Novas sardas de sa chida, settimanale on-line della Fondazione Sardinia, Anno I, n° 04, domenica 26 febbraio 2012

Editoriale: NAPOLITANO, UNA VISITA PIENA DI ATTENZIONI E RISPETTO. UN PRESIDENTE IN POSIZIONE DI ASCOLTO CHE APRE ORIZZONTI. di Giacomo Meloni

IN  CUSTA CHIDA,  rassegna stampa della settimana

In custa chida, rassegna stampa sulla visita di Giorgio Napolitano, dai siti di Sardegna Democratica, Democrazia oggi, Sardegna e libertà, Partidu Sardu

CAGLIARI, via Roma, ore 10,20: fischi al presidente Napolitano.

 

 

NAPOLITANO, UNA VISITA PIENA DI ATTENZIONI E RISPETTO.
UN PRESIDENTE IN POSIZIONE DI ASCOLTO CHE APRE ORIZZONTI. di Giacomo Meloni

Giacomo Meloni (Cagliari 1947), laureato in filosofia presso l’Università di Cagliari è  stato militante cattolico e nella nuova sinistra,  attivo nel movimento studentesco universitario e nei comitati di quartierecagliaritani. Nel 1982 è tra i responsabili di Democrazia Proletaria Sarda e nel 1987 nel Gruppo Dirigente della Confederazione Sindacale Sarda (CSS) di cui diventa Segretario Generale Nazionale dal 1992 ad oggi. Nel 1990 entra nel PSDAZ nella Federazione di Cagliari. Nel 1991 è tra i soci fondatori della Fondazione Sardinia. E’ componente del Comitato per il Nuovo Statuto e la Costituente Sarda. A livello internazionale dal marzo del 2006 è,insieme ai sindacati Baschi,ai Catalani,ai Corsi,ai Valdostani,ai galiziani, coofondatore e membro permanente della Piattaforma Internazionale dei Sindacati delle Nazioni Senza Stato.

