«Pastori e contadini tornino a curare la terra come gli avi» , intervista a Giuseppe Pulina.

Occorre prevedere  specifiche giornate in cui chi lavora in campagna si dedica alle attività di manutenzione. E pr questo servizio viene retribuito dall’Ente pubblico.

 

 

 

Il professor Giuseppe Pulina «Quante volte sarà stata evocata, questa parola, nei giorni dopo l’alluvione? Come un mantra. Peccato però che “territorio” ormai sia un termine svuotato di significato». Perché?

«Perché ci si è dimenticati quei luoghi fisici – li chiamo alla maniera antica: su monte, su campu, su riu – che andavano governati ciascuno in maniera appropriata. Questi, insieme, fanno il territorio, ovvero quell’area vasta di ciascun comune che è come una trama: se sfugge una maglia si strappa tutto il tessuto». E in Sardegna, magari, il tessuto è lacerato… «Già. Un tempo c’era un governo puntuale del monte, del campo e dei corsi d’acqua. L’abbiamo perso». Il professor Giuseppe Pulina, 57 anni, docente di Zootecnica speciale e di Modelli matematici e statistici nella Facoltà di Agraria dell’Università di Sassari, conosce come le sue tasche i salti, le tanche, gli ovili dell’isola. E deve essere proprio per questo che le conseguenze dell’alluvione che ha devastato mezza Barbagia, parte della Gallura, fino all’Oristanese e al Campidano – con le campagne senza più chiudende, coperte da slavine di fango, punteggiate di voragini e crepe, promontori precipitati e colline sventrate – lui le soppesa guardando alla terra, a cos’era prima del diluvio e a cosa l’aspetta adesso. «Il territorio non si gestisce con le grandi opere, ma tutti i giorni con una buona agricoltura e una buona zootecnia. Una volta il contadino e il pastore facevano terrazzamenti, costruivano muretti a secco, curavano fossatelli e si preoccupavano di un governo puntuale del monte e del campo». Oggi non lo fanno più? «Non lo fanno più. I motivi? Perché l’agricoltura è diventata estensiva e perché queste sono attività che non vengono remunerate a chi sta in campagna e già vede i suoi prodotti pagati poco». E adesso come si fa a recuperare la terra violata? «Metterci mano in maniera artificiale creerebbe solo nuove erosioni. La natura pian piano rimargina le sue ferite. L’unico modo per aiutarla è ritornare all’antico con gli interventi di manutenzione per la difesa idrogeologica e idraulica del territorio e affidare questo compito agli agricoltori e ai pastori…». In che modo? «Pagandoli. Come si fa altrove. A Bolzano e a Trento, ad esempio, vengono previste specifiche giornate in cui chi lavora in campagna si dedica alle attività di manutenzione; altrimenti, in zone come quelle, al primo acquazzone verrebbe giù tutto. Ecco, per queste giornate è previsto e corrisposto un contributo. Qui da noi lo si potrebbe assegnare con una precisa misura nell’ambito del Piano di sviluppo rurale che sta per essere varato». L’alluvione ha poi trascinato via migliaia di capi di bestiame… «E infatti i piani di emergenza devono riguardare anche gli animali. Esiste a proposito un manuale della Fao che detta le linee guida per gli interventi in caso di alluvioni, incendi, terremoti e altre calamità». Fiumi e canali come foreste. Piante che hanno fatto da tappo al defluire dell’onda, è stata la denuncia di diversi sindaci. «Il problema è la cementificazione che ha sconvolto l’itinerario naturale dei corsi d’acqua. Una volta i fiumi avevano anse e golene, con la loro vegetazione, che facevano da sfogo alla forza dei flutti. L’acqua conservava quello che si chiama un flusso turbolento, il che garantiva la dispersione di energia. La regola, è bene ricordarlo, è che i corsi d’acqua vanno lasciati in pace. La natura la si governa solo obbedendole. E il nostro territorio possiamo tutelarlo anche sostenendo chi lavora in campagna». In che maniera? «Acquistando i prodotti locali. Non è solo un modo per mangiare sano e genuino. È anche il contributo che portiamo all’ambiente e al paesaggio».
L’UNIONE SARDA 05.12.2013

 

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