Bergoglio, rivoluzionario a modo suo, di Sandro Magister

La teologia di Francesco, a cura di Mauro Castagnaro, da Il  Re g no  - a t t u a l I t à      6 / 2 0 1 3    e    IL PAPA VENUTO DAL SUD,  Da conservatore ad amico dei poveri, di Washington Uranga

I teologi della liberazione lo elogiano, ma tra lui e loro c’è un abisso. I progressisti lo arruolano, ma lui se ne tiene lontano. Il vero Francesco è molto diverso da quello che tanti immaginano. Tre articoli per capirne di più.

ROMA, 16 maggio 2013 – In perdurante luna di miele con la pubblica opinione, papa Francesco s’è guadagnato anche l’elogio del più barricadiero dei teologi francescani, il brasiliano Leonardo Boff: “Francesco darà una lezione alla Chiesa. Usciamo da un inverno rigido e tenebroso. Con lui viene la primavera”.
Veramente, Boff ha lasciato da tempo il saio, si è sposato, e all’amore per Marx ha sostituito quello ecologista per madre terra e fratello sole. Ma è pur sempre il più famoso e citato dei teologi della liberazione.
Quando, appena tre giorni dopo la sua elezione a papa, Jorge Mario Bergoglio ha invocato “una Chiesa povera e per i poveri”, la sua annessione nelle file dei rivoluzionari sembrava cosa fatta.
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In realtà c’è un abisso tra la visione dei teologi latinoamericani della liberazione e la visione di questo papa argentino.
Bergoglio non è un prolifico autore di libri, ma quel che ha lasciato di scritto basta e avanza per capire che cosa ha in mente con quel suo insistito mescolarsi col “popolo”.
La teologia della liberazione la conosce bene, la vide nascere e crescere anche tra i suoi confratelli gesuiti, ma con essa marcò sempre il suo disaccordo anche a costo di ritrovarsi isolato.
Suoi teologi di riferimento non erano Boff, né Gutierrez, né Sobrino, ma l’argentino Juan Carlos Scannone, anche lui gesuita inviso ai più, che era stato suo professore di greco e che aveva elaborato una teologia non della liberazione ma “del popolo”, centrata sulla cultura e la religiosità della gente comune, dei poveri in primo luogo, con la loro spiritualità tradizionale e la loro sensibilità per la giustizia.
Oggi Scannone, 81 anni, è ritenuto il massimo teologo argentino vivente, mentre su quel che resta della teologia della liberazione già nel 2005 Bergoglio chiuse il discorso così: “Dopo il crollo del ‘socialismo reale’ queste correnti di pensiero sono sprofondate nello sconcerto. Incapaci sia di una riformulazione radicale che di una nuova creatività, sono sopravvissute per inerzia, anche se non manca ancora oggi chi le voglia anacronisticamente riproporre”.
Questa sentenza liquidatoria contro la teologia della liberazione Bergoglio l’ha infilata in uno dei suoi scritti più rivelatori: la prefazione a un libro sul futuro dell’America Latina che ha per autore il suo amico più stretto nella curia vaticana, l’uruguaiano Guzmán Carriquiry Lecour, segretario generale della pontificia commissione per l’America Latina, sposato con figli e nipoti, il laico di più alto grado in curia.
A giudizio di Bergoglio, il continente latinoamericano ha già conquistato un posto di “classe media” nell’ordine mondiale ed è destinato ad imporsi ancor più nei futuri scenari, ma è insidiato in ciò che ha di più proprio, la fede e la “saggezza cattolica” del suo popolo.
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L’insidia più temibile egli la vede in ciò che chiama “progressismo adolescenziale”, un entusiasmo per il progresso che in realtà si ritorce – dice – contro i popoli e le nazioni, contro la loro identità cattolica, “in stretto rapporto con una concezione dello Stato che è in larga misura un laicismo militante”.
Domenica scorsa ha spezzato una lancia per la protezione giuridica dell’embrione, in Europa. A Buenos Aires non si dimentica la sua tenace opposizione contro le leggi per l’aborto libero e i matrimoni “gay”.  Nel dilagare in tutto il mondo di simili leggi egli vede l’offensiva di “una concezione imperialista della globalizzazione”, che “costituisce il totalitarismo più pericoloso della postmodernità”.
È un’offensiva che per Bergoglio porta il segno dell’Anticristo, come in un romanzo che egli ama citare: “Il signore del mondo” di Robert H. Benson, un sacerdote anglicano, figlio di un arcivescovo di Canterbury, che si convertì al cattolicesimo un secolo fa.
Nelle sue omelie da papa, il frequentissimo rimando al diavolo non è un artificio retorico. Per papa Francesco il diavolo è più reale che mai, è “il principe di questo mondo” che Gesù ha sconfitto per sempre ma che ancora è libero di fare del male.
Ha ammonito in un’omelia di qualche giorno fa: “Il dialogo è necessario tra noi, per la pace. Ma con il principe di questo mondo non si può dialogare. Mai”.