Chi pensava a un Capo di Stato austero ed ingessato nel suo ruolo istituzionale è stato certamente deluso. Neanche le manifestazioni pacifiche degli indipendentisti, per respingere “un presidente barbaro” e un “capo di stato straniero”, hanno avuto il duro impatto temuto. Giorgio Napolitano ha avuto la capacità di ascoltare e di parlare ai sardi direttamente e, anzi, ha rotto in molti casi il rigido cerimoniale previsto dal Quirinale, evidentemente “suggerito” dalle autorità isolane timorose che le contestazioni al Presidente si trasformassero in violente manifestazioni di piazza. Abbiamo, invece, vissuto le manifestazioni pacifiche e dignitose di un popolo che è provato da una pesante crisi, sia socio-economica che di sistema, di dimensioni sicuramente eccezionali.
Ma è pure fallito il tentativo delle autorità isolane di paludare e di nascondere, ancora una volta, il dramma delle popolazioni e della gente comune, di coloro che non hanno rappresentanza istituzionale diretta: il dramma dei pastori; degli artigiani e dei commercianti; dei detentori delle partite IVA falcidiati dalla insopportabile pressione fiscale di Equitalia; degli agricoltori esecutati, che perdono ogni giorno le loro aziende e si ritrovano con le abitazioni vendute all’asta dalle banche (a causa dei debiti impossibili da onorare per effetto soprattutto degli effetti della Legge Reg. le N°44 del 1988); dei parenti delle vittime dei disastri ambientali e delle industrie inquinanti; dei familiari dei militari e dei civili morti, degli ammalati gravi di tumore contratti nei poligoni militari operanti in territorio sardo.
Tutto questo si voleva nascondere al Presidente e giustamente la rabbia è esplosa.
La Consulta dei Movimenti aveva chiesto ufficialmente, nei giorni precedenti la visita, un incontro con il Presidente. Fino all’ultimo si è sperato che venisse concesso almeno limitatamente ad un esponente di ciascun movimento. L’incontro è inspiegabilmente saltato e si è trasformato all’ultimo momento in una riunione con il Prefetto dr.Cazzella , stretto collaboratore di Napolitano. E’ stato sorprendente rilevare che, alla richiesta di dichiarazione dello stato di crisi per la Sardegna, l’alto funzionario abbia manifestato stupore che ciò non fosse stato già attuato, mentre, per la richiesta di moratoria dei debiti nei confronti di Equitalia, si è avuta la conferma che la decisione era iscritta nell’agenda dei lavori del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Voglio sottolineare che lo stesso sentimento di stupore è stato più volte rappresentato dal Presidente Napolitano in ordine alla gravità e alla drammaticità della crisi industriale e complessiva della Sardegna. Soprattutto durante e dopo l’incontro con i lavoratori delle otto industrie colpite dalla crisi e con tutti i segretari generali dei sindacati. Sono testimone diretto di come il Presidente ascoltasse attentamente ogni singolo lavoratore, prendendo numerosi appunti, e di come abbia risposto puntualmente alla rappresentazione di ogni situazione, uscendo visibilmente provato dall’incontro e ripetendo più volte che non pensava che la crisi fosse così profonda e diffusa nel tessuto economico e sociale della Sardegna. Conseguente, la richiesta di interventi tempestivi e mirati. Il Presidente era certamente bene informato sui dossiers delle fabbriche in crisi, a cui ha fatto precisi riferimenti, ma è la rappresentazione della drammaticità della crisi che evidentemente non gli era stata sufficientemente descritta e che solo ora toccava con mano attraverso la viva voce dei protagonisti.
La riflessione amara è che le antenne del Presidente sono molto sensibili e ben sintonizzate con la realtà sarda, ma resta un fatto certo che qualcosa fino ad ora non ha funzionato nella rappresentazione della drammaticità della situazione. Tale responsabilità è da ascrivere ad un deficit molto grave delle Istituzioni Sarde, ad iniziare dalla Giunta Regionale.
Le risposte del Presidente sul versante della crisi industriale sarda, ovviamente, non appartengono al suo ruolo istituzionale, e questo è stato più volte richiamato nei suoi interventi pubblici. Ma le sue osservazioni e raccomandazioni sul merito dei problemi, ribadite in tutti gli incontri nei due giorni della sua visita in Sardegna, assumono un grande significato per la loro modernità e lungimiranza. Non si tratta soltanto di salvare ciò che è possibile delle industrie in crisi – ha affermato il Presidente – ma bisogna avere la capacità di investire in progettualità ed innovazione, in una visione di sviluppo sostenibile ed eco-compatibile, tenendo presente il contesto europeo e mondiale. Certamente non è facile, ma bisogna avere il coraggio di cambiare.
I giovani, che in gran numero erano presenti negli incontri di Cagliari e Sassari, hanno sottolineato con ripetuti applausi questi concetti, riconoscendo nel Presidente ottantasettenne uno spirito giovane e moderno, più avanzato e coraggioso della stessa nostra classe politica, imprenditoriale e sindacale.
Alla manifestazione al teatro Lirico di Cagliari gli interventi sono apparsi
ingessati e compressi nei rigidi ruoli istituzionali e l’accademia ha finito per prevalere distorcendo perfino il significato storico della “fusione perfetta”, argomentata come adesione libera ed entusiasta dei sardi al processo di unificazione dell’Italia. Con una palese contraddizione si è perfino negato all’orchestra ed al coro di eseguire l’inno di Mameli col timore che i lavoratori del Lirico manifestassero al Presidente la pesante situazione economica in cui versa la più importante “fabbrica” della cultura musicale sarda.
A Sassari, invece, la manifestazione al Nuovo Teatro si è dimostrata del tutto slegata dagli schemi tradizionali e per nulla ingessata dal protocollo. I giovani hanno potuto parlare e rivolgere le loro domande al Presidente, non ci si è per niente soffermati sull’esaltazione dell’unità d’Italia, che pure è stata ricordata dal brillante intervento del prof. Brigaglia e dalle relazioni dei professori Mastino e Mattone.
L’inno di Mameli, eseguito dall’orchestra di Sassari, ha aperto la manifestazione che si è conclusa con le note ed il canto ” Procurade de moderare, barones, sa tirannia” in onore certamente al suo illustre autore, il grande Francesco Ignazio Mannu, ma anche quale segnale forte che la Sardegna vuole risorgere ed è capace di guardare all’Europa e al Mondo senza rinnegare e recidere le proprie radici.

Il presidente G . Napolitano con il sindaco di Cagliari M. Zedda e il presidente della R. A. S., U. Cappellacci.

