Sanità verso la privatizzazione? Mario Budroni

Quarant’anni e quattro tendenze. Il deficit. Gli orientamenti politici. La situazione di fatto. I livelli essenziale d’assistenza (LEA),


Quarant’anni e quattro tendenze. Nel 1980, l’assistenza sanitaria costava 9,3 miliardi di lire e gravava sul Pil per il 4,7 per cento; oggi costa circa 124 miliardi di euro e pesa per il 6,7 per cento sul Pil. Il Servizio sanitario nazionale (SSN) ha compiuto quarantaquattro anni lo scorso dicembre (L. 833/78) e da allora molte cose sono successe. Il finanziamento della Sanità ha attraversato quattro periodi diversi: 1) il passaggio dalle assicurazioni alla fiscalità generale; 2) il crescente ruolo fiscale delle regioni; 3) uno scivolamento progressivo dell’onere della tassazione dalle imprese alle famiglie; 4) la costante sottostima del finanziamento che ha prodotto un deficit progressivo. Fino al 1978 la sanità pubblica era organizzata sul modello delle assicurazioni sociali (casse mutue malattia per i lavoratori dipendenti, per i dipendenti della pubblica amministrazione e per i lavoratori autonomi), dove il diritto alle prestazioni scaturiva da prelievi sulla busta paga e da contributi dei datori di lavoro. Avevano diritto all’assistenza i lavoratori attivi o in pensione e i loro familiari; non avevano diritto i disoccupati, come invece accade oggi con un sistema universalistico. Il sistema mutualistico era comunque in crisi e accumulava deficit, ripianato dallo stato nel 1966.  Nel 1983, per liquidare gli enti mutualistici, lo stato si accollò una spesa di 6,5 miliardi di lire (48,7 miliardi attualizzati). La fiscalizzazione, dei contributi di malattia, era prevista nella legge 833/78, ma si dovette attendere fino al 1997 (riforma Visco), per abolire i contributi dei datori di lavoro e dei lavoratori e imporre rispettivamente l’Irap (aliquota 4,25 per cento) e l’addizionale regionale Irpef (0,9 per cento).  Nel 2000, lo Stato destinò parte dell’Iva ad alimentare la perequazione nazionale, per coprire la differenza tra il fabbisogno regionale di spesa e il gettito delle nuove imposte. Lo SSN è oggi finanziato da otto fonti diverse, anche se Iva e Irap rappresentano il 70 per cento del totale. (vedi tabella 1e 2).

Tabella 1

Spesa sanitaria anni 2017- 2020 e previsione anni 2023-2024

Anni 2017 2018 2019 2020
Miliardi 113,611 115,410 118,061 119,953
% sul PIL 6,6 6,6 6,6 6,6
Anni 2021 2022 2023 2024
Miliardi 127,138 123,622 126,231 124,410
% sul PIL 7,3 6,7 6,6 6,3

 

Tabella 2. Il finanziamento del SSN.  Anni 1980-2017 (in percentuale)

1980 1990 2000 2010 2017
1 Secondo modalità
Contributi malattia 40,7 59,3 0 0 0
IRAP 0 0 32,8 28,1 17,3
Addizionale IRPEF 0 0 7,3 5,7 7,8
IVA 49 55,9
Altre Imposte 59,3 40,3 59,9 17,2 19,1
2 Secondo giurisdizione
Stato 100 96,2 51,5 55,2 64,6
Regioni 0 1,4 45 42 32,8
USL-ASL 0 2,3 3,6 2,7 2,8
3 Secondo le fonti
Famiglie 8,1 13,1 8,7 54,7 64,9
Imprese 32,6 47 32,8 28,1 17,3
Famiglie +Imprese 59,3 39,9 58,5 17,2 17,8
Totale finanziato 100 100 100 100 100
Disavanzo 0,1 19,3 4,8 2 0,2