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Questa nota, col titolo “Non è tutt’oro quel che Francesco”, è uscita su “L’Espresso” n. 20 del 2013, in edicola dal 17 maggio, nella pagina d’opinione “Settimo cielo” affidata a Sandro Magister.

 

 

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La teologia di Francesco, a cura di Mauro Castagnaro, da I l Re g n o – a t t u a l I t à 6 / 2 0 1 3

Padre Juan Carlos Scannone, gesuita ottantunenne, già docente in diversi atenei latinoamericani ed europei, compresa la Pontificia università Gregoriana di Roma, ed ex preside delle facoltà di Filosofia e teologia dell’Universidad del Salvador di Buenos Aires, è il massimo teologo argentino vivente.

– Che cosa pensa dell’ascesa del card. Bergoglio al soglio di Pietro?

«Il fatto che sia il primo papa “delle Americhe”, in particolare dell’America Latina, ha un grande valore simbolico, come la scelta del nome Francesco. Jorge Mario è una persona semplice, preoccupata per i poveri, per il rinnovamento evangelico della Chiesa e per un apostolato “nella città” realizzato anche per strada e non solo nei templi, come fu quello di san Francesco d’Assisi. Jorge Mario ha tre grandi qualità: è un uomo di spiritualità e quando era mio provinciale avevo l’impressione che governasse sulla base del discernimento spirituale, almeno nei miei confronti; è austero, tanto che a Buenos Aires si spostava in metropolitana o coi microbus e visitava spesso le villas miserias, sostenendo i preti che vi lavorano; è determinato, per cui attuerà i necessari cambiamenti nella Chiesa, ma senza strappi».

– Cosa pensa del suo operato nel caso del sequestro, durante la dittatura, di p. Orlando Yorio e p. Ferencs Jalics?

«P. Jalics ha smentito qualunque legame tra p. Bergoglio e il loro arresto (cf. in questo numero a p. 126). Io lo sapevo già, perché ero molto amico di p. Yorio, con cui a volte collaboravo sul piano teologico, e siccome p. Bergoglio abitava nella mia stessa casa, quando li fecero sparire, mi raccontava tutto quel che faceva, al pari del vescovo vicario di zona, mons. Mario Serra, per sapere dov’erano e ottenerne la liberazione. I militari negavano di averli arrestati, ma trapelò la notizia che erano detenuti alla Scuola di meccanica della Marina (ESMA), e quando si resero conto che erano innocenti, li trattennero vari mesi, secondo me perché non sapevano che fare. Alla fine li lasciarono addormentati (probabilmente narcotizzati) in un campo. Poi, anche con l’aiuto del provinciale, p. Yorio e p. Jalics ripararono all’estero per evitare una nuova desaparición».

– Che farà Francesco?