IN  CUSTA CHIDA,  rassegna stampa della settimana

20 – 25 febbraio 2012

 

Prof. Lilliu. «L’Isola ha perso un vero cantore-cultore della nostra identità». Così il presidente della Regione, Ugo Cappellacci, alla notizia della scomparsa di Lilliu: «Il “Sardus Pater” che gli è stato assegnato nel 2007 è un’onorificenza che ben simboleggia l’affetto e la riconoscenza di tutti i sardi per un uomo che ha dedicato tutta la sua vita a studiare,

Giorgio Napolitano in Sardegna: si è svolta lunedì e martedì scorsi una visita ufficiale del Presidente della Repubblica in Sardegna. Napolitano ha fatto tappa a Cagliari, Sassari e Alghero, accolto in molti casi da contestatori. Nel suo intervento in Consiglio regionale, rispondendo a Claudia Lombardo, Giorgio Napolitano ha ammesso che nei confronti dello Stato i sardi «hanno diritti da far valere» e «i governi attuali devono rispettare gli impegni che anche altri governi non hanno mantenuto».

«Ancora oggi si tratta di far valere impegni assunti da parte dei governi e non rispettati, disattesi così come i diritti sanciti nello Statuto regionale – ha detto – Ma in queste ore si è dato il via a un confronto articolato in gruppi di lavoro che dovrebbe tradursi in un decreto del presidente del Consiglio entro quattro settimane». Tuttavia, Cgil Cisl e Uil, le opposizioni (Pd, Sel e Idv) e il deputato del Pdl Pili contestano la scelta di Monti e Cappellacci di riservare la trattativa ai «tavoli tecnici».

Rossella Urru: nel corso di un incontro con i genitori di Rossella Urru, Giorgio Napolitano ha affermato che: «Abbiamo avuto delle notizie sulle condizioni di salute di Rossella Urru, sappiamo che sono buone e che le autorità preposte stanno lavorando per la sua liberazione. Stiamo intensificando i contatti».

Finanziaria. Ad un passo dal traguardo, si inceppa il meccanismo bipartisan che finora aveva accelerato l’esame della manovra in Consiglio regionale: sulle ultime correzioni non c’è intesa tra i due poli, e il clima si guasta anche per il nuovo scontro tra l’opposizione e il governatore Ugo Cappellacci sul confronto Stato-Regione, ed in materia di Ente foreste e formazione.

La Corte Costituzionale ha bocciato il credito d’imposta del 20 per cento sull’Irap per il 2011 a favore delle aziende, le modifiche al programma di stabilizzazione del personale precario negli enti locali e le progressioni di carriera nell’amministrazione regionale, entrambe senza concorso pubblico, previsti nella legge finanziaria regionale del 2011.

Fondi europei per l’agricoltura. L’agenzia nazionale che si occupa dei fondi comunitari per l’agricoltura – Agea – non sblocca 65 milioni di euro destinati alle imprese sarde. E Coldiretti protesta, denunciando la situazione e dicendosi pronta a manifestare contro Agea, per difendere le circa 1.500 imprese finite nelle pastoie burocratiche legate ai ritardi dell’agenzia nazionale.

Tuttavia, all’indomani di una contestazione organizzata da Coldiretti, il Presidente di Agea, afferma che l’agenzia «non solo riprenderà con solerzia il processo avviato ma moltiplicherà ogni sforzo per fornire adeguate e soddisfacenti risposte ai produttori agricoli, assumendo pronte azioni per risolvere non solo i problemi di velocizzazione dei pagamenti della corrente campagna agraria, ma anche e, soprattutto, quelli riferiti alle decorse campagne rimasti inevasi e non oggetto di adeguata comunicazione ai produttori agricoli interessati».

Accordo della Saras attraverso il quale si garantisce la fornitura di olio combustibile a minor costo per tutto il 2013 così da consolidare la produzione di energia elettrica per le imprese dell’area industriale di Ottana, Bolotana e Noragugume. Il gruppo del patron Paolo Clivati, tuttavia, intende andare ben oltre i confini della provincia di Nuoro: Il gruppo, infatti, ha manifestato interesse per l’acquisizione delle autorizzazioni della nuova centrale E.On da 400 Megawatt a carbone di Fiume Santo, per un investimento di circa 500 milioni di euro, che attualmente risulta dalla multinazionale tedesca Congelato.

Matrica. A pochi giorni dall’inaugurazione dei nuovi laboratori di ricerca di Matrìca, arriva anche il primo via libera dalla Conferenza dei servizi per avviare la realizzazione del polo sulla chimica verde nel Sassarese. Il sì alla realizzazione della prima fase del progetto è arrivato dalla Conferenza dei servizi che si è tenuta ieri negli uffici del settore Ambiente della Provincia di Sassari, a Baldinca. L’esame dei documenti riguardava appunto quella che nel progetto di Matrìca viene definita come Fase 1, «ossia quella che prevede la realizzazione degli impianti per la produzione di monomeri e oli lubrificanti biodegradabili da oli vegetali naturali», spiega in una nota la Provincia.

