SU RE, la morte del giusto e la comunità assassina, di Salvatore Cubeddu

Ieri ho visto il film ‘Su Re’ di Giovanni Columbu. Il film dimostra cosa è, cosa può essere, un film. Immagini, emozioni, immersione fuori da te. Sono arrivato shoccato alla fine. L’inserimento nella vicenda era totale, ero tutto dall’altra parte. L’arte, quando arriva, ti porta in una realtà altra. Ti fa osservare quello che sei da una differente dimensione. Alienandoti fa vedere quello che non vedevi. Columbu ti  afferra e non ti lascia. Ci vuole tempo per uscirne.

Scorrevano i titoli di coda e sapevo che avrei dovuto parlare. Ero tra i promotori della visione collettiva, prima di iniziare avevo avvertito dal microfono che al dibattito sarebbe stato presente il regista. Ora era lì in sala. I titoli erano quasi finiti e cominciava a farsi chiaro. Invece il silenzio durava senza che scoppiasse l’applauso, dovuto, anche per cortesia.  L’ho iniziato io con calore. Ma in sala ancora prevaleva il pulsare dei sentimenti, non il battito delle mani.

Non mi son potuto permettere di non spostarmi in avanti. Ho detto, forse in sardo, che ero ancora shoccato, non mi riusciva di mettere in ordine pensieri da sottoporre alla discussione. Che parlasse chi ne aveva voglia e capacità. Forse stavo rendendo un pessimo servizio al film, ma io non la vedevo così. Quell’afasia era il segno che lo strumento aveva raggiunto il suo fine. Colpire lo spettatore.   Ero atterrito. Cosa mi era successo?

Non è semplice né facile dire ancora qualcosa sulla passione di Cristo, che non sia già successo. Mancava alla Sardegna il suo Cristo da raccontare. L’uomo che accetta di essere ammazzato per i suoi ideali. Indipendentemente da quelli che siano.

L’Uomo di Columbu non è un messia religioso. Dice brevemente che ama i poveri e odia i ricchi. E la condanna è la pena inflitta dalla comunità quando la questione arriva al dunque, quando uno vuole affermare idealità non condivise. Quando queste vengano rifiutate da tutti insieme e da ciascuno. Perché nel film i discepoli e le masse che un tempo seguivano Gesù non contano, sono meno di niente. Solo abbandono, tradimento, appena qualche cenno di amicizia da parte del D’Arimatea che richiede da Pilato il suo corpo morto.

Lo svolgersi del racconto suppone che esso sia più che conosciuto dallo spettatore. Che è invece chiamato a soffermarsi sui volti, costantemente presenti nel pieno dello schermo. Lo spettatore deve collocarsi tra di essi. Scegliere quali tra questi meglio rappresenti la sua parte di ‘non innocenza’ nel versamento del sangue di quel Giusto, che ha scelto di farsi ammazzare.

Il tempo del film è quello che va dalla sera del giovedì al dopo pranzo di venerdì, una ventina di ore. Le ore delle tenebre,  senza luce anche secondo i vangeli. Non c’è la buona novella né il successo della resurrezione. Assenti, la gioia dell’annuncio del Regno, come la conferma di esso con la vittoria sulla morte. C’è la morte, chi la riceve, confermando il sospetto che la cerchi, ma soprattutto chi la dà, tutto un popolo con le sue autorità, interne ed esterne, senza differenze.

L’angoscia. In questo film non c’è salvezza. Il giusto muore perché è tale. La gente condanna chi vuole essere migliore. E’ inutile essere giusti. Funziona  così in Sardegna?

Non sono abbastanza aggiornato in cinematografia da poter sostenere la discussione se ci troviamo di fronte al capolavoro del giovane cinema sardo. Difficile, però, trovare un’opera artistica che sia stata finora  in grado  di affermare, come questo film di Columbu, che il cristianesimo del vangelo e della risurrezione non è arrivato nell’Isola. Sconfitta del giusto e cattiveria della comunità. L’aridità rocciosa del Corrasi e le nuvole tempestose di cieli essi pure feroci sostengono e coprono l’impossibilità di una nostra redenzione.

Ritornerò oggi, da solo, a rivedere ‘Su Re’. Cerco la risposta alla domanda che stamane vorrei rivolgere a Giovanni. Ma perché, allora, anche secondo te, è SU RE?