«Mi aspetto che dia impulso alla nuova evangelizzazione a partire dall’opzione preferenziale per i poveri, secondo l’indole di ogni cultura. Perciò guarderà molto all’Africa e stimolerà l’apostolato nei confronti dei più miserabili, nelle grandi periferie urbane e nel “quarto mondo”. Inoltre promuoverà l’ecumenismo e colloqui a livello mondiale con le altre religioni, in particolare con l’ebraismo e l’islam, sulla scorta di quanto ha già fatto in Argentina, dove c’è un dialogo a tre fra queste fedi e il cristianesimo. Immagino poi che tenterà di diffondere il suo stile di vita austero a tutta la Chiesa, la quale così si adatterebbe meglio alla cultura contemporanea. Terrà, infine, molto conto del fatto che è vescovo di Roma, certo senza trascurare la Chiesa universale, ma valorizzando la collegialità e il popolo dei fedeli nel suo insieme».

– Che conseguenze avrà la sua elezione per l’America Latina?

«Francesco conosce bene la Chiesa del continente. È stato relatore alla V Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano, svoltasi ad Aparecida, in Brasile, nel 2007, coordinando anche la commissione incaricata di redigerne il Documento conclusivo, per cui cercherà di incoraggiare la “conversione pastorale” di cui parla quel testo, soprattutto mettendo la Chiesa latinoamericana “in stato di missione” nelle grandi città. Probabilmente promuoverà il dialogo coi sindacati e le organizzazioni popolari per favorire una maggiore giustizia sociale, nonché la ricerca di accordi sulle politiche pubbliche per il bene comune. Valorizzerà, infine, la pietà e la spiritualità popolari, specie la devozione mariana tipica dell’America Latina».

– Come guarderà papa Bergoglio alla teologia latinoamericana?

«Jorge Mario è convinto dell’importanza spirituale e pastorale di una buona teologia all’altezza della cultura contemporanea e di ciascuna cultura particolare. Ritengo che appoggerà l’opzione preferenziale per i poveri come luogo ermeneutico per la riflessione teologica e pastorale latinoamericana. In Argentina ha sostenuto quella che io chiamo “linea argentina della teologia della liberazione”, da alcuni denominata “teologia del popolo”, e presumo che continuerà a promuoverla, senza ignorare altri orientamenti teologici».

– Quali sono le caratteristiche di questa «teologia del popolo»?

«Come la teologia della liberazione, utilizza il metodo “vedere-giudicare-agire”, lega prassi storica e riflessione teologica, e ricorre alla mediazione delle scienze sociali e umane. Però privilegia un’analisi storico-culturale rispetto a quella socio-strutturale di tipo marxista. È una riflessione sorta nell’immediato postconcilio, da una duplice fonte: il n. 53 della Gaudium et spes, in cui si parla della “cultura” come modo di vivere di ciascun popolo, letto nella convinzione che la prima evangelizzazione avesse molto contribuito a forgiare quella argentina quale si manifestava soprattutto nel cattolicesimo popolare; le teorie della società nate all’Università di Buenos Aires negli anni Sessanta e fondate sulle categorie di “popolo” e “antipopolo”, che riconoscevano l’ingiustizia, ma mettendo l’accento sull’unità del popolo piuttosto che sul conflitto, come sarebbe avvenuto usando il concetto di “classe”. Perciò questa corrente sottolinea l’importanza della cultura, della religiosità e della mistica popolare, affermando al contempo che a esserne gli interpreti più autentici e fedeli sono i poveri, con la loro spiritualità tradizionale e la loro sensibilità per la giustizia. Questa riflessione alimenta la pastorale dei quartieri popolari e delle villas miserias».

– Qual è la situazione della Chiesa argentina oggi?

