Le ragioni di Pietrino Soddu per una nuova fase costituente dell’autonomia sarda

INTERVISTA ALL’ON. PIETRINO SODDU, di Giuseppe Meloni,  da L’Unione Sarda del 9 maggio 2023, uscito con il titolo  UN CONCILIO PER IL NUOVO STATUTO; occhiello: “Per l’ex presidente, il regionalismo differenziato aiuterà a riscrivere il patto con lo Stato”; sottotitolo: “Soddu: Calderoli non venga in Consiglio a farci lezioni di autonomia”.

«Un Concilio per il nuovo Statuto», intervista di Giuseppe Meloni all’on. Pietrino Soddu, su L’Unione Sarda del 9 maggio 2023

Tanto vale provarci, cercare nell’autonomia differenziata le opportunità e non solo i rischi, fare surf sull’onda delle riforme. Vabbè, Pietrino Soddu non cita il surf, ma in ogni caso il suo ragionamento è freschissimo. A un mese dai 94 anni, l’ex giovane turco si appassiona alla politica come quando era presidente della Regione: e lo agita vedere l’encefalogramma piatto con cui la Sardegna reagisce al dibattito sul nuovo regionalismo.

«Molti pensano che quella riforma non passerà», riflette, «io invece credo di sì. E allora non ha senso dire no senza proporre alternative».

 

Perché crede che la riforma si farà comunque?

«Per la spinta delle regioni forti. Tra l’altro le intese preliminari con le tre regioni del Nord le ha fatte il governo Gentiloni, quindi il centrosinistra. E poi in Italia c’è un filone federalista che risale persino a Cavour. Non c’è un’unica identità culturale, storica, etnica».

 

Quindi lei è favorevole al regionalismo differenziato?

«Non sono contro a priori: dico che per i sardi è quasi un regalo, perché da 70 anni inseguiamo il mito della riforma dello Statuto speciale, considerato inadeguato fin dall’inizio. È l’occasione per riaprire il confronto con lo Stato, e migliorare il nostro autogoverno andando oltre l’attuale livello di autonomia. Non possiamo restare a lamentarci di essere trattati male dallo Stato, di non avere poteri adeguati. Così non contiamo nulla. Decide tutto Roma o Bruxelles».

 

Il 19 ci sarà il ministro Calderoli in Consiglio regionale.

«Già: viene a farci una lezione sull’autonomia? A dirci cosa fare? Credo poco a uno che ha confessato che la sua legge elettorale era una porcata».

 

Lei non l’avrebbe invitato?

«Io non ricordo una visita di un ministro che dialogasse in aula col Consiglio. Poi secondo me lui è un po’ presuntuoso, pensa che basti la sua presenza per risolvere i problemi. Verrà a ripetere che mette l’insularità nella sua legge».

 

Non è una cosa positiva?

«L’insularità è un appendiabiti a cui si possono attaccare tante cose, ma non ci salviamo solo con le risorse che ci daranno. Se ce le daranno».

 

Forse parliamo troppo di risorse e poco di poteri?

«Perciò parlo di revisione statutaria. Sulla riforma Calderoli la Regione dovrebbe dirsi né favorevole né contraria, oppure anche favorevole: ma chiarendo al Parlamento, con un ordine del giorno-voto del Consiglio, che vogliamo una corsia a parte per adeguare lo Statuto alla società che è cambiata, e partecipare autonomamente alle decisioni che contano».

Non ha mai considerato l’ipotesi indipendentista?

«È una cosa di cui valuto l’importanza. Ma, come nel 1848, se facciamo un passo falso adesso è difficile tornare indietro. Penso che, per essere garantiti davvero, la salute, l’istruzione e la sicurezza sociale dovremmo lasciarle in capo allo Stato. E chiedere delle integrazioni: aggiungere, più che sostituire».

Ma nella politica sarda ci sono le condizioni per una riforma statutaria?

«Vede, manca poco alle Regionali. La Sardegna è piena di iniziative, ogni giorno qualcuno si alza e crea un nuovo movimento politico. Come fanno queste istanze a trovare uno sbocco se non c’è un progetto di grande respiro?»

