IGLESIAS: “Così ho salvato la memoria storica del lavoro in città”, di Gianpaolo Meloni

Iglesias: una sera, in archivio, con Celestina Sanna.

Non avrebbe potuto immaginarlo quel giorno del 1946, quando all’età di 9 anni approdò alla prima classe elementare. Lei, nata da famiglia poverissima, con l’infanzia immersa nelle sofferenze della seconda guerra mondiale, tra polvere e fame come nutrimento quotidiano nel villaggio minerario di Campo Pisano, non poteva allora prevedere che avrebbe un giorno salvato la memoria storica del lavoro e della città, la sua città, che si sente addosso come la pelle.

«Ne sono parte – spiega Celestina Sannacome deve sentirsi coinvolto ogni cittadino che oggi può usufruire di questo patrimonio documentale e di conoscenza».

Un impegno lungo sessant’anni, che ancora non si è spento:

«Mi chiedono costantemente interventi, conferenze, lezioni, accetto perché mi sento viva e perché sento di poter trasmettere ancora questa mia passione».

Anche se la battaglia per salvare l’archivio del lavoro minerario recuperato dalla Monteponi e poi donato alla città, e il riordino e la salvaguardia che ha potuto garantire all’archivio storico cittadino, avrebbe voluto vincerla con tutti gli obiettivi sperati.

Gli scenari non sono incoraggianti e sono ferite per Celestina. Nel 1997 venne riorganizzato il piano degli organici comunali, cancellando la figura del direttore dell’Archivio storico, cosi oggi la Soprintendenza ne prefigura la chiusura.

Non solo: gli ultimi 40 anni di documentazione amministrativa che dovrebbe essere consultabile, è accatastata in un magazzino, preda del deterioramento. Mentre la cura, la sistemazione e la gestione pubblica dell’Archivio del lavoro minerario richiede maggiore disponibilità di personale, che non viene assunto. Sembra di sentire l’eco di quell’idiota pensiero che attribuiva alla cultura l’impossibilità di sfamare.

«La mia proposta è semplice: – osserva Celestina Sanna – si risolvano questi semplici problemi, perché l’accesso alla propria storia non può essere negato ai cittadini che vogliono essere migliori».

Come è stato per lei, del resto, per quella bimba figlia di ragazza madre, che il padre non lo ha conosciuto, ma che ha studiato e lavorato sodo per costruire se stessa e dare un contributo alla comunità.

«Ero nel comitato che si batté per la nascita del parco geominerario, c’ero il primo giorno dell’occupazione voluta da Giampiero Pinna e quando l’occupazione è finita. E c’ero per dare il contributo di conoscenze all’Unesco per il riconoscimento del parco».

Ma c’era anche quando è nata la Fidapa, 50 anni fa, e quando, all’epoca archivista comunale, si trattò di andare a Barcellona per recuperare tutti i registri della zecca di Villa di Chiesa, salvati in migliaia di microfilm. E fu ancora lei determinante quando alla liquidazione della Monteponi-Montevecchio volò a Milano impedendo che finissero al macero 600 scatoloni di documenti unici. Non avrebbe potuto farlo, senza superare l’esame che dalla quarta elementare la portò alle scuole medie e poi al diploma:

«All’epoca le scuole magistrali erano a pagamento. Viaggiavo a Cagliari, al rientro guardavo due bimbi per pagarmi il treno. Conobbi mio marito, che lavorava in Comune, mi disse di un concorso. Lo vinsi. Mi mandarono in archivio, ma per curare il protocollo corrente. Mi accorsi che lì c’era il Breve di Villa di Chiesa, trovai in una scatola 150 pergamene originali in latino e catalano. Il capoufficio neppure sapeva leggere».

Nel ’63 arriva un’ispezione della Soprintendenza. Il rischio era la chiusura perché mancavano le condizioni per l’apertura al pubblico. Alla prospettiva Celestina Sanna si oppone tuffandosi nella scuola settimanale parauniversitaria promossa dalla Soprintendenza per archivista paleografa. Prende la specializzazione.

«In quel momento è esplosa la mia passione per la storia sarda».

L’UNIONE SARDA, 7  febbraio 2023

 

Condividi su:

    Comments are closed.