelo di Matteo. In particolare a una beatitudine «beati i puri di cuore perché vedranno Dio», cioè le persone che sono limpide, trasparenti, riescono a percepire la realtà di Dio già nella loro esistenza. 5

«Beato sei, Simone», lo chiama per nome, però «figlio di Giona».

Gesù fa l’identikit di questo discepolo. Abbiamo detto che figlio di qualcuno significa uno che si comporta come il padre. Perché Gesù, pur dichiarando beato Simone, perché ha capito che lui è il figlio del Dio vivente, gli aggiunge “tu sei figlio di Giona”?

Dovete sapere, lo conoscete tutti, Giona è l’unico dei profeti dell’Antico Testamento che ha fatto esattamente il contrario di quello che Dio gli aveva chiesto. L’unico, non ne esistono altri. Dio cosa aveva chiesto a Giona, aveva detto “Giona, vai a Ninive”, cioè a oriente, in questa grande città pagana, “perché se non si convertono, io la distruggo”. Allora Giona ha detto “ah sì, quindi se io vado a Ninive, predico la conversione e quelli si convertono, tu non li distruggi? Va bene”. Allora va al porto, si imbarca e prende una nave per Tarsis, cioè per la Spagna. Il Signore gli ha detto “vai in oriente”, e lui prende esattamente la direzione opposta. Perché? Perché così il Signore stermina Ninive, perché sono dei pagani e non meritano niente. Poi conoscete tutti quanti il seguito della storia. Comunque Giona è l’unico profeta che anziché fare quello che il Signore gli ha chiesto fa esattamente il contrario, poi dopo si converte.

Quindi Gesù vedendo Simone gli dice “tu sei figlio di Giona”, cioè “farai sempre il contrario di quello che io ti dirò”, però ci sarà una possibilità per Pietro.

«Perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato ma il Padre mio, quello che è nei cieli».

Gesù in precedenza aveva ringraziato il Padre perché aveva nascosto queste cose ai grandi e ai dotti e le aveva rivelate ai piccoli. Quindi Gesù riconosce in Simone un puro di cuore che è riuscito a percepire la realtà di Gesù, che non è il figlio di Davide, uno che togliendo la vita agli altri inaugurerà il regno di Dio, ma colui che dà la propria vita per gli altri, il Dio vivificante, cioè il Dio la cui unica azione nei confronti degli uomini sarà sempre ed esclusivamente quella di comunicare e trasmettere vita.

Questa è la perfetta definizione di Dio. Chi è Dio? Dio è colui che comunica vita, continuamente e incessantemente.

«E io ti dico», è il versetto 18. Non è difficile la comprensione e spero di non complicare di più le idee. Qui bisogna andare alla lingua originale perché le traduzioni purtroppo non ci danno il significato e non è difficile andare alla lingua originale.

Anzitutto un richiamo ad una città conosciuta da tutti quanti. Conoscete tutti in Giordania quella città che si chiama Petra, che significa roccia perché è una città scavata nella roccia, quindi il nome “pétra” (pštra) significa roccia. In greco ‐ il vangelo è scritto in greco – invece “pétros” (pštroj) significa un sasso, che si può raccogliere, si può lanciare e può essere adoperato per costruire qualcosa. Allora, “pétra” (pštra) significa roccia, il sasso, diciamo il mattone, così ci comprendiamo, si dice “pétros” (pštroj). [La pietra, in greco, si dice “lithos” (l…qoj)]. Conoscete tanti nomi, anche in italiano per esempio monolito che significa una pietra.

Bisogna tenere presente queste parole. Gesù dice «tu sei..», in greco è «..”pétros” (pštroj)», che significa «una pietra», cioè in greco è un pezzo di pietra che si può raccogliere, lanciare contro il nemico o essere adoperato per la costruzione. Ricordate che siamo a Cesarea di Filippo, stanno costruendo e ingrandendo questa città, è piena di cantieri e le case vengono fatte con le pietre, quindi si può comprendere. 6

Gesù dice «tu sei una pietra, e su questa…», e qui Gesù non adopera il femminile di pietra che ha usato per Pietro, ma adopera il greco “pétra” (pštra) che significa “una roccia” che non si può neanche scalfire da quanto è dura. E la roccia, nell’Antico Testamento e nel Nuovo Testamento, indica sempre Dio.

