SARDEGNA, TERRA DESOLATA, SCOMPAIONO I PAESI, di Piero Marcialis

L’editoriale della settimana, 3, domenica 26 gennaio 2013

 

In un panorama così desolato non si può vivere umanamente molto a lungo.

E’ ora, dunque, di ripartire. Ripartire dai paesi (dae sas biddas).

Dai paesi per farli ridiventare comunità, la fonte degli ideali.

Per farli rivivere come centri di cultura, di economia, di politica.

(Manifesto della gioventù eretica del comunitarismo,

di Eliseo Spiga – Francesco Masala – Placido Cherchi, gennaio 2000)

 

Già da alcuni anni la Fondazione Sardinia si occupa del problema del progressivo spopolamento dei nostri paesi: diminuzione di abitanti che non si limita al dato quantitativo, ma diventa elemento qualitativo, in termini di peggioramento della qualità della vita con la sparizione di servizi in realtà già carenti: chiude l’ufficio postale, o apre saltuariamente, chiudono scuole elementari e medie e vanno a combinarsi coi paesi vicini, costringendo a volte i fanciulli a percorsi penosi e disagevoli; chiudono, o diventano intermittenti, anche le farmacie, i laboratori medici, il medico generico e specialisti vari, i chioschi di giornali; cinema, teatro, informazione e spettacolo scompaiono del tutto o quasi; persino dei generi alimentari diventa carente la presenza, non parliamo dell’abbigliamento e di altri generi; aumenta la dipendenza dai centri urbani, l’obbligo di recarsi in città, il pensiero di andarci stabilmente, perchè a questo punto tanto vale viverci, e poi la città ha il fascino di una vita più libera dal controllo sociale, l’illusione che la noia non abiti mai là, che ci si arrangi meglio, con più occasioni.

Così il paese va in declino, la data della sua morte dipenderà soltanto dal prolungarsi o meno dell’agonia.

I risultati di uno studio del Centro di Programmazione Regionale, presentato questo giovedi 23 gennaio in un Convegno a Cagliari, sono allarmanti.

Presentano infatti un elenco di 30 comuni sardi in via di estinzione: Armungia (il paese natale di Emilio Lussu), Ballao, Esterzili, Seulo, Ussassai, Bortigiadas, Aidomaggiore, Ardauli, Asuni, Baradili, Montresta, Morgongiori, Nughedu Santa Vittoria, Ruinas, Simala, Sini, Soddi, Sorradile, Ula Tirso, Cheremule, Villa Verde, Villa Sant’Antonio, Anela, Borutta, Nughedu S. Nicolò, Giave, Martis, Padria, Semestene, Monteleone Roccadoria.

Gli ultimi due sarebbero condannati a scomparire entro dieci-quindici anni.

Hanno illustrato i dati: Gianluca Cadeddu, direttore del Centro Regionale di Programmazione; Gianfranco Bottazzi e Giuseppe Puggioni, dell’Università di Cagliari; Massimo Esposito, dell’Università di Sassari; gli esperti Antonello Angius ed Elena Angela Peta.

Che cosa si può, si deve, fare di fronte a questa catastrofe demografica?

Una catastrofe che non segnala solo una diminuzione della popolazione, ma un impoverimento sociale, culturale, politico, antropologico.

Paesi che sopravvivono dal tempo dei nuraghi, che oggi, dagli anni ’60, gli anni della Rinascita bugiarda, anzichè rinascere hanno visto dimezzata la popolazione, emigrati o inurbati i giovani, le forze migliori.

Sono 128 i paesi a rischio e il loro territorio interessa quasi un terzo della superficie dell’Isola. La loro scomparsa, entro questo secolo, è catastrofe generale, desertificazione della Sardegna, scomparsa della stessa identità.

Il tasso di natalità si riduce e supera il tasso di mortalità in tutta l’Isola, mentre il numero dei residenti si mantiene solo grazie all’immigrazione degli ultimi vent’anni: è fenomeno che toccherà l’intera Isola, non si creda che le città continueranno a crescere assorbendo il contado, il declino riguarderà anche i centri urbani, finirà la loro crescita; previsioni e proiezioni matematiche, calcolate sulle tendenze degli ultimi cinquantanni, mostrano una Sardegna che si riduce complessivamente a poche aree della costa e della pianura, molto meno popolate di quanto sono attualmente.

Le cause del disastro sono molteplici ed è dalla presenza intrecciata di molte di esse che si genera il fenomeno, così dunque anche i rimedi devono essere complessi e in grado di affrontare le diverse problematiche, partendo dallo studio e dall’analisi accurata caso per caso e dalla ricerca di soluzioni mirate che possono essere diverse caso per caso.

Il primo problema da affrontare è di far nascere reazioni e azioni positive; nei singoli paesi ognuno vede la realtà di questo fenomeno, ma fino a oggi le reazioni sono inadeguate: ad alcuni, con ottimismo fatalista, non sembra che ci si debba preoccupare (“andrà meglio, non sarà sempre così”); altri, con fatalismo pessimista, sono rassegnati al peggio (“non c’è niente da fare”).

Forse una strada da percorrere è quella di mettere in rete i paesi più vicini, favorendo i collegamenti, creando sinergie (come si usava dire tempo fa), organizzando servizi comuni, occasioni di ripresa, nuove soluzioni.

Fondazione Sardinia in questi anni ha cercato di agire su questi aspetti, a Bitti, a Seneghe, a Gesturi, dove abbiamo promosso incontri, dibattiti, convegni, coinvolgendo gli amministratori, gli operatori economici, sociali e culturali, i leader locali a qualunque titolo.

Proseguiremo questo impegno anche quest’anno, sia negli stessi comuni, sia in altri due che stiamo individuando in provincia di Sassari e di Nuoro.

L’esortazione dei nostri amici, ormai scomparsi, che ho messo in premessa, risale al 2000: abbiamo perso tempo, oggi è più urgente che mai.ESOLATA, SCOMPAIONO I PAESI.

 

 

PIERO MARCIALIS

 

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