Debiti delle imprese sarde. Nel 2010, le aziende sarde indebitate con il Fisco erano 64.104 su un attivo di 160 mila iscritte ai registri delle Camere di commercio. L’esposizione debitoria allora era di 3 miliardi e 516 milioni, con il 40 per cento delle imprese gravate in media di un debito verso l’Erario intorno ai 55 mila euro. Nel 2011 il dato è peggiorato. Solo in provincia di Cagliari, le imprese in rosso col Fisco sono aumentate dell’11 per cento, per un debito complessivo salito a 2 miliardi e 232 milioni contro il miliardo e 770 milioni del 2010. In Sardegna, nel dettaglio, l’anno scorso il balzo in avanti del debito è stato del 20,56 per cento nei confronti dell’Erario, dell’11,15 con l’Inps e del 14,37 rispetto agli altri creditori pubblici, soprattutto i Comuni per l’Ici, multe e Tarsu. Le previsioni per il 2012 sono ancora peggiori. Il numero delle imprese indebitate dovrebbe supererà quota settantamila e il debito complessivo sfiorare i 5 miliardi.

Tiscali. Centomila euro di sanzione amministrativa per pratica commerciale scorretta. È la condanna che il Garante del mercato ha inflitto a Tiscali. La sentenza è stata pubblicata sul bollettino di febbraio. L’azienda di Renato Soru è stata dichiarata colpevole per «aver continuato a fatturare nonostante gli utenti avessero chiesto da tempo la cessazione del servizio internet e di telefonia fissa».

Carceri. La polemica sulle carceri sta assumendo toni sempre più forti, in particolare in seguito alle recenti decisioni di fare pieno utilizzo delle carceri sarde di massima sicurezza. «Problemi che non possono essere risolti con la costruzione di nuovi istituti di pena – ha però sottolineato don Ettore Cannavera, fondatore e animatore della comunità “La collina” di Serdiana -. Le carceri italiane sono una grande accozzaglia di tutto, ma assolutamente inadatte a risolvere i problemi dei reclusi».

Costantino Nivola: 100 years of creativity» è il titolo della mostra che apre oggi a Washington all’ambasciata italiana. Un’esposizione di sedici sculture rappresentative della vasta produzione dell’artista originario di Orani, messe a disposizione dai figli Pietro e Claire.

 

IN  CUSTA CHIDA,  rassegna stampa  DAI SITI

dal sito del  PARTIDU SARDU, PARTITO SARDO D’AZIONE Lunedì 20 Febbraio 2012

Napolitano in Sardegna: il viatico prima della fine?

Di  MICHELE PINNA ,

LA visita del presidente della repubblica italiana in Sardegna nell’attuale momento storico-politico, una qualche domanda e una qualche riflessione la impone. Al di là delle parate che rettori, presidenti sindaci, noncuranti, (iscussentidos) evidentemente, della grave crisi che ci sovrasta, si apprestano a fare, in segno di omaggio coloniale, (altra immagine, ora, non mi sovviene) vorrei sottolineare alcuni dati: da poco si sono conclusi i festeggiamenti per celebrare i cento cinquant’anni dell’Unita d’Italia.