Nel vangelo di Matteo il termine roccia sempre indicato con pštra indica sempre Dio o la fede in Dio. Quando Gesù dice «chiunque ascolta le mie parole e le mette in pratica è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla “pétra” (pštra)» (Mt 7,24), cioè sulla roccia. Allora, «tu sei una pietra, su questa roccia costruirò, edificherò la mia assemblea».

Cosa sta dicendo Gesù a Simone?

“Finalmente, il primo che ha capito che io sono non il figlio di Davide, colui che toglie la vita, ma il figlio di Dio che trasmette la vita. Finalmente, sei il primo, sei il primo mattone, senz’altro la prima pietra con la quale costruire la mia comunità”.

Nella lingua italiana, purtroppo, la traduzione «tu sei Pietro e su questa pietra costruirò la mia chiesa» ha fatto credere come se Pietro e pietra fossero il maschile e il femminile di uno stesso nome. Ma in greco c’è la stessa differenza, tanto per dare un’idea, come nella lingua italiana tra il “porto” e la “porta”: si assomigliano, ma porto e porta non sono il maschile e il femminile dello stesso nome, sono due realtà completamente differenti. Ecco, nella lingua greca questa differenza c’è, nelle traduzioni italiane non c’è. Nell’inglese sì, molte traduzioni inglesi traducono «tu sei rocky». Conosciamo questo nome rocky, è un termine che in inglese è quasi dispregiativo, lo si dice di una persona grezza, uno tutta forza ma poco cervello. “Tu sei rocky, e su questa rock“, cioè la roccia, “costruirò la mia chiesa”.

Spero di essere chiaro. Allora, Gesù dice “tu sei un mattone, il primo mattone; su questa roccia, che sono io, che è Gesù o la fede in Gesù, costruiamo la mia comunità”. Qui, nel Nuovo Testamento, che la roccia sia Gesù Cristo e che la chiesa non sia costruita su Simone ma che la chiesa sia costruita su Gesù Cristo è una verità che tutti i testi del Nuovo Testamento ci danno. Cito soltanto la Lettera agli Efesini (Ef 2, 20‐22) dove Paolo dice «siete stati edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare sulla quale l’edificio intero, ben collegato insieme, si va innalzando».

Quindi la roccia, la pietra sulla quale si costruisce la comunità di Gesù, questa roccia che non si può scalfire, è Gesù o Dio, poi ognuno di noi è chiamato, come Pietro, ad essere le pietre per costruire questa comunità.

«E le porte dell’ade non avranno il sopravvento contro di essa»,

Traduco Ade perché purtroppo certe traduzioni hanno dato origine a delle interpretazioni assolutamente sbagliate. Ricordate, prima dicevamo che la terra era considerata come un rettangolo, sotto c’era questa caverna dei morti, in ebraico questa caverna si chiama sheol, che significa “colui che chiama“. Ricordate, le sorgenti del Giordano erano uno degli ingressi di questa caverna sotterranea. Nella lingua greca è stato tradotto con ade (gr. “Aidhj).

Ade chi è? 7

Ade è una divinità mitologica alla quale, nella divisione dei regni, era spettato il regno dei morti. Nel latino, ed è importante, ecco perché faccio queste sottolineature che spero non appesantiscano l’incontro, nel latino, questa località sotterranea, si chiama inferi, dal nome delle divinità che abitavano il regno dei morti, da non confondere con l’inferno. L’inferno non c’è nei vangeli, l’hanno inventato poi i cristiani, secoli dopo. Quindi, ricordate quando nel Credo dicevamo che “Gesù Cristo morì, fu sepolto e discese agli inferi“, non all’inferno, ma nella caverna sotterranea dei morti, per dare vita a chi non ce l’ha.