 

E lei lo vede in giro?

«Io credo che ai sardi si debba offrire una visione. Oltre all’Einstein Telescope, ci serve anche un telescopio emotivo, identitario. Che colga la coscienza del popolo sardo oggi. Le faccio due esempi della confusione che vedo. Il primo: il prefetto di Nuoro chiede l’intervento dell’esercito per le cavallette. Ma è possibile che dopo 70 anni di autonomia un prefetto si metta al posto del governo regionale a decidere cosa fare per le cavallette?»

 

E il secondo esempio?

«Gli enti locali. Le province sono commissariate da 10 anni e i commissari fanno i capi politici. Si creano due città metropolitane, che metropolitane non sono: una forzatura fatta solo per i finanziamenti Ue. Quella di Sassari arriva fino al confine del mio paese, Benetutti, che è quasi Nuoro. Ci sono distretti nautici, agricoli, turistici, Gal, Pro Loco, fondazioni. Un caos istituzionale. Serve un progetto complessivo, che unisca l’Isola».

 

Chi può promuoverlo?

«Non credo che il Consiglio regionale da solo ne sia capace, né che lo facciano le forze politiche. Cercano solo la vittoria elettorale, senza un disegno. Non andremo alle Regionali con l’obiettivo di una legislatura costituente. Ma vogliamo rilanciare una regione con i Gal e i distretti? Coi sentieri religiosi? Così non si recupera la fiducia dei cittadini».

 

E allora come?

«Intanto c’è un problema: non cambierà la legge elettorale, quindi le piccole formazioni, che portano emotività nuova, non entreranno in Consiglio se non aggregate a forze che abbiano il quorum. È già successo a Michela Murgia, cui faccio i migliori auguri per la sua malattia, a Maninchedda, Pili, tutte le forze identitarie. Spero che i grandi poli accolgano il massimo possibile di queste formazioni, perché una legislatura costituente deve avere tutte le voci. Poi il prossimo Consiglio dovrebbe entrare nel grande gioco della riforma dello Stato con una posizione propria. Ma coinvolgendo l’opinione pubblica sarda».

 

Con strumenti tipo la Costituente, o la Consulta?

«Poiché gli intellettuali non parlano più, e non c’è una rivista o un congresso di partito che affronti questi temi, occorre quello che ho chiamato un Concilio, perché si tratta anche di conciliare vecchie ruggini e contrapposizioni. Penso all’esperienza storica del congresso del popolo sardo, che aprì un’epoca di rinascita».

 

Quale dovrebbe essere lo scopo di questo Concilio?

«Mobilitare le coscienze, capire il senso dell’autonomia nel mondo di oggi, globale e informatizzato. Il mondo dell’infocrazia di cui parla quel filosofo coreano, Byung Chul Han, citato l’altro giorno da Veltroni. Ha letto quel libro?»

No, e lei?

«Non ancora, ho letto “Perché oggi non è possibile una rivoluzione”. Comunque, la democrazia è in crisi. Le nuove generazioni avranno molti problemi. Ecco perché sono così inquieto, alla fine della mia vita. La mia non è una prospettiva lunga, e mi dispiace di non poter contribuire a questa prospettiva. Perciò il mio invito è rivolto al Consiglio regionale, non certo a Calderoli di cui non mi importa. Ma il Consiglio ha fatto l’ultima Finanziaria per distribuire regali ai Comuni… se la politica è questa, ovvio che il popolo se ne infischia. Sono pessimista?»

 

Con ragione. Ma ritiene che possa esserci una reazione?

«Il nostro problema è politico, è l’autogoverno. Poter partecipare alle decisioni che ci riguardano. Sbaglieremo? Faremo stupidaggini, ci governerebbe meglio un imperatore? Può darsi. Ma se il popolo sardo si risveglierà, se gli intellettuali usciranno dal letargo, se la Chiesa, i media, il mondo produttivo faranno la loro parte, è ancora possibile un nuovo patto autonomistico tra l’Isola e la Repubblica italiana».

intervista di  GIUSEPPE MELONI


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