Festeggiare? Celebrare? Ebbene si! Hanno festeggiato e celebrato i cento cinquant’anni di una tragedia, di una disfatta storica che si sta consumando in questi giorni. Dopo cento cinquant’anni in cui l’Italia, ultima fra quelle “nazioni” europee costituitesi nell’età moderna, con le guerre e con il sangue, si è percepita e presentata al mondo come uno Stato, prima monarchico, poi con una dittatura, in seguito con una repubblica, oggi l’Italia si presenta dinanzi al mondo, come uno Stato privo di sovranità. Uno Stato commissariato dai voleri e dai poteri delle élites finanziarie internazionali e dalla Germania, in nome della difesa dell’euro, e della salvezza dello Stato. Questo rappresenta il Governo Monti, fortemente voluto da Napolitano, e da un parlamento ormai narcotizzato. C’è da chiedersi, in tal senso, se il capo dello Stato italiano che viene, in questi giorni, in Sardegna, vi giunga come il capo di uno Stato sovrano, o come l’emissario della BCE. D’altra parte, dai giornali di stamane apprendiamo che al Forex 20012, la relazione del governatore della Banca d’Italia Visco, ha messo in evidenza il pericolo in atto determinato dall’asfissia del sistema creditizio italiano perpetrato dalle banche, nonostante la BCE, abbia ridotto notevolmente, già dal mese di novembre del 20011, i tassi sulle operazioni di rifinanziamento. Come dire: come mai, ancora, le banche si ostinano a negare liquidità e credito alle imprese nonostante possano disporre, contrariamente a quanto si sostiene, di ingenti somme. La risposta forse risiede nel fatto che anziché utilizzare la liquidità per finanziare la crescita e lo sviluppo delle imprese in crisi, preferiscono acquistare i titoli di Stato a basso costo; in questo momento meno rischiosi, con un capo di governo ben ammanigliato presso la finanza internazionale, ben disposto ad eseguire gli ordini di chi gli chiede di incrementare le imposte dei cittadini e dei produttori, di falcidiare i redditi dei soliti noti, in nome di uno Stato fantoccio che dovrà tenere bordone,- in nome della salvezza, poi, dell’eurozona, che è poi la salvezza della Germania,- al progetto definitivo di un’Europa della finanza e di qualche Stato forte, molto forte. Insomma, ad una specie di riedizione riveduta e corretta, del Sacro Romano Impero, al quale, ora come allora, i signori italiani dovranno sottostare ed ossequiare, per essere legittimati come tali. Cosi facendo, la Grecia insegna, si salveranno gli Stati, ovvero i signori, le caste, i grand comis, unici depositari della sovranità, per quanto vigilata dall’ ”Imperatore”, ma si uccideranno i cittadini, le popolazioni, i lavoratori. Povero Rousseau, che ha creduto nella felicità terrena che i buoni governanti e gli Stati virtuosi avrebbero potuto dare ai cittadini. Mentre, invece, verranno asfissiati dal fisco, dalla morsa ferrea delle banche, e poi, via via, dalla disperazione di un domani incerto, e di un presente adagiato su palafitte, fino alla morte. Dinanzi a noi si profilano nuovi genocidi, attuati non con le camere a gas, ma con lo stillicidio incalzante e costante della miseria, della povertà. L’obiettivo è quello di sopraffare le coscienze, di annientarne le volontà, di sbiadirne, fino a farli disperdere nell’indistinto, i contorni delle loro identità individuali e comunitarie. Scompariranno i popoli, le nazioni, grandi e piccole, con Stato e senza Stato, e domineranno il mondo i finanzieri e i loro servitori. A cosa dobbiamo, perciò, presidente Napolitano, la sua visita. Quale buona novella ci porta dai confini del mondo? O, consapevole come noi, della tragedia imminente, viene a consolarci prima della fine? Se questo è, come ritengo che sia, il suo viaggio, avrebbe, davvero, potuto risparmiarselo.

 

Dal sito di SARDEGNA

DEMOCRATICA

Napolitano e le nostre eterne

suppliche al sovrano

di Guido Melis

 