Il deficit. Fin dalla sua istituzione il SSN ha sempre prodotto un consistente deficit. Nel 2001, la responsabilità della copertura del disavanzo fu trasferita dallo Stato alle Regioni.  Tra il 2007 e il 2010, dieci Regioni dovettero approntare piani di rientro per la sanità. Prima di allora, tutto il deficit gravava sullo Stato, ma è stato riassorbito durante l’ultima grande crisi (2007-2013). Il SSN ha prodotto a oggi un disavanzo di 98,9 miliardi nominali (149,4 miliardi attualizzati) a causa, in larga parte, del sotto-finanziamento del Servizio. Questo tipo di politica è stato sicuramente efficace nel controllare la spesa sanitaria, ma sicuramente ha prodotto molta disuguaglianza e qualche danno. Questa ipotesi non esime tuttavia le Regioni dalla responsabilità di ben organizzare i servizi e contenere la spesa. Negli anni novanta arrivano altre novità nella gestione del SSN. La legge 502/92 regionalizza il SSN, gli enti sanitari diventano aziende, s’instaura un nuovo modello di finanziamento e si crea competitività tra pubblico e privato. I finanziamenti sono erogati in base al numero e alla qualità dei ricoveri sia per gli ospedali pubblici sia per quelli privati. Di conseguenza si accorciano i tempi di ricovero e si presta maggior attenzione ai ricoveri più remunerativi.

Gli orientamenti politici. La legge 833/78 metteva a carico delle strutture pubbliche tutta l’assistenza sanitaria della popolazione; il privato aveva una funzione complementare su necessità o carenze del pubblico. Con la regionalizzazione, la Lombardia, sotto la presidenza di Formigoni prima e Maroni dopo, ha in sostanza azzerato il servizio territoriale a vantaggio degli ospedali, ha messo sullo stesso piano pubblico e privato, innescando la competizione. Da allora, di fatto, si è avviata un’espansione della sanità privata. Nel Giugno 2016, una ricerca del Censis ha mostrato un netto incremento della spesa privata (riferita all’anno 2015), arrivata alla quota di 34,5 miliardi di euro. Ciò ha comportato un incremento in termini reali del 3,2% in due anni (2013-2015). Si consideri che l’incremento complessivo per i consumi delle famiglie nello stesso periodo è cresciuto del 1,7%. Si stima che siano 10,2 milioni gli italiani che fanno ricorso alla sanità privata, e di questi il 72,6% dichiara di farlo a causa delle liste d’attesa del servizio sanitario pubblico sempre più lunghe. Un dato interessante, rilevato dall’Istat, riguarda il raffronto con altri importanti paesi dell’Unione Europea. La spesa sanitaria dell’Italia è significativamente inferiore, sia in termini di valore pro-capite che in rapporto al Pil: infatti, a fronte dei circa 2400 euro per abitante spesi in Italia, Regno Unito Francia e Germania spendono tra i 3.000 e 4.000 euro. L’incidenza sul Pil in questi stessi paesi è attorno all’11%, rispetto al 9% (spesa pubblica e privata) di Italia e Spagna. Si può vedere dalla tabella 1 che i fondi erogati dallo Stato sono in diminuzione dal 2021 al 2024. A fronte di questa situazione possiamo segnalare la posizione del Garante della Concorrenza e del Mercato espressa nella sua “Segnalazione di proposte di riforma concorrenziale anno 2021″.  In primis non proferisce verbo sull’abuso dei brevetti che sono diventati, di fatto, un cartello monopolistico che rallenta o blocca la ricerca e l’innovazione (Vincenzo Visco Il Sole 24 Ore, 9/4/2021). In secondo luogo afferma che l’“efficientamento” del SSN si ottiene con “…una maggiore apertura all’accesso delle strutture private all’esercizio di attività sanitarie non convenzionate” e questa creerà “una più intensa integrazione fra pubblico e privato” per la soddisfazione delle crescenti richieste dei cittadini. Se il rafforzamento del sistema sanitario si attua con adeguati finanziamenti opportunamente orientati, con l’assunzione di personale, con la ricerca e con una riforma dei servizi territoriale, le parole del Garante vanno in tutt’altra direzione. Suggerisce, infatti, di abolire “… il vincolo della verifica del fabbisogno regionale di servizi sanitari… modificando l’artt. 8-ter, comma 3, del d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502 prevedendo che l’accesso dei privati all’esercizio di attività sanitarie non convenzionate con il SSN sia svincolato dalla verifica del fabbisogno regionale di servizi sanitari.”. Questa ipotesi contrasta con il PNRR, salvo che il potenziamento dell’assistenza territoriale e domiciliare non siano parole in libertà e le case della Salute strutture destinate a essere dei gusci vuoti. Forse dobbiamo pensare che sia il risultato della trasformazione attuata dal neoliberismo non solo sull’economia ma anche  sulla cultura. Forse dobbiamo prendere atto che vi sia l’intendimento di affermare il primato dell’economia sulla politica, di ridimensionare il ruolo dello stato e considerare come merce la salute, il DNA, la scuola, l’acqua e l’ambiente.