Quindi Gesù sta dicendo a Pietro che le porte dell’Ade, cioè del regno dei morti e della morte, non avranno il sopravvento contro di essa. Quando la comunità di Gesù è costruita da pietre che, come il Dio vivente, sono capaci di trasmettere vita, il regno della morte non avrà nessun potere contro di essa.

Quindi Gesù sta dicendo qualcosa di molto positivo: la morte non è compatibile con la comunità cristiana. La comunità cristiana è il luogo dove sprizza effervescente la vita, perché siamo tutti quanti pietre vive, contagiate, per così dire, dal Dio vivificante, e tutti quanti trasmettiamo vita.

Non c’è diritto di cittadinanza per la morte, per gli aspetti di morte, all’interno della comunità cristiana, quindi le porte dell’Ade, degli inferi, di questo regno sotterraneo, le porte della morte, non avranno il sopravvento contro di essa. Gesù ce lo garantisce: quando la comunità è composta da persone che trasmettono vita, la morte non ha nessun potere.

Poi c’è un altro versetto che ha dato origine, non capito, ad una delle pagine più sbagliate di San Pietro. Voi sapete che, nell’iconografia classica, san Pietro viene rappresentato con le chiavi. Cosa sono queste chiavi? Le chiavi per entrare nel Paradiso? Niente di più inesatto. Direte “povero Pietro, stasera gli togliamo tutto, qualcosa rimarrà”.

Gli dice Gesù «a te darò le chiavi del regno dei cieli».

Attenzione, “regno dei cieli” è un’espressione che si trova quasi esclusivamente nel vangelo di Matteo, non per indicare l’aldilà, ma per indicare la comunità cristiana. Sapete che gli ebrei avevano timore di pronunciare il nome di Dio ed evitavano persino di scriverlo, allora, al posto di Dio usavano dei sostituti, uno di questi sostituti è cielo, come diciamo anche noi in italiano, per esempio quando diciamo “grazie al cielo”. “Regno dei cieli”, nel vangelo di Matteo, non significa mai l’aldilà, la vita dopo la morte, ma significa sempre “il regno di Dio”, cioè la comunità che è governata da Dio; e Dio non governa la comunità emanando delle leggi che costoro devono osservare ma, come abbiamo visto prima, effondendo continuamente vita, cioè la sua stessa capacità d’amore. Allora Gesù dice «a te darò le chiavi del regno dei cieli», cioè non dell’aldilà ma qui, di questa comunità. Ma cosa significa dare le chiavi a qualcuno?

Quando leggiamo il vangelo non bisogna interpretarlo con la nostra mentalità occidentale ma con quella orientale, soprattutto con quella biblica. Ebbene, nella scrittura, nella mentalità biblica, chi teneva le chiavi di un palazzo o di una città era il responsabile della sicurezza di coloro che stavano dentro. Colui che aveva le chiavi della casa le aveva perché era responsabile della sicurezza della vita di coloro che stavano dentro e doveva essere disponibile a sacrificare la propria vita pur di difendere gli abitanti della casa. Colui che aveva le chiavi della città non era il detentore di un potere ma era il responsabile della sicurezza di tutti coloro che abitavano dentro la città. Allora Gesù, dando a Pietro le chiavi della comunità cristiana, lo rende il responsabile della sicurezza e della vita di quanti abitano lì dentro. 8

«E qualsiasi cosa…», adesso ci aspetteremmo, gli ha dato le chiavi, “tutto quello che aprirai sarà aperto e tutto quello che chiuderai sarà chiuso”, invece Gesù non parla di aprire e chiudere, stranamente dice «qualsiasi cosa legherai sulla terra sarà legata nei cieli». Ricordo che “nei cieli” non significa l’aldilà, ma significa “in Dio”. «E qualsiasi cosa scioglierai sulla terra sarà sciolta nei cieli». Legare (gr. dšw) e sciogliere (gr. lÚw) sono due verbi che appartengono al linguaggio rabbinico e significa l’autorità di insegnamento della dottrina.