Negli ultimi 15 anni l’episcopato ha mantenuto un dialogo critico con l’esecutivo, anche se una minoranza di vescovi ha un orientamento più conservatore. Sul piano sociale tutti riconoscono che la Chiesa è molto avanti, tanto nell’assistenza attraverso la Caritas quanto nella promozione umana, e a volte si scontra col governo perché la situazione dei poveri è migliorata grazie agli aiuti statali, ma mancano investimenti produttivi che creino posti di lavoro dignitosi. Sui temi morali, come l’aborto e il matrimonio tra persone dello stesso sesso, io credo si debbano difendere la legge naturale e i diritti dei non nati, ma dialogando di più con la società civile. Nel caso della Legge sul matrimonio ugualitario, se tra i vescovi fosse prevalsa la linea di chi voleva attestarsi sull’accettazione di unioni civili e non quella dell’opposizione radicale, penso si sarebbe potuto evitare di veder assurgere al rango di “matrimonio” le relazioni omosessuali, pur garantendo a tutte le persone diritti come l’eredità, pensioni di reversibilità, ecc. Secondo me, la gerarchia non si è ancora abituata al dialogo con la società postmoderna, che esprime un certo relativismo culturale».

 

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IL PAPA VENUTO DAL SUD,  Da conservatore ad amico dei poveri, di Washington Uranga

Lui stesso si è definito come il papa che i cardinali so­no andati a prendere «qua­si alla fine del mondo». Jorge Bergoglio, argentino, 76 anni, dal 13 marzo scorso è Fran­cesco, il papa della Chiesa cattolica. E un sacerdote di solida formazione te­ologica e filosofica, ma anche un uomo di profonda spiritualità, nonché studio­so di problemi politici e sociali. È dall’ età di 37 anni che è abituato a esercitare il discernimento e a prendere delle de­cisioni: a quell’ età fu eletto superiore provinciale della sua congregazione reli­giosa, la Compagnia di Gesù, in Argen­tina.

Ha fama di essere un uomo di pen­siero, dal carattere forte e deciso, ma allo stesso tempo gioviale e di grande spirito, come ha già lasciato intendere con le sue prime apparizioni pubbliche come papa Francesco. Da vescovo e da cardinale, Bergoglio si è guadagnato il rispetto dei suoi confratelli argentini e larinoamericani. Ma la sua figura non suscita indifferenza: tanti lo elogiano, ma quasi altrettanti lo hanno criticato. ‘lene apprezzato per la chiarezza con­cetruale, la coerenza di vita e l’estrema sobrietà. È stato criticato per la sua posizione nei confronti della dittatura militare che ha governato l’Argentina dal 1976 al 1983, e per gli scontri col governo del presidente Néstor Kirch­ner 2003-2007), e successivamente di Cristina Fernàndez de Kirchner (dal 2008 in avanti).

In quanto provinciale dei gesuiti nel paese spettava a lui intervenire al mo­mento della scomparsa dei religiosi Orlando Yorio e Francisco Jalics (1976; cf. riquadri alle pp. 126 e 128), ed è questo l’episodio per il quale è stato accusato di complicità con la dittatura militare e di mancanza di solidarietà verso i suoi confratelli. Mentre molti insistono sulle sue responsabilità, lo stesso Bergoglio e la Santa Sede respingono ogni accusa. E tra le fìle degli organismi impegnati nella difesa dei diritti umani in Argenti­na vi è chi difende l’attuale papa.

Quando era già vescovo e quando è stato chiamato a presiedere la Conferen­za episcopale argentina Bergoglio ha ri­conosciuto in più di un’occasione che la Chiesa, e specialmente la sua gerarchia, «non fece abbastanza» per denunciare le iniquità della dittatura militare, e ha chiesto pubblicamente perdono a nome della Chiesa. Tuttavia i vescovi argenti­ni non hanno acconsentito a mettere a disposizione della giustizia la documentazione che probabilmente è nelle loro mani e che potrebbe contribuire a fare luce sulle sparizioni e sui sequestri avve­nuti negli anni della dittatura.

