Indipendentismo scozzese, un modello da cui imparare, di Luciano Marrocu

Non c’è la pretesa di rinnegare i legami con l’Inghilterra ma piuttosto la volontà di ridefinizione della governance all’interno degli stati d’origine. Da la Nuova Sardegna, 219 aprile 2014.


Che ogni movimento indipendentista sia fatto a modo suo già si sapeva. E particolarmente a modo suo sembra essere quello scozzese, che si trova oggi di fronte a un appuntamento decisivo. La domanda a cui i cittadini scozzesi dovranno rispondere nel referendum del prossimo 19 settembre è di brutale semplicità: “Dovrebbe la Scozia essere un paese indipendente?” Tutt’altro che semplice, invece, il complesso di argomenti e motivazioni che presentano i sostenitori del Sì. Chi si aspettasse un trionfo di tematiche etniche, magari del tipo “terra e sangue” come in altre esperienze europee a partire da quella dell’ex Jugoslavia degli anni Novanta, avrebbe di che rimaner deluso. Niente rappresentazioni in costume con Maria Stuarda regina di Scozia protagonista. Pochi i Kilt, di cui ormai tutti sanno essere il frutto tardo settecentesco di una classica “invenzione della trazione”. Se poi parliamo di immigrazione, gli indipendentisti scozzesi vorrebbero non meno ma più immigrati, così che non meraviglia l’esistenza di un gruppo di “Scozzesi Asiatici per l’Indipendenza”. Le ragioni del sì, poi, non solo sono presentate in modo quasi pacato ma quasi niente hanno a che fare con le usuali campagne secessioniste. A qualsiasi scozzese sarebbe difficile negare i legami profondi del loro paese con l’Inghilterra, il fatto ad esempio che la Scozia e gli scozzesi hanno avuto un ruolo di primissimo piano nella costruzione e nello sviluppo dell’Impero britannico. Il documento chiave a sostegno dell’indipendenza pubblicato dallo Scottish National Party, “Il futuro della Scozia s’intitola”, sostiene che la Scozia indipendente avrà la regina Elisabetta come capo dello Stato, starà nella Nato e nell’Unione Europea, la sterlina continuerà ad essere la sua moneta, gli scozzesi non perderanno l’accesso alle amatissime trasmissioni della Bbc. Perché, allora, l’indipendenza? La risposta la troviamo nel documento dello Scottish National Party: “La nostra storia nazionale è caratterizzata, attraverso le generazioni, da valori quali la solidarietà, l’eguaglianza, un’adesione fortissima all’idea del potere dell’educazione.” Sembrerebbe di capire, insomma, che sia stata la svolta conservatrice (e il conseguente indebolimento dell’ Walfare State) registratasi nel Regno Unito dai tempi di Margaret Tatcher) ad allontanare gli scozzesi, una parte di loro almeno, dall’idea dell’unione con inglesi, gallesi e nord irlandesi. È molto difficile che il Sì ottenga la maggioranza nel referendum del 19 settembre. Per cui, all’interno dello schieramento indipendentista, c’è chi inizia a valutare le conseguenze di una sconfitta. Che però, secondo qualcuno, una sconfitta non sarebbe se il Sì riuscisse a superare il quaranta per cento dei voti, come appare molto probabile. Un buon risultato aprirebbe infatti le porte a una rinegoziazione delle relazioni tra Londra ed Edimburgo, in una chiave di sicuro più favorevole ad Edimburgo. Non pare proprio che l’indipendentismo scozzese voglia proporsi come modello. Nè che vi siano altri indipendentismi disposti ad accettarlo come tale. Eppure una qualche lezione si può trarre dalla sua recente evoluzione. Che si può essere indipendentisti senza riproporre il modello ottocentesco dello stato-nazione e senza rinnegare i legami profondi, anche spirituali, con la storia nazionale, o meglio ancora plurinazionale, a cui si è appartenuti e a cui in un certo modo si continua ad appartenere. Postilla forse taciuta ma non per questo meno significativa il fatto che l’obiettivo della indipendenza possa essere abbandonato in favore di una ridefinizione della governance all’interno degli stati d’origine. Che, per parte loro, si sentono ormai alla fine della loro storia come stati-nazione.

 

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    2 Comments to “Indipendentismo scozzese, un modello da cui imparare, di Luciano Marrocu”

    1. By Oliver Perra, 24 aprile 2014 @ 09:28

      Brutta abitudine quella di interpretare avvenimenti a proprio uso e consumo.

      Non è vero che lo Scottish National Party è disposto ad “abbandonare” l’indipendenza come fine ultimo. E non è disposta a farlo proprio perchè il loro obiettivo è quello di diventare uno stato sovrano.
      Uno stato sovrano nell’Unione Europea avrebbe infatti maggiore potere di incidere nelle politiche dell’unione che toccano molti dei settori chiave della Scozia. Se non si è stato sovrano, l’accesso alle istituzioni che prendono decisioni in Europa rimarrebbe regolato e controllato dalla Gran Bretagna. Un parlamentare scozzese faceva l’esempio di come in una commissione europea sulla pesca la Scozia non fosse rappresentata mentre era rappresentato addirittura il Lussemburgo. La Scozia è circondata dal mare e ha 500 isole, il Lussemburgo non ha accesso al mare.

      Non è neanche vero che non esiste in Sardegna un indipendetismo come quello scozzese. Probabilmente il sig. Marroccu intenzionalmente omette che ProgReS e la coalizione di Sardegna Possibile presentatasi alle ultime elezioni sarde sostenevano e sostengono un indipendentismo civico in cui, in modo simile all’indipendentismo scozzese, i sardi sono definiti non in base alla lingua, all’etnia o alla religione, ma in base alla loro volontà di essere parte della comunità di cittadini sardi.

    2. By Giovanni Usai, 23 aprile 2014 @ 09:55

      Insomma, per Luciano Marroccu l’unico indipendetismo possibile è il non indipendentismo. Così come l’ùnica lingua possibile sono i dialetti esistenti. Quando finisce la presa in giro? E poi mi sembra informato male sul possibile esito del referendum.