Lunedì 20 febbraio 2012. La due giorni di Giorgio Napolitano in Sardegna sta risvegliando, mi pare, un antico vizio, tipico della storia moderna e contemporanea dei sardi: la supplica al sovrano. Pagine intere dei due quotidiani maggiori elencano “le richieste” dei sardi al presidente; l’intera questione sarda, nei suoi termini tradizionali e attuali, sembra riversarsi alla rinfusa sulle spalle dell’ospite illustre. Come ai tempi dei re spagnoli o piuttosto dei loro rappresentanti istituzionali; come all’epoca dei Savoia e dei loro prefetti; come sempre nelle visite precedenti dei presidenti della Repubblica italiana. Fu così ai tempi degli stamenti, e ancora dopo la fusione perfetta del 1847, e quando la prima guerra mondiale vide cadere la migliore gioventù di Sardegna e i reduci, organizzati in associazione e poi in partito politico (il Partito sardo d’azione) posero con forza il tema dei  crediti di sangue maturati verso l’Italia matrigna. La Rinascita stessa, pure in termini moderni, si pose come compensazione, attraverso una legislazione speciale autonomistica, delle ingiustizie patite dalla Sardegna contemporanea.
Sappiamo già cosa ci dirà Napolitano. Ascolterà, prenderà nota, assicurerà. Vecchio esponente del meridionalismo, comprenderà – pensiamo – le nostre ragioni. E persino le condividerà. Ma – mi domando – dove porta alla fine questa rivendicazione dei torti subìti? Questa richiesta di attenzioni speciali da parte dello Stato? Porta poco lontano, anzi si esaurisce in sé stessa.
Questa volta la “visita sovrana” (non si offenderà Giorgio Napolitano se la chiamiamo così) cade in un momento drammatico non solo per noi ma per l’Italia intera, e per l’Europa, e per l’Occidente stesso. Un modello di sviluppo, quello affermatosi nella sua stagione d’oro dopo la seconda guerra mondiale, sta esaurendo il suo ciclo vitale. Gli equilibri stessi del mondo sono in rapidissimo movimento. L’asse dello sviluppo, già una volta spostatosi dall’Atlantico al Pacifico, ora va assestandosi nella linea oscillante dei paesi late comers: Cina, India, Corea del Sud, Brasile vantano le performances di crescita più clamorose. La vecchia Europa è fuori gioco, o così sembra. La leadership indiscussa degli Stati Uniti vacilla.
Cambia anche il modello produttivo. Noi in Sardegna viviamo la crisi di quel poco di industria che avevamo (non era neanche tanto poco, negli anni Settanta), e non sappiamo cosa potrebbe sostituirla. Nessuno – diciamola franca – ha una ricetta per il futuro. Nessuno sa cosa saremo non dico nel 2050 ma anche semplicemente tra dieci anni, nel 2022. L’Africa è a portata di mano, ma quale ne sarà lo sviluppo? Intensi flussi di immigrazione si annunciano, forse persino benefici per una regione come la nostra che si avvia a spopolarsi definitivamente, invecchiando precocemente. Ma quale sarà l’evoluzione degli equilibri nel Mediterraneo? E noi, qua in Sardegna, quanto conteremo?
Una classe dirigente locale vecchia per cultura e impostazione di idee, diciamo pure inadeguata, detiene ancora in Sardegna quel po’ di potere che resta: qualche consiglio di amministrazione per elargire gli spiccioli, qualche piccola impresa residua, qualche azienda che tira nel disastro dell’agro-pastorale. Nessuna capacità strategica dell’imprenditoria sarda. Nessuna seria relazione con l’esterno. Innovazione zero, o quasi.
Partiti e sindacati vecchi, immobilizzati nella ripetizione di vecchi automatismi, dilaniati da lotte interne che fuori nessuno capisce. Giovani che se ne vanno (e non le braccia soltanto ma i cervelli, le ragazze e i ragazzi della nostre università, e per sempre). Paesi dell’interno spopolati.
Ecco, in questa situazione di depressione civile e morale, prima ancora che economica, noi accogliamo Napolitano e gli rovesciamo addosso le nostre impellenti richieste. Capisco la disperazione: ci si attacca dove si può. Capisco di meno la passività. Al “fuori” (Napolitano simboleggia il “fuori”, l’eterno “fuori” che nella storia sarda si è sempre contrapposto al “dentro”) possiamo e dobbiamo chiedere, naturalmente, di sostenerci, ma solo a patto di avere prima avviato noi, da “dentro”, la riforma morale e civile che occorre. Ci vogliono idee, entusiasmo, classi dirigenti nuove e propositive; e buona amministrazione nelle istituzioni, buona politica, modelli virtuosi di convivenza nella vita sociale.
Non è detto che non ci si riesca, se siamo capaci di uno scatto di reni. Ma dobbiamo farlo noi, quello scatto, e non sperare – come diceva una famosa frase del giornalista Aldo Cesaraccio negli anni Sessanta, a proposito dell’investimento del principe Karim in Costa Smeralda – che l’Aga Khan ce la porti lui, la Rinascita, bell’ e fatta. Non esistevano simili benefattori allora, non esistono oggi, in tempi di spread, di banche mondiali ed europee, di bilanci ridotti all’osso, di globalizzazione selvaggia. Se vogliamo, se siamo capaci, diciamo benvenuto a Giorgio Napolitano com’è nel nostro stile; e assicuriamogli che ce la metteremo tutta.

21/02/2012

 

Dal sito di  SARDEGNA E LIBERTA’

 

Io non c’ero. La Sardegna rappresentata meglio dalla protesta che dalle istituzioni. Orgoglioso del mio partito: non abbiamo niente da chiedere

21 FEBBRAIO 2012

Io (Paolo Maninchedda)  non ero, ieri, al Teatro lirico. Né ero con i miei colleghi dell’Università. Né sono andato in Consiglio regionale. Non c’ero per pudore e impegno civile. Pudore perché non c’è spazio di questi tempi per la mondanità mascherata da impegno istituzionale; per impegno civile, perché l’Italia è la mia controparte nella crisi di lavoro e di sviluppo che patisce la Sardegna.
Io non ho baciato la mano, non ho frequentato la mondanità fuori luogo, non mi sono fatto sedurre dal neonato potere regio. E non sono per nulla contento di aver visto la Sardegna  rappresentata meglio dalla protesta che dalle istituzioni.
Noi sardi abbiamo molte responsabilità, ma la maggiore è dell’Italia e del suo medievale sistema fiscale. Oggi il mio partito, lento, vecchio, con riflessi ottocenteschi, ma vivo, pubblica sui giornali una lettera aperta in cui io mi riconosco totalmente. Una lettera dignitosa che dà senso anche alla mia fatica. La riporto integralmente. Fatela girare, per cortesia.