Prima di essere nominato vescovo, Bergoglio è stato docente all’Universi­dad del Salvador (USAL) di Buenos Ai­res, retta dai gesuiti. In quel periodo era legato, non come membro, ma come consulente, a un gruppo politico di area peronista, la «Guardia de Hierro».’

Nel corso della sua carriera eccle­siastica l’attuale papa Francesco si è trovato a esercitare crescenti responsa­bilità. Nel 1992 è stato nominato vesco­vo ausiliare di Buenos Aires. Bergoglio ha scelto per la propria consacrazione episcopale il card. Antonio Quarracino, allora arcivescovo di Buenos Aires, il nunzio apostolico in Argentina Ubaldo Calabresi e mons. Emilio Ognenovich, allora vescovo di Mercedes. Una tema assai rappresentativa dell’area conser­vatrice della Chiesa in Argentina.

Ha imparato a fare il vescovo Dal 1997 in avanti Bergoglio ha guidato l’arcidiocesi di Buenos Aires e dal 200 l è un cardinale della Chiesa cattolica. Per due mandati consecuti­vi è stato presidente della Conferenza episcopale argentina (2005-20111. Fino alla metà del decennio scorso, in Ame­rica Latina Bergoglio era pressoché sconosciuto. Ma dal 2005 in poi l’at­tuale papa ha cominciato a stringere rapporti con i suoi confratelli latino­americani e nel 2007 è diventato una figura di riferimento della Chiesa con­tinentale.

In quell’anno si è svolta ad Aparecida .Brasile) la V Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano e dei Caraibi, la più importante assemblea della gerarchia cattolica del continente. Bergoglio vi ha partecipato, impressio­nando la maggior parte degli altri “e­scovi con i suoi interventi e con i suoi contributi. Per tale motivo fu scelto a far partc della piccola commissione di redazione del Documento conclusivo della Conferenza di Aparecida, alla quale parteciparono circa 300 vescovi di tutta la regione, più i numerosi invi­tati da ogni parte del mondo. Chi era presente conferma che Bergoglio è sta­to il principale estensore del testo poi approvato dall’assemblea.”

Lo si può definire un conservatore sul piano dottrinale e sul piano morale. Un uomo dell’ortodossia ecclesiastica. J\;1a al tempo stesso è una persona che vive in modo austero, semplice, e che ha grande sensibilità per le questioni sociali. Coerente con la dottrina socia­le della Chiesa, che ha studiato e che conosce a fondo, predica la giustizia e rivendica la necessità di combattere la povertà. A tal fine non sceglie la via del­la rivoluzione, ma l’alternativa di una più giusta distribuzione della ricchezza per mezzo della presa di coscienza e della responsabilità sociale di chi detie­ne il potere economico e politico.

I preti di Buenos Aires e tanti tra i fedeli dell’arcidiocesi lo ricordano come un uomo capace di star loro vi­cino, preoccupato delle persone e delle loro situazioni nonché dotato di gran­de sensibilità popolare. A Buenos Aires era facile vcderlo nei quartieri popolari, celebrare lì la messa insieme ai preti o visitare i malati negli ospedali pubblici. Austero in tutti i sensi, si spostava con i mezzi pubblici, non possedeva un’au­tomobile e indossava la veste solo per le cerimonie religiose, mentre abitual­mente portava il clergyman nero con la croce pettorale di legno.

Da vescovo Bergoglio non è stato tra i personaggi prediletti dai mass media. Xon concedeva interviste e ha sempre preferito i contatti riservati e a registra­tore spento, anche con i giornalisti di sua fiducia. Restio alle manifestazioni pubbliche, è stato tuttavia al centro di un’intensa attività politica fatta di dia­loghi e di contatti riservati con i diri­genti di diversi soggetti politici e sociali, che si presentavano spesso nell’ufficio presso la cattedrale di Buenos Aires per chiedere il suo parere o conoscere il suo pensiero. Altre volte, sempre in forma riservata, era lo stesso cardinale a con­vocare i suoi interlocutori per metterli al corrente del suo punto di vista.