Quindi Gesù autorizza Simone, che lo ha riconosciuto come Dio vivificante, di comunicare questa dottrina di un Dio che trasmette vita. Questo significa legare e sciogliere. Quello che Gesù ha detto a Simone non è esclusivo suo, poco più avanti, qualche capitolo dopo, Gesù dirà a tutti i discepoli «tutto quello che legherete sulla terra sarà legato nei cieli e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto», quindi è una responsabilità di tutti i credenti di trasmettere l’autentico messaggio di Gesù.

Quand’è che si vede che il messaggio di Gesù è autentico? Quando trasmette vita alle persone.

Quindi non è un potere quello che Gesù dà ad ogni discepolo ma un’enorme responsabilità: “sei responsabile tu della vita e della sicurezza di quanti appartengono alla comunità cristiana”. E questo trasmettere vita appartiene al messaggio, infatti le ultime parole che Gesù dirà nel suo vangelo sono di andare a insegnare tutto ciò che lui ha comandato.

Il messaggio di Gesù, se autentico, se non manipolato, se non interpolato da chissà quali oscuri interessi, è un messaggio che inevitabilmente produce, comunica e trasmette vita. Simone è il primo, non l’esclusivo, è il primo mattone, non si costruisce una casa con un solo mattone, ci vogliono indubbiamente le fondamenta, che sono Gesù, ci vuole un mattone, il primo, e Matteo riconosce l’importanza di Simone in quanto il primo, ma ci vogliono anche altre pietre, quindi è un discorso che è rivolto a tutta la comunità cristiana.

E poi, stranamente, versetto 20, «allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che lui era il Messia».

Perché? Allora, Pietro rivolgendosi a Gesù gli ha detto «tu sei il Messia, il figlio del Dio vivificante», adesso ci aspetteremmo che Gesù dicesse “adesso andate a dire alla gente che io sono il Messia”. Gesù invece è d’accordo solo con la seconda parte della risposta di Pietro, «tu sei il figlio del Dio vivificante», e per questo gli dice “ecco, allora tu sei una pietra, ti do le chiavi, lega e sciogli”, cioè trasmetti vita. Ma sulla prima parte Gesù non è d’accordo, ecco perché ha chiamato Simone «figlio di Giona». Rivolgendosi a Gesù, Simone, lo ha chiamato “IL Messia”, Gesù non è IL Messia, Gesù è MESSIA. Qual è la differenza: se io un nome lo faccio precedere dall’articolo determinativo significa che è un qualcosa di conosciuto. Se io dico, tanto perché siamo in chiesa, “una chiesa”, mi riferisco a una qualunque di Prato, se dico “la chiesa” indico una che è conosciuta. Se dico “è venuto un parroco” è uno qualunque, se dico “è venuto il parroco” significa qualcuno che è conosciuto. Allora Matteo, nel vangelo, presenta Gesù non come “il Messia”, ma come “Messia”, perché dire “il Messia” significa quello atteso dalla tradizione, cioè quello che conquisterà con le armi il potere a Gerusalemme, sconfiggerà i romani e inaugurerà il regno di Israele. Questo era il Messia. Gesù non è il Messia. Messia significa unto del Signore, inviato del Signore, Gesù è l’inviato del Signore ma non con quei metodi che la gente si aspetta. Ecco perché Gesù anziché dire “allora andate a dire alla gente che io sono il Messia”, dice “allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Messia”. Perché Gesù è Messia, ma non quello atteso dalla tradizione. 9

E qui adesso scoppia il dramma, adesso scoppia l’incidente.

È strano che nella cupola di san Pietro, voi sapete che a lettere enormi dorate c’è scritta la prima parte, quella che abbiamo visto, “tu sei Pietro e su questa pietra”, forse il mosaicista, forse perché gli mancava spazio chissà…, si è dimenticato la parte che segue e che è altrettanto importante come quella che la precede.

