Anche i sardi hanno ucciso Gesù. Lo sconcertante e potente “Su Re” di Giovanni Columbu.

venerdì 5 aprile, ore 19,15Visione collettiva e dibattito con il regista. Cinema Odissea, viale Trieste 84, CAGLIARI.

VITO BIOLCHINI.  Anche i sardi hanno ucciso Gesù.

Alla fine di “Su Re” si resta spaesati, sbigottiti, attoniti. A cosa abbiamo assistito? Chi è l’uomo che è stato barbaramente giustiziato? E dove? E da chi? E perché? Siamo sicuri di avere visto un film sulla passione e sulla morte di Gesù oppure la storia che ci è stata proposta riguarda qualcun altro e non racconta la Palestina di duemila anni fa ma la Sardegna di oggi? E poi quel finale enigmatico, con tre bambini che ci guardano e si allontanano, che cosa significa?

La lavorazione del film “Su Re” è stata tormentata. Il regista Giovanni Columbu ha cercato a lungo e in tutti i modi le risorse per realizzare il suo progetto, per due volte bocciato dal Ministero perché ritenuto non interessante. In effetti, perché raccontare ancora la storia di Gesù, peraltro in lingua sarda? Una follia.

Così alla fine, le canoniche dieci settimane sul set sono state girate nell’arco di due anni, con numerosi stop e qualche ripensamento fondamentale: come quando il regista ha capito che l’attore che impersonava Giuda era più adatto a fare Gesù, e viceversa. E mai decisione fu più felice.

Il Gesù di Columbu è quanto di più lontano dall’iconografia classica: è un Cristo brutto, quasi deforme. E forse anche per questo la comunità si accanisce contro di lui: perché una persona così osa proclamarsi Figlio di Dio. Uno scandalo intollerabile.

La forza del film di Columbu sta soprattutto nella sceneggiatura (firmata dal regista insieme al padre, Michele) che, in un sapiente gioco di flashback e flashfoward, trasporta la cronaca delle ultime ore di Gesù in una dimensione onirica, dove i silenzi, le pause, i suoni assumono la stessa importanza delle parole, degli sguardi, dei gesti. Il resto lo fa una coraggiosa fotografia, dove i richiami alla storia dell’arte e del cinema non sono citazioni autocompiaciute ma materia viva e da plasmare esattamente come il racconto evangelico.

Dalla già essenziale narrazione di Matteo, Marco, Luca e Giovanni, Columbu distilla situazioni e parole: l’agghiacciante crocifissione innanzitutto, poi l’ultima cena, il tradimento di Giuda, il processo davanti al Sinedrio, la sofferenza di Maria, la salita al Calvario, un metafisico Monte Corrasi animato da ombre e volti. Perché gli unici corpi sono quelli, martoriati, di Gesù e dei due ladroni.

Grazie a Columbu la passione di Cristo assume risvolti inaspettati, il racconto così articolato (e che eravamo sicuri di conoscere anche nei minimi particolari) ci sorprende e ci turba ancora una volta. Col risultato che a sconvolgerci più di tutto è la violenza esercitata su di un uomo mite davanti agli occhi compiaciuti e complici della comunità. Esattamente come succede ancora troppe volte nei nostri paesi, dove si uccide per futili motivi, dove si uccide per una parola di troppo, magari al termine di processi sommari simili a quello celebrato dal sinedrio. E chi sa, tace. Anche i sardi hanno ucciso Gesù.

Con “Su Re” Giovanni Columbu non solo ci regala un altro film straordinario (perché il suo “Arcipelaghi” resta l’opera cinematografica sarda meglio riuscita fra le tante firmate dai registi isolani) ma ci insegna che l’artista non deve avere paura di niente e di nessuno ma solamente perseguire il suo obiettivo, senza timori.

Per anni il tentativo di Columbu di trovare le risorse per il suo film è stato accompagnato da un sotterraneo dileggio, ogni volta che il regista si rivolgeva alla Regione e alle istituzioni chiedendo di poter avere gli strumenti per completare la sua opera c’era sempre chi, ben nascosto, sputava veleno. Eppure il film alla fine è costato appena 800 mila euro.

La vittoria di Columbu è dunque contemporaneamente anche la sconfitta di tutta la Sardegna, incapace di sostenere un suo artista già evidentemente affermato, costretto però a una questua lunga dieci anni per poter realizzare la sua opera d’arte. “Su Re” resterà come pietra miliare nella storia della cultura isolana ma è purtroppo il frutto della straordinaria tenacia del suo autore, non di un sistema che riconosce e premia il valore degli artisti e li aiuta a lavorare nelle migliori condizioni possibili.

Dopo un’opera d’arte del genere, Columbu dovrebbe poter girare subito un altro film. “Arcipelaghi” è del 2001, “Su Re” del 2013. Speriamo che per vedere il terzo lungometraggio del regista non debbano passare altri dieci anni. Perché la Sardegna ha bisogno di artisti come lui, del uno sguardo coraggioso e libero da schematismi precostituiti.

