Quando è che io e gli altri stiamo bene: i soldi non bastano, ma …

(salute, istruzione e formazione, lavoro, benessere economico, relazioni sociali, politica e istituzioni, sicurezza, benessere soggettivo, paesaggio e patrimonio culturale, ambiente, ricerca e innovazione, qualità dei servizi). Un sistema di indicatori per osservare il benessere individuale e sociale. Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile (Bes) del Cnel e dell’Istat. Articolo pubblicato nel sito Sociale e Salute, Aprile 2013

Un sistema di indicatori per osservare il benessere individuale e sociale

4/04/2013

Con il primo Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile (Bes) il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) e l’Istituto nazionale di statistica (Istat) hanno creato un rilevante strumento per valutare i risultati dell’azione pubblica e un riferimento per osservare l’evoluzione di un programma, per individuare possibili priorità per l’azione politica e sociale.
Il Rapporto propone un insieme di 134 indicatori, disaggregati a livello territoriale e per gruppi sociali, che ci consentono di osservare i risultati raggiunti e gli impatti di trasformazioni economiche e sociali su 12 dimensioni del benessere individuale e sociale, (salute, istruzione e formazione, lavoro, benessere economico, relazioni sociali, politica e istituzioni, sicurezza, benessere soggettivo, paesaggio e patrimonio culturale, ambiente, ricerca e innovazione, qualità dei servizi).
Il Rapporto può rappresentare un riferimento importante per chi opera nel sociale, per chi intende assumere il benessere equo e sostenibile di una comunità o di una regione come obiettivo delle politiche sociali. Gli indicatori sono stati selezionati molto attentamente e possono essere utilizzati utilmente come misurazione di un obiettivo da raggiungere, come parametro di qualità, per valutare l’effetto ottenuto di un programma sociale attivato.
L’Italia è in ritardo in molti domini del benessere individuati, rispetto all’Europa; la Sardegna, a sua volta, è frequentemente in ritardo rispetto alla media delle regioni italiane: ha un tasso standardizzato di mortalità per tumore e un tasso di mortalità per demenze e malattie del sistema nervoso più alti della media delle regioni, non ha una grave diffusione delle deprivazioni economiche più severe sebbene abbia un’alta incidenza di persone che vivono in famiglie senza occupati; il livello di fiducia nei confronti degli altri è molto basso.
In fatto di servizi garantiti agli abitanti, la realtà italiana offre un quadro di luci e ombre. La qualità dei servizi sociali non è sempre adeguata, anche se ha visto significativi miglioramenti nel tempo. La lunghezza delle liste d’attesa resta un ostacolo importante all’accessibilità del Servizio sanitario
nazionale. Negli ultimi anni la quota di anziani trattati in Assistenza domiciliare integrata è raddoppiata e molti più bambini sono stati accolti in strutture pubbliche per la prima infanzia, anche se la quota di bambini che usufruisce di questi servizi è ancora esigua (il 14%). In Sardegna ben il 2,4% delle persone, contro una media nazionale dell’1,2%, ha rinunciato ad una visita o ad un trattamento terapeutico per la lunghezza delle liste di attesa; la quota di anziani in Assistenza domiciliare integrata è appena del 2,4% contro una media nazionale del 4,1. Più favorevoli sono invece i dati riguardanti le strutture per l’infanzia.
Il rapporto rileva come in Italia si vive sempre più a lungo ma sono forti le disuguaglianze sociali.
La vita media continua ad aumentare e l’Italia è tra i Paesi più longevi d’Europa. Le donne, a fronte dello storico vantaggio in termini di longevità, che tuttavia si va riducendo, sono più svantaggiate in termini di qualità della sopravvivenza: in media, oltre un terzo della loro vita è vissuto in condizioni di salute non buone. Nel 2010 un nuovo nato può contare su 59,2% anni di vita in buona salute se maschio, 56,4% se femmina. Lo svantaggio per i residenti in Sardegna è significativo, di 5,6 anni se maschio e di 4,6 anni per le femmine.
La popolazione, peraltro, continua ad essere minacciata da comportamenti a rischio: l’obesità è in crescita (circa il 45% della popolazione maggiorenne è in sovrappeso o obesa); l’abitudine al fumo, a distanza di 10 anni, mostra solo una lieve flessione (nel 2001 i fumatori erano il 23,7% della popolazione di 14 anni e più, nel 2011 sono il 22,7%, una quota stabile dal 2004), ma non diminuisce per i più giovani; tra questi ultimi peraltro si sono diffuse pratiche di abusi nel consumo di bevande alcoliche (bingedrinking).
Uno stile di vita sedentario caratterizza una proporzione non indifferente di adulti (circa il 40% non svolge alcuna attività fisica nel tempo libero); inoltre, in Italia oltre l’80% della popolazione consuma meno frutta e verdura di quanto raccomandato. Elementi questi che rappresentano fattori di rischio per l’oggi, ma a maggior ragione per il futuro se si consolidassero negli stili di vita della popolazione. Mezzogiorno e persone di estrazione sociale più bassa continuano a essere le più penalizzate in tutte le dimensioni considerate.