Allora scoppia l’incidente. «Da allora», Gesù rischia, «cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che era necessario…». Il verbo “era necessario” (in greco de‹) significa che “era un disegno di Dio”, che “era il compimento della volontà di Dio”, «per lui, andare a Gerusalemme». E fino qui sono tutti d’accordo, lo sanno che deve andare a Gerusalemme, ma l’evangelista dice «a soffrire». «A soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi», sono le tre categorie di persone che componevano il sinedrio, cioè il massimo organo giuridico di Israele. E fino qui si poteva essere anche d’accordo, perché Gesù doveva andare a buttare all’aria questo mondo di corruzione che il sinedrio rappresentava, ma ecco la doccia fredda «e venire ucciso». Questa è una bestemmia, il Messia, il figlio di Dio, non può morire, non può venire ucciso. È la prima volta che Gesù annunzia la sua morte. E poi, questo annunzio strano «e il terzo giorno risuscitato», qualcosa di assolutamente incomprensibile.

Ed ecco che scoppia l’incidente: «ma afferratolo», qui è Simone, Simone prende Gesù e lo afferra «verso di sé», quindi lo porta verso di sé (proslabÒmenoj).

«Ma afferratolo verso di sé, Pietro»

Ricordate all’inizio, dicevamo che quando gli evangelisti vogliono presentare umanamente il discepolo lo chiamano Simone o Simon Pietro, quando vogliono indicare che questo discepolo sta compiendo un’azione contraria a Gesù, eliminano il nome e mettono solo il soprannome che ha un significato negativo, cioè “il testardo”. Allora, qui non c’è Simone ma c’è soltanto Pietro. «Cominciò a sgridarlo».

Qui la scelta dei termini, da parte dell’evangelista, è accurata, pensate che questo verbo “sgridare” è il verbo (™pitim£w) che adoperava Gesù per scacciare il demonio. Quindi Gesù sgrida i demoni per eliminarli, per Pietro quello che Gesù ha detto non viene da Dio ma è un effetto di una possessione demoniaca.

«Cominciò a sgridarlo dicendo: Dio ti perdoni»

Questa (“Ileèj soi) è un’espressione biblica, uno scongiuro biblico, che si adoperava per quanti hanno abbandonato Dio. Se qualcuno abbandonava Dio gli si diceva l’espressione “che Dio ti perdoni”, perché nessuno ti può perdonare questo grave crimine. Quello che Gesù ha detto, per Simone è talmente grave che considera Gesù posseduto dal demonio e uno che ha abbandonato Dio.

«Signore, questo non deve accaderti. Ma egli voltandosi disse a Pietro», di nuovo significa che l’espressione è negativa, «vattene».

Gesù adopera lo stesso imperativo (Ûpage) che nel deserto ha adoperato nei confronti di satana, quando gli ha detto «vattene satana» (Mt 4, 10). L’evangelista sta qui riproducendo le tentazioni nel deserto. Le tentazioni nel deserto sono durate quaranta giorni, ma quaranta è un numero che 10

indica tutta la generazione, Gesù tutta la vita è stato tentato. E qui l’evangelista ci fa comprendere: ecco chi è il satana.

E infatti Gesù gli dice «vattene», però gli dà una possibilità:

mentre a satana ha detto «vattene satana» (Ûpage, Satan©) e basta,

qui Gesù dice a Simone «vattene dietro di me» (Ûpage Ñp…sw mou).