Per questo in questi giorni, se potete, andate a vedere “Su Re”.

 

Esce “Su Re” un film in sardo puro

Articolo pubblicato il 16 marzo 2013

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“Su re, la passione” di Giovanni Columbu, questo giovedì esce finalmente nelle sale di tutta Italia (distribuito dalla Sacher di Nanni Moretti). Una interpretazione personale dei quattro evangelisti con la trasposizione in terra e in lingua sarda della condanna a morte, passione e crocifissione di Cristo. Con le scene che si alternano in ordine sparso ma col medesimo timbro greve, passo lento, colore offuscato di volti e luoghi profondamente sardi.

Son temi già trattati da tanti cineasti internazionali, quelli di Cristo, ma nessuno lo aveva fatto con la stessa tenerezza agrodolce di questo piccolo capolavoro sardo-jewis di Columbu. Può sembrare esagerato questo giudizio perché sono amico fedele di Giovanni sin dalla fine del secolo scorso, ma dopo l’uscita dell’altro suo primo lungometraggio “Arcipelaghi”, ho vissuto in prima persona le sue sofferenze fisiche e mentali (simili a quelle di Gesù) per portare a termine questo nuovo progetto ben più impegnativo e irto di difficoltà economiche e gestionali dell’altro. Alla fine hanno prevalso la sua determinazione, le sue ispirazioni (o apparizioni), i suoi lampi di genio. Come quello, a metà strada, di sostituire l’ attore principale e far fare Gesù a quello che prima doveva essere Giuda. Bravissimo in tal senso è stato Vincenzo Mattu, guardia giurata di Ovodda a interpretare quel ruolo. E’ stata una scelta dolorosa ma vincente. Voleva dire riniziare tutto da capo e Giovanni Columbu lo ha fatto per arrivare al prodotto finale.

Finora, al cinema, un Gesù brutto, grosso, fortissimo non lo si era ancora visto. Eppure quel viso estremamente dolce nella accettazione al tradimento e al martirio, ha caratterizzato ancora più il film rendendolo più umano. In contrapposizione Columbu ha messo per Giuda un giovane ragazzo dall’aspetto dolce e fragile. I grandi sacerdoti, gli accusatori, le donne, hanno i visi scolpiti e le espressioni barbaricine che si integrano perfettamente con la trasposizione effettuata da Columbu.

Questo sarà un film-cult che segnerà il curriculum del nostro cinema. Ho avuto la fortuna di lavorarci come ‘Ispettore di Produzione’, coordinando la vita dietro il set di questi attori/non attori, per lo più semplici allevatori o pastori di Orgosolo, Ovodda e Oliena con qualche Paolo Pillonca (Ponzio Pilato) o Tenores de Bitti che hanno recitato nei vari ruoli come artisti scafati. Come il pianto di Pietrina Menneas (Maria) sulla croce del Cristo sofferente. Aver vissuto per quasi due mesi buona parte delle riprese in questa larga famiglia che impegnava una ottantina di persone tra attori e maestranze è stato un pò come vivere tanti film dentro il film tra S. Giovanni di Sinis, Martis, Oliena, Lollove, Orani e altre località segrete.

Un film tanto atteso perché tra scrittura, riscrittura, programmazione, inizio riprese, cambio di attori e locations e diverse fasi di lavorazione e postproduzione il film ha impegnato un decennio della vita di Giovanni e dei suoi più stretti collaboratori, come gli operatori Antonio Cauterucci e Paolo Negro o la costumista Stefania Grilli. A proposito, bellissimi i costumi, prestati dal teatro lirico. Pur essendo ricco di gioielli interpretativi e scenici il film è però privo di una colonna sonora. La colonna sonora del film, tetro, cupo, sul filo della sofferenza, sono proprio quei lamentii, quelle mezze frasi urlate o bisbigliate, quei volti sardi duri, decisi, tra cieli nuvolosi. La colonna sonora sono quei venti e quei paesaggi lunari e indefiniti del Corrasi. Un film di poche parole in 90 minuti, che si allunga molto e dice tanto nelle espressioni e nei mugugni dei volti e in ciò che fa intuire. Un film in sardo puro. Logudorese, campidanese, sassarese (con sottotitoli in italiano).

In questi dieci anni, il vecchio padre di Giovanni, Michele Columbu, padre del sardismo e di tanti sardi, è morto, lasciando dolcemente questa terra. Eppure risorge e sembra di vederlo sentendo la sua voce narrante, che apre e chiude il film. Un film profondo di assolutamente valore artistico, come un’opera d’arte di legno pregiato, come un quadro d’autore che ti lascia silenzioso e attento osservatore per metabolizzre dopo parecchie ore i suoi contenuti. Ripensando ai quadri, alle scene, agli stalli, alle interpretazioni date sugli scritti dei quattro evangelisti: Luca, Giacomo, Giovanni e Matteo. Un contributo enorme alla nostra base culturale, per la quale Giovanni, su nostru, ha dato il meglio di sè.

Pietro Porcella

 

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