Caro Salvatore… , da Giovanni Columbu

Il regista di  SU  RE  ci scrive. Nell’articolo pubblicato lo scorso 6 aprile avevamo concluso: “Cerco la risposta alla domanda che stamane vorrei rivolgere a Giovanni. Ma perché, allora, anche secondo te, è SU RE?”.

Caro Salvatore, questo tuo pezzo ha lasciato anche me pensieroso. Mi sono domandato: cosa ho fatto? Cos’è questo film che ho tanto voluto, che so di avere realizzato solo in parte come volevo, che in parte se ne è venuto per conto proprio? Sì, avrei voluto dire di più di questo Re misterioso, perseguitato e ingiustamente condannato a morte, e di tutti i protagonisti della storia.

Avrei voluto raccontare  le parole meravigliose delle Beatitudini e altri episodi che ogni volta mi commuovono e che ho potuto solo accennare.

Ma non credo di aver voluto fare un “ennesimo” film su Gesù. Per me Su Re è un film che segue e presuppone i tanti film e le innumerevoli rappresentazioni d questa storia, come un quadro tra gli innumerevoli  quadri della Natività o della Via Crucis  o di un altro qualsiasi episodio del Vangelo, che rimanda a una storia più o meno nota universalmente e che comunque racchiude sempre in sé qualcosa del tutto, anche di quello che non è detto.

Naturalmente so che ha poco significato dire quali fossero i miei propositi. So che quello che conta è solo il rapporto che si stabilisce direttamente tra il film e lo spettatore. E ogni spettatore ha pieno titolo e tutto quel che occorre per dire del film e delle proprie impressioni. Dico comunque che quello che io ho voluto proporre sono dei frammenti, immagini che forse trovano riscontro in un immaginario o in un sogno condiviso, e che si ripropongono in una luce che muta in continuazione, che assume il tono in parte voluto da chi rivive o racconta e in parte scaturisce dai luoghi in cui tutto si circostanzia, dagli interpreti, dalla loro cultura, dalla loro lingua e sensibilità.

La Sardegna è rappresentata attraverso il Vangelo così come il Vangelo e la società umana sono rappresentati attraverso la Sardegna. Personalmente non trovo che la violenza e la cattiveria umana rappresentate nel film siano più di quanto è nella realtà di sempre e di ogni paese. E soprattutto non più di quello che racconta il Vangelo. Anzi, la violenza e la cattiveria degli uomini o il loro essere costantemente in bilico tra il male e il bene di cui si dice nel Vangelo è ancora più terribile. Inoltre credo che l’abbandono, il tradimento e la ricorrente non comprensione del Maestro, nel film, si accompagnino al dolore e all’amore dei discepoli, in particolare di Pietro e di Giuda.

Quanto alla risurrezione direi che tutto il mondo resta tutt’oggi più vicino all’Antico che al Nuovo Testamento. E che la speranza e il desiderio di riscatto si situano necessariamente in un orizzonte che speriamo e vogliamo sia prossimo ma che potrebbe essere lontano. Dunque Su Re è il Figlio di Dio? Ha una natura duplice più di quanto sia duplice la natura di ogni essere umano? Viene in senso proprio da un altro mondo o non appartiene nel senso che non si riconosce in questo mondo come tanti di noi potrebbero dire di se stessi? Chi è?

Sappiamo solo che dopo avere predicato e suscitato l’amore un uomo incorre i in una congiura e nella condanna di un potere che non tollera dissensi. Forse il Dio evocato è nel cuore degli uomini e nel mistero della natura. Forse il terremoto che tutti avvertono al momento della sua morte è solo interiore e delle coscienze.

Alla fine, pur con tutti i rammarichi che fatico moltissimo a gettarmi alle spalle, credo di dover accettare come un bene anche quello che non è detto e che suscita riflessioni e dubbi.

Aggiungo solo un’altra cosa, sul percorso del film. Io ho impiegato molto tempo a cercare le risorse che occorrevano e dopo tanto aver cercato ne ho trovato una parte. Però ho anche rifiutato dei soldi, da parte di un facoltoso ebreo che cito con massimo rispetto e con ammirazione, perché me li aveva offerti, tutto quello che occorreva per realizzare il film, a una condizione in cui lui credeva e che per lui era essenziale, e che io non ho accolto. La condizione era che dal film si deducesse che a mandare a morte Gesù era stato Pilato, non i sacerdoti.
Lo stesso Dreyer, il mio Maestro regista più amato, aveva intenzione di raccontare proprio questo nel film su Gesù, di cui scrisse la sceneggiatura, ma che non gli fu possibile realizzare. Ma quella condizione non l’ho accettata, pervaso com’ero di spirito necessariamente radicale, non solo per restare aderente al Vangelo ma perché quello che racconta il Vangelo, storicamente vero o no, mi sembrava e mi sembra molto più rispondente a quanto accade da sempre nella società umana e anche in Sardegna. Ovvero che i mali di un paese e di popolo non dipendono tanto da nemici esterni o colonizzatori invasori ma dai poteri interni e dalle responsabilità del popolo di quello stesso paese.

 

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