La situazione di fatto. Mi pare che sia palesemente sotto gli occhi di tutti che la sanità attraversa un momento di grossa difficoltà. La spesa privata in sanità è intorno ai 36-40 miliardi di euro circa, più un terzo dell’intervento dello stato (dati OPCS del Cergas dell’Università Bocconi). La cifra è calcolata sulla base delle detrazioni richieste nelle dichiarazioni IRPEF e della compartecipazione alla spesa dei pazienti (ticket). Ovviamente chi consegna il modello 101 o chi paga in contanti “brevi manu”, non è in questo calcolo. La prima variazione che si è verificata la definirei culturale. Una volta il medico gestiva gli accertamenti in funzione di un’ipotesi di diagnosi. Oggi tutte le richieste dei pazienti sono esaudite con grande spreco e vantaggio dei servizi privati.  Per l’accesso alle strutture pubbliche i medici devono avere la specializzazione specifica.  Il ministero ha disciplinato gli accessi alla facoltà di medicina, ma non ha programmato quelli per le specializzazioni. Di conseguenza in Italia abbiamo 4 medici ogni 1000 abitanti (contro una media di 3,6 dell’Europa), ma non abbiamo specialisti per coprire i posti vacanti nelle strutture pubbliche.  Durante la pandemia di SARS-Cov19 sono emerse difficoltà di organizzazione degli ospedali e della campagna di vaccinazione. I pronto soccorso non riescono a gestire i troppi pazienti che richiedono prestazioni. I medici danno le dimissioni dal servizio pubblico e sono disposti a rientrare con pagamento a gettone, che alle strutture pubbliche costa più del doppio dello stipendio dei dipendenti. Le liste d’attesa per le visite mediche a fine degli anni novanta erano crescite enormemente ed ertano oltre il limite consentito. Per alleggerire il carico delle Aziende Sanitarie, con la legge 189/2012 si autorizzano i medici all’attività libero-professionale, fuori dall’impegno di servizio e nella stessa struttura d’appartenenza (intramoenia). Il risultato di questa disposizione è stato quello di creare un enorme conflitto d’interesse dei medici (attività pubblica e privata in sede pubblica di lavoro); di non ridurre le liste d’attesa, che continuano a crescere, e di avere le visite a pagamento in tempi brevi.

Livelli Essenziali d’Assistenza (LEA). I Livelli Essenziali d’Assistenza sono le prestazioni e i servizi che il SSN è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (ticket), con le risorse pubbliche raccolte attraverso la fiscalità generale (tasse). Il 18 marzo 2017 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale (Supplemento ordinario n.15) il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) del 12 gennaio 2017 con i nuovi Livelli essenziali di assistenza. Il nuovo Decreto sostituisce infatti integralmente il DPCM 29 novembre 2001, con cui i LEA erano stati definiti per la prima volta. Inoltre, con decreto del ministro della Salute del 21 novembre 2005 è stato istituito, presso il Ministero, il Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (Comitato LEA), cui è affidato il compito di verificare l’erogazione dei LEA in condizioni di appropriatezza e di efficienza nell’utilizzo delle risorse, nonché la congruità tra le prestazioni da erogare e le risorse messe a disposizione dal Servizio Sanitario Nazionale. Il decreto definisce le attività, i servizi e le prestazioni garantite ai cittadini con le risorse pubbliche messe a disposizione del Servizio sanitario nazionale; ridefinisce e aggiorna gli elenchi delle malattie rare e delle malattie croniche e invalidanti che danno diritto all’esenzione dal ticket; innova i nomenclatori della specialistica ambulatoriale e dell’assistenza protesica, introducendo prestazioni tecnologicamente avanzate ed escludendo prestazioni obsolete.