 

Avete notato che Pietro lo aveva afferrato e lo aveva portato a sé, cioè Pietro vuole che Gesù segua la sua linea, che Gesù si comporti come lui si è comportato. Gesù dice “vattene, torna a metterti dietro di me, sei tu che devi seguire me e non io che devo venire dietro di te” e, unica volta che nei vangeli Gesù si rivolge a qualcuno in questa maniera, lo chiama «satana». Satana significa nemico, avversario. L’idea trionfante di Simon Pietro di un Messia vittorioso è quella di un satana, di un avversario al disegno di Dio e, ricordate prima “tu sei la pietra adatta per costruire la comunità”, adesso, dice Gesù «tu mi sei pietra d’inciampo». “Scandalo”, nella lingua greca (sk£ndalon) indica la pietra che fa inciampare. Esattamente, scandalo, sono quelle pietre, quei sassi che troviamo in campagna, che hanno una parte soltanto scoperta e una parte nel terreno, uno non se ne accorge bene e sono occasioni d’inciampo. Quindi il termine “scandalo”, in greco, significa “qualcosa che fa cadere, qualcosa che fa inciampare”.

Quel discepolo, che avendo riconosciuto in Gesù il Figlio del Dio vivente, era stato proclamato come una pietra adatta per costruire la comunità, quando invece è radicato nella sua tradizione del Messia vincitore diventa immediatamente una pietra d’inciampo.

Ecco allora, come dicevo all’inizio, l’evangelista ci presenta una caricatura di discepolo, perché rappresenta tutti noi: ognuno di noi può essere una pietra per costruire la comunità, se riceviamo dal Signore questa vita e la trasmettiamo agli altri siamo le pietre idonee per costruire la comunità di Dio; se invece coltiviamo desideri di potere, di ambizione, di successo, siamo delle pietre d’inciampo, che fanno inciampare gli altri e siamo dei satana che Gesù rifiuta. «Perché», dice Gesù, «non pensi le cose di Dio ma quelle degli uomini». Ricordate che il termine uomini, nel vangelo di Matteo è negativo perché indica le persone che non hanno lo Spirito.

Gesù ricomincia a spiegare cosa significa andargli dietro: «perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà ma chi perderà la propria vita per causa mia la troverà». Chi fa della propria esistenza un dono per gli altri, non solo non la perde, ma la ritrova in pienezza. Chi mette la propria vita al servizio degli altri, anche se apparentemente, agli occhi di coloro che seguono il successo, il potere, sembra una vita sprecata, sono le uniche persone che sanno realizzarsi. Coloro che volontariamente, liberamente e per amore, mettono la propria vita, anche sacrificandosi, a disposizione degli altri, dice Gesù “chi perderà la propria vita per causa mia la troverà”, troveranno la vera vita in pienezza. Invece, chi vorrà salvare la propria vita, chi adopererà gli altri per sé, costoro la perdono definitivamente. E, aggiunge Gesù, «quale vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero e poi danneggia la propria vita?». Non ditelo a Berlusconi perché se no dice che Gesù è un comunista che gli rovina i programmi….

Per Gesù l’uomo che è capace di guadagnare il mondo intero, l’uomo che accumula ricchezze, successo e onore, è un uomo fallito che ha perso completamente la propria esistenza. “Quale vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero e poi danneggerà e perderà la propria vita”. Quindi chi insegue sogni di successo, di ambizione, ricchezza per tutti, successo per tutti, 11

sono le persone che anche se si possono presentare con una patina, un facsimile religioso, sono le persone completamente fallite che hanno perso il significato della propria esistenza. «O che cosa può dare un uomo in cambio della propria vita?». Quindi per Gesù porre la sicurezza della propria esistenza nell’accumulo dei beni significa limitarla fino a rovinarla completamente.

E, conclude Gesù, «poiché sta per venire il figlio dell’uomo nella gloria del padre suo». Gesù dal Sinedrio, dai rappresentanti di Dio, viene sì disonorato, ma dal padre viene onorato, la gloria significa la manifestazione di Dio. «E giudicherà ciascuno secondo il suo operato».

Scusate, ho saltato un versetto, sono inciampato nello scandalo anch’io. Ho saltato il versetto 24. Riprendiamo, dopo che Gesù dice a Pietro “tu sei d’inciampo perché non pensi le cose di Dio, ma quelle degli uomini”, sono inciampato e ho perso il versetto 24. Ci torniamo perché è importante.