La soddisfazione dei cittadini per le relazioni familiari è tradizionalmente elevata nel nostro Paese. Nel 2012, sono il 36,8% le persone di 14 anni e più che si dichiarano molto soddisfatte per le relazioni familiari; a questi si aggiunge un 54,2% che si dichiara abbastanza soddisfatto. Tuttavia, il carico del lavoro di cura che ne deriva – soprattutto per le donne – rischia di diventare eccessivo, anche a causa della carenza di alcuni servizi sociali. Intorno alla famiglia si tesse una rete di relazioni con parenti non conviventi e amici, che svolge un ruolo fondamentale nella dotazione di aiuti sui quali individui e famiglie sono abituati a contare. Nel 2009, quasi il 76% della popolazione ha dichiarato di avere parenti, amici o vicini su cui contare e il 30% ha dato aiuti gratuiti.
In Sardegna la soddisfazione per le relazioni familiari ha valori inferiori alla media nazionale, mentre è molto più alta la percentuale di sardi che dichiarano di avere persone su cui contare in caso di difficoltà e che hanno dato aiuti gratuiti a persone non conviventi.
Viviamo in una società in cui la presenza di reti sociali, familiari e di volontariato non è sufficiente a garantire un tessuto sociale forte a copertura dei bisogni primari della popolazione, specialmente delle fasce sociali più deboli. Nel Sud e nelle Isole, in particolare, tutte le forme di reti sociali appaiono più deboli rispetto al resto del Paese e la fiducia negli altri raggiunge il minimo.
Il livello di fiducia negli altri è uno dei principali indicatori di coesione sociale: la Sardegna ha valori decisamente superiori a quelli medi del Mezzogiorno, ma nettamente inferiori a quelli delle regioni del Nord. L’Italia è uno dei paesi Ocse con i più bassi livelli di fiducia verso gli altri: le persone quindi non si sentono sicure e tutelate al di fuori delle reti di relazioni familiari e amicali. In particolare, l’Italia mostra una fiducia molto inferiore rispetto a paesi come Danimarca e Finlandia, dove la quota di persone che esprime fiducia negli altri raggiunge il 60%.
La qualità dell’occupazione nel complesso appare in netto peggioramento e non solo per l’andamento congiunturale negativo. Se la costante incidenza dei lavoratori a termine di lungo periodo indica la persistenza in una condizione d’instabilità occupazionale, la crisi ha ridotto le possibilità di stabilizzazione dei contratti temporanei, soprattutto per i giovani (dal 25,7% del 2008 al 20,9% del 2011).
La presenza di lavoratori con bassa remunerazione (10,5%) e di occupati irregolari (10,3%) rimane sostanzialmente stabile negli ultimi anni, mentre cresce la percentuale di lavoratori sovra-istruiti rispetto alle attività svolte (21,1% nel 2010).
L’Italia è il paese europeo che, dopo la Spagna, presenta la più forte esclusione dal lavoro dei giovani e l’unico ove un’intera macro-regione assicura bassissime opportunità di occupazione regolare. Anche per le varie dimensioni della qualità dell’occupazione, le diseguaglianze rimangono cospicue a svantaggio delle donne, dei giovani e del Mezzogiorno.
Le condizioni economiche delle famiglie italiane sono peggiorate sensibilmente in questi ultimi anni.
Nel 2012 ben il 55,8% delle famiglie italiane (l’anno precedente era il 43,7%) si dichiara poco o per niente soddisfatto della propria situazione economica e con attese per il futuro sempre meno positive.
Ancora più allarmanti sono i dati sulla deprivazione materiale. Dopo la sostanziale stabilità che aveva caratterizzato gli anni precedenti, il 2011 segna un punto di discontinuità. Nel 2010, non si erano registrate variazioni significative della percentuale di individui in famiglie in condizione di deprivazione, cioè quelle con tre o più sintomi di disagio economico su un elenco di 9 (vedi NOTA) (la cui quota era leggermente aumentata dal 15,7% del 2009 al 16%), né di quella relativa alle persone appartenenti a famiglie gravemente deprivate, cioè quelle con quattro o più segnali di deprivazione (6,9% delle famiglie nel 2010, contro il 7% dell’anno precedente). Nel 2011, invece, l’indicatore di deprivazione cresce di 6,2 punti percentuali, raggiungendo il 22,2%, e la deprivazione grave cresce dal 6,9% all’11,1%. In particolare, aumenta la quota di individui in famiglie che dichiarano di non poter sostenere spese impreviste (dal 33,3% al 38,4%), quella di coloro che affermano di non poter permettersi, se lo volessero, un pasto adeguato (cioè con proteine della carne, del pesce o equivalente vegetariano) ogni due giorni (dal 6,7% al 12,3%).
La maggior parte di coloro che nel 2011 si trovano in grave deprivazione, nell’anno precedente avevano condizioni di vita migliori, presentavano al massimo due sintomi di deprivazione (53,8%): in particolare, circa il 16,1% non segnalava alcun sintomo di deprivazione, il 13,9% ne indicava solo uno e il 23,8% ne riportava due. La transizione alla deprivazione non ha coinvolto soltanto individui appartenenti alle fasce di popolazione con redditi più bassi: tra gli individui che nel 2011 erano in condizioni di deprivazione materiale il 22,0% si collocava nell’anno precedente nel quintile di reddito più basso, ma sono il 18,9% quelli che si collocavano nel secondo quinto di reddito e il 12,1% nel terzo e hanno peggiorato sensibilmente in un anno la loro condizione economica.
Rispetto al passato aumentano sensibilmente i divari territoriali e sociali: nelle regioni del Mezzogiorno l’indicatore di deprivazione materiale – stabile al 25% tra il 2009 e il 2010 – sale al 36,5% nel 2011; in questa ripartizione geografica cresce in misura significativa soprattutto la deprivazione grave, con un aumento di oltre 7 punti percentuali (da circa il 12% del 2009 e del 2010 al 19,3% nel 2011).
Il Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile e il sistema di indicatori proposto possono essere rilevanti nell’attuazione di un programma:

  • in quanto accrescono la nostra capacità osservativa sulla dinamica di vari fenomeni;
  • ci consentono di cogliere la situazione di partenza, rilevare che nella fase di avvio di un programma di contrasto della povertà, per esempio, la percentuale di famiglie che si collocano al di sotto della soglia di povertà è pari a…;
  • possiamo fare comparazioni (siamo al di sotto o al di sopra della media della regione);
  • ci consentono di osservare un andamento attraverso una serie temporale interrotta (a seguito dell’avvio di un programma di sostegno alla famiglia, si rileva una variazione nell’andamento tendenziale di un determinato fenomeno, alla sua conclusione il fenomeno riprende i suoi valori tendenziali);
  • formulare obiettivi (il programma intende ridurre la quota di famiglie senza occupati del …).

L’obiettivo del Rapporto, comunque, è ancora più generale. Con la Dichiarazione di Istanbul adottata nel 2007, importanti organizzazione internazionali – come l’Ocse, le Nazioni Unite, la Commissione Europea, la Banca Mondiale – hanno espresso il loro impegno a misurare il progresso delle società in tutti i paesi, andando oltre le misure economiche convenzionali come il PIL. Le statistiche ufficiali sono un “bene pubblico” e la disponibilità di indicatori statistici sui risultati economici, sociali, e ambientali e la loro divulgazione ai cittadini è fondamentale per promuovere un buon governo e il miglioramento dei processi democratici; può rafforzare la capacità dei cittadini di influenzare gli obiettivi delle regioni in cui vivono; può aumentare la credibilità delle decisioni politiche.

NOTA I 9 sintomi di disagio sono: i) non poter sostenere una spesa imprevista di 800 euro, ii) non potersi permettere una settimana di ferie all’anno lontano da casa, iii) avere arretrati per il mutuo, l’affitto, le bollette o per altri debiti come per es. gli acquisti a rate; iv) non potersi permettere un pasto adeguato ogni due giorni, cioè con proteine della carne o del pesce (o equivalente vegetariano); v) non poter riscaldare adeguatamente l’abitazione; non potersi permettere: vi) una lavatrice vii) un televisore a colori viii) un telefono ix) un’automobile.

Aree tematiche: Programmazione sociale e sanitaria

 

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