 

“Il Partito sardo d’Azione non si unisce alla voce di coloro che Le chiedono promesse per la Sardegna.
Confidare nella benevolenza altrui è un atteggiamento mentale che non ci appartiene e che riteniamo dannoso coltivare nei rapporti fra la Sardegna e lo Stato italiano.

Uno Stato che ha reclutato coattivamente la gioventù sarda mandandola a combattere nelle trincee di una guerra lontana che ha causato, oltre ad innumerevoli drammi umani, incalcolabili danni all’economia dell’isola, lasciata orfana di un’intera generazione.
Questo Stato che ci ha costretto, e ancora ci costringe, a subire leggi per noi inadeguate.
Che dovrebbe rappresentare gli interessi dei sardi in Europa ma non lo fa, dimenticando i bisogni della Sardegna e ignorando le sue aspettative.
Che si comporta come un evasore, violando impunemente l’articolo 8 dello Statuto e trattenendo per sé i soldi che sono del Popolo Sardo.
Un popolo che viene così privato delle proprie risorse e quindi del potere di decidere il proprio futuro.
Ecco perché, Signor Presidente, noi crediamo che solo quando finirà questo rapporto di subalternità con lo Stato italiano la Sardegna potrà ricominciare a crescere, a sperare e ad essere veramente libera.
Libera di trasformare in un vantaggio la propria posizione di isola al centro del Mediterraneo e di rivolgersi, nella propria lingua, all’Europa e al mondo.
Libera di costituirsi in zona franca e di attrarre nuovi investimenti, di sviluppare la propria agricoltura e la propria industria; libera di decidere la propria fiscalità e di difendere le proprie imprese.
In una parola, alla nazione sarda serve l’indipendenza ed è guardando a questo orizzonte che i sardisti proseguono, democraticamente e pacificamente, il loro cammino politico.
Lei, però, Signor Presidente, rappresenta l’Unità della nazione italiana e ne difende l’integrità, perché così stabilisce la Costituzione italiana.
Per questo, pur nel rispetto del Suo ruolo e della Sua persona, noi sardisti non abbiamo nulla da chiederLe”.

 

 

Dal sito  DEMOCRAZIA OGGI 23 Febbraio 2012

 

Caro Presidente, lasci i riti grotteschi e senta la gente

 