Il DPCM individua tre grandi Livelli, su cui esercitare il monitoraggio:

  • Prevenzione collettiva e sanità pubblica, che comprende tutte le attività di prevenzione rivolte alle collettività e ai singoli; in particolare:
    • sorveglianza, prevenzione e controllo delle malattie infettive e parassitarie, inclusi i programmi vaccinali;
    • tutela della salute e della sicurezza degli ambienti aperti e confinati;
    • sorveglianza, prevenzione e tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;
    • salute animale e igiene urbana veterinaria;
    • sicurezza alimentare – tutela della salute dei consumatori;
    • sorveglianza e prevenzione delle malattie croniche, inclusi la promozione di stili di vita sani ed i programmi organizzati di screening; sorveglianza e prevenzione nutrizionale;
    • attività medico legali per finalità pubbliche.
  • Assistenza distrettuale, vale a dire le attività e i servizi sanitari e socio-sanitari diffusi sul territorio, così articolati:
    • assistenza sanitaria di base;
    • emergenza sanitaria territoriale;
    • assistenza farmaceutica;
    • assistenza integrativa;
    • assistenza specialistica ambulatoriale;
    • assistenza protesica;
    • assistenza termale;
    • assistenza sociosanitaria domiciliare e territoriale;
    • assistenza sociosanitaria residenziale e semiresidenziale.
  • Assistenza ospedaliera, articolata nelle seguenti attività:
    • pronto soccorso;
    • ricovero ordinario per acuti;
    • day surgery;
    • day hospital;
    • riabilitazione e lungodegenza post acuzie;
    • attività trasfusionali;
    • attività di trapianto di cellule, organi e tessuti;

Dalla tabella 3, si evince il numero delle Regioni che hanno attivato il sistema di monitoraggio dei LEA. Gli indicatori da verificare sono 44 e nessuna regione, sulla base dell’ultimo rilevamento, procede alla verifica completa. Come si può vedere dalla tabella 4esistono differenze significative tra le varie aree del Paese, con la Sardegna in coda alla lista. Dalla lettura delle verifiche si evidenzia che anche su situazioni in cui vi è pericolo di vita, esistono disuguaglianze tra le varie Regioni (tabella 5). (Dati del comitato LEA).

