LA SCOMPARSA DI GIOVANNI NAVARRU. Un esperto dei problemi del settore agropastorale, di Federico Francioni

È da poco mancato Giovanni Navarru che fu a lungo docente nella Facoltà di Agraria dell’Università di Sassari, studioso profondo dei problemi storici e tecnico-economici del comparto agropastorale sardo, nonché imprenditore.

Avevo avuto modo di conoscerlo nell’aprile del 2003, durante lo svolgimento del Convegno “Antonio Simon Mossa: l’architetto, l’intellettuale, il federalista dall’utopia al progetto”, promosso dalla Consulta per la lingua sarda (di cui chi scrive è presidente e che comprende i Comuni di Sassari, Sorso, Sennori, Porto Torres e Stintino). All’importante iniziativa – voluta soprattutto da Giampiero (Zampa) Marras (affezionato discepolo di Simon) – avevano partecipato Antonio Arca, Manlio Brigaglia, Gianfranco Contu, Salvatore Cubeddu, Lorenzo Del Piano, Giovanni Lilliu, Paolo Fois, Giovanni Maciocco, Mario Melis, Sergio Salvi, Antonio Santoni Rugiu, Fiorenzo Serra, Giuseppe Usai e tanti altri. Durante gli intervalli dell’importante iniziativa e nei momenti conviviali lo avvicinai (ero già a conoscenza di qualcuno dei suoi scritti) ed ebbi modo di  apprezzarne l’affabilità e la vivacità intellettuale.

Nel suo intervento Navarru esaminava la posizione assunta da Simon Mossa verso le vicende seguite all’istituzione della Cassa del Mezzogiorno ed alla riforma fondiaria, nota nell’isola come legge stralcio o Segni (31 ottobre 1950, n. 841). «[…] la distribuzione della proprietà fondiaria – affermava Navarru – era piuttosto anomala in quanto, accanto alle grandi estensioni di pertinenza privata, esisteva una miriade di aziende caratterizzate da minime dimensioni, tali da non assicurare sufficienti possibilità di lavoro e relativi redditi. Tra espropri ed acquisti la riforma interessò circa 97.000 ettari. Il riscontro, nel giudizio di Simon Mossa, fu negativo e ciò nonostante fosse fautore del presupposto “la terra ai contadini”. In proposito anzi si espresse molto duramente. Parlò infatti di “leggerezza demagogica con la quale l’ente di trasformazione ha pianificato l’appoderamento in larga parte del territorio, che ha causato una costante fuga degli assegnatari”».

Negli anni seguenti al convegno su Simon Mossa non incontrai Navarru. Ebbi un lungo colloquio con lui il 5 maggio 2013: era come sempre al suo fianco l’amata moglie, Maria Antonietta Bertolini, donna colta, autrice di componimenti poetici, gradevolmente partecipe e sua ironica complice nelle conversazioni.  Egli si avvicinava ai 93 anni  e tuttavia si rivelò lucido nell’esporre i problemi del settore e nell’indicarne le possibili soluzioni.

Momenti della biografia. Era nato ad Ozieri il 20 maggio 1920 da genitori di Tissi. Il padre Angelino era figlio di Baingia Serra, sorella di Bartolomeo, poeta in lingua sarda fra i più apprezzati. Anche il padre aveva coltivato la passione per la poesia nella lingua nativa.

Navarru mi parlò anche dei suoi studi universitari: si era iscritto alla Facoltà di Agraria dell’Università di Perugia e si era laureato sostenendo ben 32 esami – con buona media -  in due anni e pochi mesi; riteneva, con legittimo orgoglio, di aver conseguito una sorta di guinness dei primati pressoché imbattuto (se non imbattibile).

Giovanissimo, aveva diretto la Scuola di avviamento professionale di Osilo, in sostituzione del dottor Alivesi, richiamato alle armi; aveva poi cominciato a lavorare come assistente volontario nella cattedra di Estimo ed Economia agraria, di cui era titolare Enzo Pampaloni, proveniente da Firenze, autore dei pregevoli volumi L’economia agraria della Sardegna e Pianificazione agricola. Navarru si impegnò anche nella conduzione dell’Osservatorio di Economia agraria della Sardegna, annesso all’Istituto universitario diretto dallo stesso Pampaloni. La Facoltà di Agraria dell’Ateneo turritano era stata creata grazie soprattutto al costante lavoro di Pampaloni ed al suo forte legame con Antonio Segni. Ferreo era il controllo politico-elettorale esercitato da quest’ultimo sul comparto.

