Ho letto con curiosità le pagine dedicate, con singolare quanto casuale coincidenza, dai due quotidiani sardi all’intelligenza artificiale, con riferimento a ChatGpt, il software che sa rispondere alle domande e conversare.

Qualche esperto sostiene che questo sistema – balzato agli onori delle cronache perché capace di aiutare gli studenti a fare i compiti – sia in grado di superare alcuni esami professionali.

Ancora una volta il dilemma etico davanti all’innovazione è legato all’utilizzo che se ne fa: la tecnologia è uno strumento, di per sé non è né buona né cattiva.

Nell’intervista pubblicata su “L’Unione Sarda”, ChatGpt sembra in realtà poco più di un aggregatore di contenuti attinti dai motori di ricerca, senza la fondamentale interpretazione che solo la persona umana è in grado di dare.

Ad alcuni quesiti la risposta è molto simile: problemi come la continuità territoriale o la sanità sarda sarebbero risolvibili – secondo l’intelligenza artificiale – “allargando l’offerta”, costruendo nuovi aeroporti o nuovi ospedali. Sappiamo che non è così, specie per la carenza di medici, ma gli assessori Doria e Moro sono avvisati. In altre parole, ChatGpt mette insieme i dati principali, ma non ragiona. Come una calcolatrice: dà risultati precisi, ma non capisce i numeri.

Il filosofo dell’informazione Luciano Floridi sostiene che “strumenti come ChatGpt rimarcano la separazione tra agire con successo, come fa un’intelligenza artificiale, e la capacità di agire in modo intelligente per arrivare a quel successo, come fa generalmente una persona. ChatGpt ha una enorme capacità di agire, ma senza ‘intelligere’”.

I due quotidiani sardi però, riappropriandosi di una funzione insostituibile dei media, sollecitano una riflessione sui posti di lavoro a rischio per effetto dell’uso massiccio di software come ChatGpt.

Secondo gli studiosi Frey e Osborne il 47% dei lavori che conosciamo scomparirà nei prossimi 20 anni. Ma a sparire saranno solo le professioni che comportano la ripetizione meccanica dei comandi. Carlo Ratti, intervenendo qualche anno fa all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Cagliari su invito di Maria Del Zompo, sostenne che resisteranno i lavori creativi: ingegneri, programmatori, stilisti e scrittori. Come quelli legati al mondo della cura, dal parrucchiere alla badante, in cui l’elemento umano – il genio, la creatività, l’attenzione al dettaglio – è essenziale. Chi si farebbe fare la barba o tagliare i capelli da un robot? In tanti si interrogano sul destino dell’informazione: per “copiare” le notizie, attingendo dai motori di ricerca, e aggregarle secondo un ordine impostato in precedenza non serve l’intelligenza artificiale: lo fanno già alcuni software. In alcune agenzie, da tempo.

Sergio Nuvoli Presidente CORECOM Sardegna L’Unione Sarda 29 gennaio 2023

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    1 Comment to “”

    1. By Mario Pudhu, 2 febbraio 2023 @ 07:58

      “intelligenza artificiale” e tontesa imbecile de su machine de una economia assurda, disumana, diabbólica, de gherra pro arrichimentu a domíniu chi bochit, distruet e isperdet logu e umanidade.
      Su ‘triballu’ lu faghent sas màchinas (chentza sindacados e ne partidos, ne conca e ne cusséntzia chi pessat e cheret o no cheret e ne ischire proite, o proite eja e proite nono, e sa zente a milliardos cundennada a s’iscrafi apitendhe frundhida in sa zanna de sos millionàrios epulones ispetendhe sos canes a lis línghere sas piaes.
      Ant a èssere ‘intellizentes’ custas màchinas, intelizentes e tontas che màchinas, in manos e propiedade de tontos che a sos prus e peus tontos chi no cumprendhent ca cherent cumprèndhere su chi bisonzat a s’àteru.
      Zustu unu robot pro unu triballu perigulosu pro dannu a o irballu de su cristianu chi lu faghet.
      Ma coment’est possíbbile chi de su machine no nascat àteru e peus machine e dannu?