«Allora Gesù disse ai suoi discepoli: se qualcuno vuol venire dietro a me»,

Non è mica obbligatorio essere cristiano. Ci hanno fatto credere che fosse obbligatorio in passato. Perché? Perché non c’era possibilità di salvezza all’esterno.

Ricordate? L’unica salvezza veniva non solo dall’essere cristiani ma all’interno della Chiesa Cattolica. Prima non è che uno poteva scegliere se essere cristiano o no. Non solo essere cristiano, soltanto se sei cattolico ti salvi; e quindi non c’era scelta. Ma oggi, il Concilio ha compreso, finalmente, che la salvezza non significa appartenenza a una Chiesa e neanche appartenenza a una religione. Mentre il Concilio, tenutosi proprio qui a Firenze nel 1400, condannava al fuoco eterno dell’inferno tutti gli Ebrei, i Musulmani e gli Infedeli. 500 anni dopo, il Concilio Vaticano (la Chiesa prima o poi ci arriva, basta aspettare), disse che tutti gli Ebrei, i Musulmani e persino i non credenti, che rispondono alla propria coscienza, conseguono la salvezza. Quindi non è vero che soltanto nella Chiesa e nella Chiesa Cattolica c’è la salvezza. Se qualcuno è preoccupato per la propria salvezza, non importa neanche appartenere a una religione, anche se sei un ateo che risponde ai dettami della tua coscienza, questo lo dice il Concilio Vaticano, consegui la tua salvezza.

Quindi non è obbligatorio seguire Gesù. Non si segue Gesù per salvarsi, si segue Gesù per realizzare pienamente la propria esistenza. E Gesù fa questo paradosso: “se qualcuno vuol venire dietro a me”, ricordate che a Pietro ha detto “torna a metterti dietro di me”; e adesso gli dice come: «rinneghi sé stesso», il che non significa frustrare la propria esistenza, ma rinunciare a questi ideali di ambizione, «sollevi la sua croce e mi segua». Abbiamo già affrontato in altri incontri il tema della croce. La croce non è come comunemente si dice “data da Dio” ma “scelta dagli uomini”. La croce è il patibolo, il supplizio, che non è che Dio dà a tutti quanti, ma coloro che liberamente, volontariamente, per amore, vogliono seguire Gesù, la devono sollevare, da sé. La croce non viene data ma viene presa per seguire Gesù. Che cos’è la croce? La croce, lo abbiamo già visto, non sono le sofferenze o le malattie, che la vita, inevitabilmente, ci fa portare ma, nel linguaggio biblico significava, essendo una pena di morte riservata ai rifiuti della società, la perdita totale della propria reputazione. Allora Gesù dice: “se qualcuno consegue desideri di successo, di ambizione, non pensi a venirmi dietro, perché seguire me significa perdere completamente la propria reputazione”.

Poi, dopo, c’erano i versetti che abbiamo letto. Siamo quindi alla conclusione. 12

«Vi assicuro, vi sono alcuni tra i presenti che non morranno finché non vedranno il figlio dell’uomo venire nel suo regno».

L’episodio che segue è la trasfigurazione. A questi discepoli, a Simone che non comprende Gesù perché pensa che la morte sia la fine di tutto, nella trasfigurazione Gesù mostra qual è la condizione dell’uomo che passa attraverso la morte. Non è vero che la morte diminuisce le persone ma le potenzia, non è vero che la morte distrugge le persone ma la morte è quel momento della propria esistenza che consente alla persona di liberare tutte quelle energie, quelle capacità che aveva ma che nella vita terrena non gli è stata data la possibilità di esprimere. La morte per Gesù è un dormire e il dormire è un aspetto dell’esistenza che consente quasi di prendere con più vigore la vita.

 

 

Basilica di Santa Maria delle Carceri

Prato ‐ 16 maggio 2001

Trasposizione da audioregistrazione non rivista dall’autore

a cura di Fabrizio Fiaschetti e Tiziana Guazzini 2

 

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