Gianna Lai

Caro Presidente, (si potrebbe iniziare così, se Lei mai leggesse le cose scritte dai sardi dopo la sua visita), ma se “protestare è legittimo fino a quando non si sconfina nell’illegalità”, quando, secondo Lei, si oltrepassa questo confine? Di sicuro in questi giorni in Sardegna si è sconfinato nell’illegalità, se la gente veniva identificata sui pullmann e sui treni per essere costretta a scendere e impedita di raggiungere Cagliari in occasione della Sua visita: era illegale che partecipasse all’evento, e manifestasse sofferenza e disperazione alla massima rappresentanza dello Stato italiano, apparentemente sollecita e attenta, in televisione, ai problemi dei lavoratori? Come mai, per evitare possibili incontri ravvicinati con la sofferenza e il dolore, i carabinieri e la polizia hanno avuto mandato di impedire ogni partecipazione popolare che potesse turbare il rispettoso cerimoniale? Era di questo che aveva bisogno politicamente oggi la Sardegna, oppressa da 100mila disoccupati, aziende chiuse nell’industria e nell’agricoltura e nella pastorizia, una volta vietato ogni intervento pubblico, che ne possa alleviare la crisi, perchè qualificato dall’Europa aiuto di Stato? Che si tratti di energia a basso costo per l’industria o di prestiti a agricoltori e contadini e pastori, l’Europa che impone quote a agricoltori e allevatori che, insieme alle banche, strozzano l’economia della Sardegna? Perchè non entrare nel merito dei nostri grandi problemi e ascoltare anche la gente oltreché, giustamente, sindacati e isituzioni? Serve a rimuovere i problemi liquidare la protesta in termini di ordine pubblico, anzi affrontarla da subito come tale, fin da quando la nave dei pastori è sbarcata per la prima volta a Civitavecchia lo scorso anno? Ma il Presidente non si è formato alla scuola della Costituzione, che considera il conflitto sociale momento alto della partecipazione popolare, strumento fondamentale della democrazia in un paese moderno, in grado di contribuire alla crescita e allo sviluppo economico e sociale del Paese, così come è stato del resto per l’Italia del secondo Novecento? Allora i riti grotteschi delle celebrazioni, mentre la Sardegna insieme all’Italia rotola verso una crisi irreversibile, vanno rimossi, e va dato spazio a chi ha veramente qualcosa da dire. E’ per questo che i giornali registrano una scarsa partecipazione popolare nelle strade a ricevere e applaudire il Presidente, lo abbiamo vissuto lontano da noi, soprattutto dopo i suoi commenti alle contestazioni, più vicino a Monti che dice “i provvedimenti sul lavoro verranno presi anche senza il consenso delle parti sociali”, più vicino all’irresponsabilità di Veltroni e, quasi, all’arroganza della Marcegaglia.
Ripensi alla sua visita in Sardegna, caro Presidente. Avrebbe potuto toccare con mano un pezzo importante dell’Italia di questi 150 anni, non ancora del tutto rassegnata alla povertà e al disastro economico e sociale che incombe sul Paese. Fatta di persone che, a centinaia di migliaia sono presenti alle numerosissime manifestazioni sindacali e di protesta organizzate in questi decenni nell’Isola, secondo una tradizione popolare molto forte in tutta l’Italia. Così come ci viene dal Risorgimento, dalla Resistenza, dal Movimento Operaio e popolare inutilmente, direi strumentalmente e ritualmente, ricordati in occasione della Sua visita, senza cioè alcun riferimento alle donne e agli uomini in carne ed ossa di oggi, quelli che stavano fuori dalla porta, in strada con cartelli e striscioni.

 

 

Quante belle statuine, signor Presidente!

23 Febbraio 2012
Amsicora

Avete visto quante belle e composte faccine di giovani, attenti ed educatini assistevano in teatro al discorso di Napolitano? Questi sì maturi e pensosi per le sorti dell’Isola e del Paese. Tutto il contrario di quei facinorosi, pastori in odore di ovile e di pecora, giovani barbuti e uomini scarmigliati, spesso mal vestiti, disoccupati, licenziati, indebitati, che fuori gridavano la loro disperazione e chiedevano udienza. Un atto di fiducia quell’urlo. A chi se non al Capo dello Stato rappresentare il proprio malessere? Il cerimoniale e il rito, però, il disagio sociale non lo prevedono, l’Italia di Monti lo cancella, i disperati non esistono e non devono mostrare di esistere. Per il governo dei milionari e dell’agiatezza esistono solo gli uomini dal buon portafoglio. Ed allora i disperati fuori dalle balle anche se premono. Si blocchino i mezzi che li portano al cospetto del Presidente, li si faccia scendere ancorché muniti di regolare biglietto se usano allo scopo il mezzo pubblico!
E sapete come quelle belle faccine, attente e ben educate, sono giunte al rito presidenziale? Nelle Facoltà si è sparso l’altro giorno un messaggio dal Rettorato, un ordine o, se preferite, un invito secco: “Convogliate dalle facoltà il maggior numero di giovani alla platea presidenziale“. E così assegnisti, cultori e ricercatori hanno ricevuto una cordiale sollecitazione ad accorrere al cospetto del Presidente. Molti ovviamente lo hanno fatto volentieri per curiosità e condivisione. Altri hanno solo obbedito. Ma tutti non si sono recati sul luogo spontaneamente. Non avevano programmato la loro presenza. Erano lì per far numero o ad uso delle telecamere, ma non avevano niente da dire. Quelli che invece avevano e hanno molto da dire al primo Magistrato d’Italia alla larga, con le buone o con le cattive!
Il Presidente, a ragione, può dire ch’erano pochi, gruppi sparuti. Ma se l’accesso non fosse stato eterodiretto, chi sarebbe stato lì in prevalenza? Certo, il rito non sarebbe stato celebrato, ma il Presidente avrebbe tratto maggior frutto da questa visita. Il Capo dello stato ha sentito le varie caste autoreferenziali e le imbellettate rappresentanze di esse  pronunciare frasi di circostanza e posare per la foto-ricordo. Ha chiuso gli occhi, le orecchie e la bocca di fronte a chi gli avrebbe detto qualcosa di vero e di utile. Ma serve questo a salvare il Paese e la democrazia?

 

 

 

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