Il forestale di Gairo ed il modello turistico irlandese, di Davide Zaru

Qualche settimana fa, la mia ragazza austriaca si è definitivamente convinta che la Sardegna è davvero un posto d’altri tempi. Avevamo deciso di prendere il trenino verde sulla tratta Mandas-Gairo. La ragazza, da austriaca pragmatica, era stata l’unica a sollevare la questione pranzo: “E’ domenica, sicuri che troveremo qualcosa di aperto?”. E noi autoctoni, in coro: “Certo, non preoccuparti, gli ogliastrini sono i re della ristorazione, non si lasceranno scappare un gruppo di turisti allo sbaraglio!”. Fino a doverci arrendere all’evidenza che l’unico pubblico esercizio aperto a Gairo Taquisana, di domenica mattina, è un chiosco. Anzi, abbiamo appena fatto in tempo a pagare gli snack che anche il chiosco decideva di abbassare la serranda. Rassegnati al pranzo frugale a base di patatine, dopo qualche centinaio di metri, una macchina ci affianca e un avventore del bar ci porge delle buste con affettati vari, formaggio, pistoccu, bottiglie di cannonau. Alla nostra sospettosa domanda: “Grazie, ma quanto le dobbiamo per la generosità?”, il signore, che si presentarà come un forestale appassionato di speleologia, ci risponde: “Niente, quando io vado fuori sono abituato ad essere trattato così”.

E’ stato in quel momento che mi sono reso conto che il modello turistico irlandese, probabilmente, da noi non è proponibile. In aggiunta ai circa 6,5 milioni di Irlandesi che vivono attualmente in Irlanda, 80 milioni di persone sparse nel mondo dichiarano di avere origini irlandesi. Per entità, le proporzioni dell’emigrazione sarda non sono comparabili, ma non è nemmeno azzardato tentare un raffronto. Se accettiamo i dati del 2008 di www.sardegnamigranti.it, 500.000 persone di origine sarda vivono attualmente fuori dalla Sardegna, su una popolazione di circa 1.6 milioni di abitanti. Il trend è stato in forte crescita negli ultimi anni. In Irlanda, una fetta consistente del turismo è rappresentata proprio dalle visite di nord-americani di origine irlandese. Si tratta di persone che raramente hanno mantenuto radici con l’Irlanda. Hanno tuttavia sviluppato nel tempo un interesse a riannodare le proprie vicende familiari e a conoscere i luoghi dei propri avi. Un’amica irlandese ci raccontava di come non passi una settimana senza che uno sconosciuto turista americano non suoni alla porta di casa sua, a Dingle, presentandosi come un cugino di Detroit. Piuttosto che sopportare di buon grado le visite improvvisate dei tanti aspiranti parenti, gli irlandesi hanno colto le potenzialità commerciali del fenomeno. Con il lancio del programma “The Gathering 2013″, che si presenta come ” la più grande operazione turistica mai lanciata in Irlanda”, le autorità irlandesi hanno avviato una nicchia di turismo industriale incentrata sul ritorno/riscoperta delle proprie origini. Secondo il sito ufficiale www.thegatheringireland.com, l’agenzia turistica irlandese mira a “mobilizzare la diaspora irlandese affinché partecipi nel 2013 ad eventi organizzati da privati o organizzazioni non-governative al livello locale, incluse riunioni familiari e di clan a tornei sportivi”. Su questa base, la compagnia aerea di bandiera Air Lingus offre specifici pacchetti turistici “The Gathering”. Le ferrovie irlandesi hanno approntato una tariffa speciale. E così via. Inoltre, gli irlandesi di America non sono l’unico obiettivo del programma. “The Gathering” propone a genti di ogni nazione di partecipare agli eventi e di tirare fuori l’irlandese che c’è in ognuno di noi. Nel repertorio delle attività possibili c’è di tutto, dalla serata di danza folk al corso per imparare a mescere una pinta di Guinness come da manuale.

L’iniziativa non ha mancato di far sorgere polemiche. Ad esempio, l’attore Gabriel Byrne ha bollato l’iniziativa come “un imbroglio”, il quale maschera il sostanziale disinteresse del Governo nei confronti della diaspora irlandese per anni. Tuttavia, l’idea in sé mi sembra rimanga buona e francamente copiabile. Il fatto che l’ospitalità sarda sia genuina, innata e non necessariamente predisposta (come confermato dalla parabola del forestale di Gairo), un po’ di organizzazione non sarebbe male. Confrontandosi con un’esperienza come quella irlandese, il governo regionale sardo potrebbe cominciare ad alimentare un dibattito sulla prospettiva di un popolo sardo sempre più sparso nel mondo.

I giovani sardi della generazione degli –enni che vivono fuori Sardegna tornano in Sardegna d’estate e per le feste comandate e vivono una Sardegna fatta di mare, cene con i cari, pizzate con i compagni di classe. I pensionati sardi emigrati all’estero da ragazzi tornano in Sardegna per periodi anche più lunghi, e spesso si dilettano in attività quali la derattizzazione della seconda casa/caserma in Sardegna o la raccolta delle olive. I figli e nipoti di questi ultimi, nella mia esperienza personale, cominciano a tornare meno spesso. Conosco varie persone in Belgio, sardi di terza generazione, che si dichiarano tali, ma che ormai hanno praticamente perso ogni contatto con la Sardegna.  Progettano una vacanza isolana da anni, ma all’ultimo momento esitano. Difficile che prendano in mano la cornetta per presentarsi al parentame residente nell’isola, considerato che le rispettive spesso famiglie non hanno avuto contatti significativi per trent’anni. I vari Raphael Sanna e Marie Murru potrebbero vincere ogni timore pensando che in Sardegna non si è mai soli. Anche nel mezzo del bosco ogliastrino, in un placido pomeriggio di agosto, una guardia forestale spunterà dal nulla e darà sfoggio di una bellissima solidarietà barbaricina. Ma immagino che un programma più istituzionale, una versione sarda di “The Gathering” (suonerebbe un po’ come “Sos incontros”), renderebbe forse più appetibile una riscoperta dell’isola da parte dei nostri sardi fuori Sardegna permettendogli di accompagnarli alla riscoperta delle loro origini.

 

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