Lo studioso. Resasi libera la cattedra tenuta da Pampaloni (a causa della sua morte), Navarru partecipò al concorso che vide vincitore un altro allievo del maestro, iscritto alla Dc. A Navarru lo stesso Pampaloni aveva suggerito di prendere la tessera democristiana perché la cosa (così egli si espresse) era “conveniente”, ma il giovane si era ben guardato dal farlo. Una scelta siffatta – egli mi disse nel nostro colloquio – poteva dipendere solo dalla condivisione di programmi, contenuti ed ideali: fu proprio per questi motivi che egli aderì al Partito sardo d’azione e solo per un breve lasso di tempo. Navarru riteneva che nei concorsi il curriculum degli studi, della ricerca e la produzione scientifica dovessero prevalere rispetto alle logiche dell’imperante, sbracata lottizzazione partitica. In ogni caso i tentativi della Commissione giudicatrice del concorso, tendenti a sminuire ed a screditare la validità scientifica degli scritti di Navarru, furono clamorosamente smentiti da un premio nazionale per lo studio dell’economia agraria che, in seguito, gli fu assegnato dall’Accademia dei Lincei. Fu lo stesso presidente della Repubblica, Sandro Pertini, che consegnò l’ambito riconoscimento a Navarru, dicendogli: “Professore, lei fa onore alla Sardegna!”.

Altri premi egli ricevette dall’Accademia agraria di Pesaro – per il volume La meccanizzazione agricola della Sardegna – e dall’Ente Fiera di Foggia.

Come si è detto, la biografia di Navarru si intreccia con i problemi storici, socioeconomici e politici legati alle vicende dell’Autonomia regionale, alla riforma agraria ed all’avvio del Piano di Rinascita, agli errori, alle responsabilità connesse al suo fallimento. Il già ricordato Pampaloni (che Navarru peraltro stimava) aveva avuto la presidenza dell’ETFAS, il già ricordato ente per la trasformazione fondiaria ed agraria della Sardegna, ma non sembrava la persona più adatta a cogliere le caratteristiche peculiari, i problemi e le difficoltà specifiche di agricoltura e pastorizia isolane. Non mancavano nell’Ente di riforma funzionari di un certo livello che lavoravano a fianco di uomini inseriti secondo le sole logiche di sottogoverno. Riflettendo sulle vicissitudini del Piano di Rinascita, Navarru ha scritto che, nonostante le enormi disponibilità finanziarie, i risultati furono ben inferiori alle prospettive, alle speranze e soprattutto alle promesse dei ceti dirigenti, sia locali, sia della penisola.

Qui è doveroso aprire una parentesi sulle scelte sciagurate dei gruppi dominanti – nella penisola e localmente – a favore dell’industrializzazione petrolchimica voluta dall’ingegner Nino Rovelli. Come ha ben chiarito un’acuta ed esauriente monografia della storica Vera Zamagni – che si è avvalsa di un’ampia mole di materiali inediti (soprattutto dell’IMI, Istituto Mobiliare Italiano) – non furono solo Giulio Andreotti e Stefano Siglienti i più accaniti sostenitori del Clark Gable della Brianza (così era soprannominato Rovelli). Questi usufruì in modo speciale del padrinaggio dello stesso Segni: con tali protettori Rovelli si sentiva – ed era -  in una botte di ferro.

Navarru imprenditore. Egli fu particolarmente impegnato nell’amorevole cura  di un’azienda che si estendeva in agro di Tissi per 120 ettari. In 20 di questi praticava la coltura vitivinicola, in altri 12 quella olivicola, 3 erano destinati alla frutticoltura e parte dei terreni restanti a seminativi vari. Valendosi dei contributi comunitari a favore della forestazione, aveva impiantato un noceto su 5 ettari ed inoltre una pineta (con Pino d’Aleppo) su oltre 4 ettari, pineta che andava verso l’inizio della maturità produttiva. Per non lasciare spazi inutilizzati intraprese anche l’allevamento ovino con 400 capi selezionati di razza sarda, che però dovette abbandonare (così egli precisò) non avendo trovato personale adatto.