Nel 2005 il presidente Néstor Kirchner ha deciso di interrompere la tradizione secondo la quale ogni 25 maggio, festa nazionale, le massi­me autorità del paese si recavano alla cattedrale di Buenos Aires per presen­ziare al Te Deum di ringraziamento. Bergoglio aveva pronunciato diverse omelie che il governo aveva interpre­tato in senso critico o di ammonimen­to rispetto al proprio operato. È stato in quell’occasione che Néstor Kirch­nel’ ha definito Bergoglio «il principale leader dell’opposizione (politica)». Da allora in poi il rapporto tra Chiesa e governo si è fatto più teso.

Bergoglio politico

Bergoglio è un «politico», uno stra­tega che, come i giocatori di scacchi, sa spostare i propri pezzi senza esaurire in un’unica mossa tutte le possibilità. Piuttosto pensa sempre le cinque o sei mosse successive, comprese le alternati­ve che si possono presentare.

Francesco ha fama di buon ammi­nistratore, al quale non trema certo il polso nel momento in cui deve prende­re decisioni importanti. È possibile che ci sia anche questa tra le ragioni che hanno indotto i cardinali a sceglierlo, in un momento in cui la Chiesa cattolica di tutto il mondo ha bisogno di mettere ordine al proprio interno, di porre fine alle lotte di potere, di sistemare le sue finanze e di rendere più trasparente la sua immagine pubblica.

Nel corso del suo ministero pasto­rale in Argentina il card. Bergoglio ha sostenuto e rinvigorito le forme della religiosità popolare, che in questo pae­se conservano la loro importanza. Ogni anno ha partecipato al grande pelle­grinaggio a piedi al santuario mariano della Virgen de Lujàn, quando centina­ia di migliaia di persone percorrono i più di 50 chilometri che separano la ca­pitale argentina dalla basilica dedicata alla patrona della nazione, chc si trova in una località che porta essa stessa il nome di Lujàn. C’era una spiritualità marcatamente mariana dietro la gran parte delle omelie di Bergoglio, molto simpatetica con la devozione del popo­lo argentino.

Ma ha anche tenuto vive le altre celebrazioni religiose di massa della capitale argentina. TI 7 agosto centi­naia di migliaia di pellegrini si recano al santuario di San Cayetano, patrono «del pane e del lavoro». Bergoglio non è mai mancato, promuovendo questa devozione e condividendola in qualità di vescovo.

Tra le altre priorità di Francesco c’è stata l’educazione cattolica, cui ha dato sostegno e appoggio, trattando an­che con lo stato argentino per ottenere i fondi necessari a mantenerla in vita. Sotto la gestione Bergoglio le istituzioni scolastiche cattoliche hanno ricevuto un forte impulso.

La lettura delle omelie e dei docu­menti dell’attuale papa Francesco fa chiaramente comprendere che Bergo­glio condivide una prospettiva eccle­siologica fondata sull’autonomia reci­proca tra Chiesa e stato, a partire dalla quale sostiene la necessità che Chiesa e stato abbiano una relazione «orizzon­tale» e paritaria, da potere a potere. È stato questo, in larga misura, il moti­vo del suo conflitto permanente con il presidente argentino Néstor Kirchner: avevano visioni diverse e contrastan­ti del posto che spetta allo stato e alla Chiesa nella vita politica argentina. Quando veniva ricordato a Bergoglio che Kirchner era «il presidente della nazione», lui regolarmente rispondeva: «e io sono l’arcivescovo e il cardinale di Buenos Aires».

 

 

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    2 Comments to “Bergoglio, rivoluzionario a modo suo, di Sandro Magister”

    1. By ditta-traslochi, 5 giugno 2013 @ 00:19

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    2. By trasloco-ufficio, 4 giugno 2013 @ 16:44

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