Conclusioni. Quali sono i segnali che fanno ipotizzare un passaggio verso la privatizzazione? Se il Garante per la Concorrenza afferma pubblicamente che bisogna dare spazio ai privati e diminuire l’intervento dello Stato, significa che l’argomento a livello politico è all’ordine del giorno. Altro problema rilevante è sicuramente la bassa quota di PIL destinata alla Sanità che ci penalizza nel confronto con Germania e Francia e ci sta portando a livello di Portogallo e Grecia. Negli ultimi anni, ogni qual volta c’è stata una crescita delle finanze pubbliche, questa è stata utilizzata per devolvere risorse direttamente a singoli cittadini: gli 80 euro, quota cento, sgravi fiscali e contributivi e reddito di cittadinanza. Ovviamente sono state decisioni democratiche ma che ci inducono a pensare che le priorità del governo resteranno immutate per il prossimo futuro. La mancanza di programmazione e la mancata valutazione del lavoro delle strutture stanno creando una disorganizzazione dei servizi e una diseguaglianza sempre crescente tra le Regioni. Questa situazione incrementa la migrazione dal Sud verso il Nord e dal pubblico al privato. L’aumento della quota privata mina l’equità del SSN e delegittima i servizi pubblici. L’istituzione dei LEA non ha cambiato sostanzialmente le differenze tra le regioni dal momento che il finanziamento dello Stato è basato sulla quota capitaria con una correzione pesata per composizione anagrafica (popolazione più anziana ha diritto a quota maggiore). Sulla base di questo precedente mi pare difficile pensare che i LEP (livelli essenziali di prestazioni), proposti per le autonomie differenziate, possano colmare il divario sociale tra le zone ricche e quelle svantaggiate del paese. Negli ultimi decenni si è affermata una cultura liberista che tende a limitare il più possibile l’intervento dello Stato, lasciando ampio spazio al mercato. Il modello di riferimento è certamente quello americano. Se dovessimo accettare le regole americane per la Sanità, ci dobbiamo aspettare che solo chi è in condizioni di pagare un’assicurazione sarà curato; inoltre chi soffre di una malattia cronica è rifiutato dalle assicurazioni e può accedere alle cure solo dietro pagamento. La legge 833/78 è stata una conquista di popolo che è arrivata dopo una serie infinità di dibattiti e manifestazioni che hanno conquistato l’opposizione e convinto la maggioranza parlamentare. Se non si vuole perdere il diritto alla salute, garantito in Costituzione, bisognerà che i cittadini facciano sentire la loro voce forte e chiara a favore del SSN.

 

Tabella 3. Monitoraggio.  Griglia

LEA 2016-2017

Prevenzione collettiva e sanità pubblica,

Assistenza distrettuale, Assistenza  Ospedaliera

,

1)      In verde le regioni che hanno istituito il monitoraggio;

2)      In rosso quelle inadempienti;

3)      In grigio quelle non sottoposte a monitoraggio

Tabella 4. Valutazioni e punteggi delle

Regioni in base alla Griglia LEA 2019

Regione Punteggio complessivo 2019
Veneto 222
Toscana 222
Emilia Rom. 221
Lombardia 215
Marche 212
Umbria 211
Liguria 206
Friuli Venezia G. 205
Abruzzo 204
Lazio 203
Puglia 193
Piemonte 188
P.A. Trento 187
Sicilia 173
Basilicata 172
Campania 168
Valle d’Aosta 160
P.A. Bolzano 157
Molise 150
Calabria 125
Sardegna 111

 

Tabella 5

Intervallo Allarme-Target

dei mezzi di soccorso

Tasso di pazienti

Con tumore trattai in ADI

Punteggio

totale

Regione
peso MOR punteggio peso MOR punteggio  
PIEMONTE 2 0 100,00 1 0 85,88 88,83
VALLE D’AOSTA 2 0 1 0 1,05 48,09
LOMBARDIA 2 0 97,00 1 0 87,95 89,98
PROV. AUTON. BOLZANO 2 0 95,56 1 0 - 50,89
PROV. AUTON. TRENTO 2 0 79,22 1 0 73,79 75,06
VENETO 2 0 100,00 1 0 100,00 97,64
FRIULI VENEZIA GIULIA 2 0 100,00 1 0 77,55 78,35
LIGURIA 2 0 100,00 1 0 74,33 85,48
EMILIA ROMAGNA 2 0 97,00 1 0 95,20 94,51
TOSCANA 2 0 100,00 1 0 90,71 88,50
UMBRIA 2 0 25,89 1 0 84,38 69,29
MARCHE 2 0 100,00 1 0 92,24 85,58
LAZIO 2 0 97,00 1 0 52,82 73,51
ABRUZZO 2 0 95,56 1 0 92,46 79,04
MOLISE 2 0 85,22 1 0 97,96 67,91
CAMPANIA 2 0 82,22 1 0 86,78 63,04
PUGLIA 2 0 100,00 1 0 65,93 76,53
BASILICATA 2 0 1 0 94,49 50,23
CALABRIA 2 0 28,89 1 0 6,97 55,50
SICILIA 2 0 92,56 1 0 90,04 75,20
SARDEGNA 2 0 82,22 1 0 n.c. 61,70

 

 

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