Lo aiutarono in questa attività i suoi studi sulla rilevazione della contabilità aziendale che approfondì con particolare cura. Navarru aveva idee ben precise sull’uso dei macchinari – che devono essere conciliabili con le effettive dimensioni dell’azienda – sull’alternanza e la diversificazione delle colture (le leguminose con le graminacee) affinché le imprese zootecniche possano disporre di un’alimentazione integrale e razionale, nonché di scorte per tutto l’anno.

Il funzionamento delle aziende zooagricole è sempre stato reso particolarmente complicato, secondo Navarru, dall’apparato burocratico della Regione e dalle spese per le agenzie: Agris con 43 milioni per 507 addetti ed inoltre 160.000 euro per 20 consulenti; alla fine del 2010 Laore comportava spese per circa 100 milioni per 590 dipendenti e per 11 dirigenti, mentre 250.000 andavano a 248 consulenti. In Argea il costo del personale (555 unità) ammontava a 60 milioni.  «Da un lato quindi le agenzie, dall’altro gli assessorati – commentava Navarru – sono tali da creare una bardatura burocratica di ampie dimensioni i cui contraccolpi gravano pesantemente sugli agricoltori e di riflesso sull’intera economia agricola dell’Isola». D’altra parte codeste bardature, è essenziale precisarlo, sono state create per ben precise e consapevoli scelte politiche di sottogoverno.

Nel già ricordato colloquio che ebbi con lui nel maggio dello scorso anno, Navarru mi parlò a lungo delle principali realtà imprenditoriali del territorio. Surigheddu era senza dubbio imponente, ma anche Mamuntanas dell’ingegner Antonino Serra  - guidata poi dal figlio Fernando – praticava metodi di coltura e di allevamento con macchinari moderni, forse sovradimensionati rispetto alla mole effettiva dell’azienda. Navarru ricordava che, durante le stagioni estive, c’era una frequentazione attiva della sua famiglia con quella dei Serra (Fernando e Fiorenzo, regista cinematografico, poi dirigente scolastico) in quel di Tissi, paese natale dello stesso ingegner Serra (che fu ai vertici, fra l’altro, dell’Unione industriali di Sassari).

Quanto ho appreso da Navarru mi ha fatto ripensare ai miei soggiorni nella grande tenuta vitivinicola di Sella e Mosca: la mia famiglia risiedeva a I Piani, presso Alghero, dove mia madre, insegnante elementare, aveva una pluriclasse composta dai figli dei dipendenti.

I ricordi della mia infanzia sono stati resi ancor più gradevoli  da quella conversazione che ebbi lo scorso anno con il professor Navarru, sempre pacato e profondo nell’esporre i problemi della nostra agricoltura e nell’indicare alternative all’assistenzialismo, al clientelismo, insomma a tutti i gravi problemi che essa attraversa.

Pubblicazioni di Navarru. Qui ci si limita a segnalarne solo alcune:

L’economia agricola sarda nel pensiero di Antonio Simon Mossa, in Antonio Simon Mossa (1916-1971). L’architetto, l’intellettuale, il federalista dall’utopia al progetto, Atti del convegno di studi, Sassari, 10-13 aprile 2003, a cura di F. Francioni e G. Marras, Condaghes, Cagliari, 2004,  pp. 499-509, in particolare p. 505.

Sardegna agricola e pastorale. Aspetti storico-economici dalla fine del Settecento ai giorni nostri, Stampacolor, Muros (SS), 2005, 446 pp.

Sulle ali dei ricordi. Una vita all’insegna dello studio e del lavoro, Nuova Stampacolor, Muros (Sassari), 2013 (il testo comprende anche pagine e componimenti della già ricordata Maria Antonietta Bertolini).

 

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    1 Comment to “LA SCOMPARSA DI GIOVANNI NAVARRU. Un esperto dei problemi del settore agropastorale, di Federico Francioni”

    1. By Gerardo, 4 maggio 2014 @ 17:28

      Complimenti per l’articolo. Molto interessante. Continuate così, io sono un assiduo lettore!