 

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    2 Comments to “SU RE, la morte del giusto e la comunità assassina, di Salvatore Cubeddu”

    1. By Giovanni Columbu, 8 aprile 2013 @ 20:24

      Caro Salvatore, questo tuo pezzo ha lasciato anche me pensieroso. Mi sono domandato: cosa ho fatto? Cos’è questo film che ho tanto voluto, che so di avere realizzato solo in parte come volevo, che in parte se ne è venuto per conto proprio? Sì, avrei voluto dire di più di questo Re misterioso, perseguitato e ingiustamente condannato a morte, e di tutti i protagonisti della storia. Avrei voluto raccontare le parole meravigliose delle Beatitudini e altri episodi che ogni volta mi commuovono e che ho potuto solo accennare. Ma non credo di aver voluto fare un “ennesimo” film su Gesù. Per me Su Re è un film che segue e presuppone i tanti film e le innumerevoli rappresentazioni d questa storia, come un quadro tra gli innumerevoli quadri della Natività o della Via Crucis o di un altro qualsiasi episodio del Vangelo, che rimanda a una storia più o meno nota universalmente e che comunque racchiude sempre in se qualcosa del tutto, anche di quello che non è detto. Naturalmente so che ha poco significato dire quali fossero i miei propositi. So che quello che conta è solo il rapporto che si stabilisce direttamente tra il film e lo spettatore. E ogni spettatore ha pieno titolo e tutto quel che occorre per dire del film e delle proprie impressioni. Dico comunque che quello che io ho voluto proporre sono dei frammenti, immagini che forse trovano riscontro in un immaginario o in un sogno condiviso, e che si ripropongono in una luce che muta in continuazione, che assume il tono in parte voluto da chi rivive o racconta e in parte scaturisce dai luoghi in cui tutto si circostanzia, dagli interpreti, dalla loro cultura, dalla loro lingua e sensibilità. La Sardegna è rappresentata attraverso il Vangelo così come il Vangelo e la società umana sono rappresentati attraverso la Sardegna. Personalmente non trovo che la violenza e la cattiveria umana rappresentate nel film siano più di quanto è nella realtà di sempre e di ogni paese. E soprattutto non più di quello che racconta il Vangelo. Anzi, la violenza e la cattiveria degli uomini o il loro essere costantemente in bilico tra il male e il bene di cui si dice nel Vangelo è ancora più terribile. Inoltre credo che l’abbandono, il tradimento e la ricorrente non comprensione del Maestro, nel film, si accompagnino al dolore e all’amore dei discepoli, in particolare di Pietro e di Giuda. Quanto alla risurrezione direi che tutto il mondo resta tutt’oggi più vicino all’Antico che al Nuovo Testamento. E che la speranza e il desiderio di riscatto si situano necessariamente in un orizzonte che speriamo e vogliamo sia prossimo ma che potrebbe essere lontano. Dunque Su Re è il Figlio di Dio? Ha una natura duplice più di quanto sia duplice la natura di ogni essere umano? Viene in senso proprio da un altro mondo o non appartiene nel senso che non si riconosce in questo mondo come tanti di noi potrebbero dire di se stessi? Chi è? Sappiamo solo che dopo avere predicato e suscitato l’amore un uomo incorre in una congiura e nella condanna di un potere che non tollera dissensi. Forse il Dio evocato è nel cuore degli uomini e nel mistero della natura. Forse il terremoto che tutti avvertono al momento della sua morte è solo interiore e delle coscienze. Alla fine, pur con tutti i rammarichi che fatico moltissimo a gettarmi alle spalle, credo di dover accettare come un bene anche quello che non è detto e che suscita riflessioni e dubbi. Aggiungo solo un’altra cosa, sul percorso del film. Io ho impiegato molto tempo a cercare le risorse che occorrevano e dopo tanto aver cercato ne ho trovato una parte. Però ho anche rifiutato dei soldi, da parte di un facoltoso ebreo che cito con massimo rispetto e con ammirazione, perché me li aveva offerti, tutto quello che occorreva per realizzare il film, a una condizione in cui lui credeva e che per lui era essenziale, e che io non ho accolto. La condizione era che dal film si deducesse che a mandare a morte Gesù era stato Pilato, non i sacerdoti. Lo stesso Dreyer, il mio Maestro regista più amato, aveva intenzione di raccontare proprio questo nel film su Gesù, di cui scrisse la sceneggiatura, ma che non gli fu possibile realizzare. Ma quella condizione non l’ho accettata, pervaso com’ero di spirito necessariamente radicale, non solo per restare aderente al Vangelo ma perché quello che racconta il Vangelo, storicamente vero o no, mi sembrava e mi sembra molto più rispondente a quanto accade da sempre nella società umana e anche in Sardegna. Ovvero che i mali di un paese e di popolo non dipendono tanto da nemici esterni o colonizzatori invasori ma dai poteri interni e dalle responsabilità del popolo di quello stesso paese.

    2. By giovanni, 6 aprile 2013 @ 11:26

      Bellissimo post, lo condivido pienamente. Mi resta solo il dubbio che possa essere strumentalizzato per fini di una sola parte.