Storie di baroni e di borghesi ed i trionfi della longevità popolana nel basso Sulcis costiero. Sono una gustosa e varia lettura gli ultimi lavori di Salvatore Loi, di Gianfranco Murtas

Salvatore Loi, teuladino appassionato (ed a ragione) della sua piccola patria, possiede la grazia di far soltanto cose belle, pubblica soltanto libri di qualità: di qualità nei contenuti e nella forma, e sì, prima di tutto nei contenuti e nella forma della narrazione, discorsiva al massimo livello, ma anche nella edizione che è puntualmente sobria, misurata e insieme fine, un amo al gusto di chi i suoi libri li prende in mano, li sfoglia dalla prima all’ultima pagina, si sofferma in prima battuta su quel che di più lo colpisce e interessa o, anzi, intriga, e cerca poi di galoppare per capitoli e paragrafi, dalla premessa o dall’introduzione sino all’indice finale e al colophon. E di più: entrando con spirito discreto ma osservatore anche nelle scene di cui le sezioni fotografiche non avareggiano mai, presentandole a supporto del racconto e del profilo dei suoi personaggi, i protagonisti ed i coprotagonisti di vicende lontane e meno lontane svoltesi proprio in quel posto lì, in quella casa e in quella campagna erette a scenario di azioni che il cronista (postumo per volontà della sorte) è chiamato a descrivere nelle loro dinamiche e già prima nel pensiero volitivo capace di trasformare tutto, di fare nuovo il vecchio.

Si disimpegna così fra i tempi storici e quelli dell’attualità, della cronaca cioè, fra nobili e popolani, Salvatore Loi, e punta a restituirci l’umanità di ciascuno, oltre il ruolo e lo status derivato dalle generazioni, e così – forse senza volerlo – svolge una funzione che è pure pedagogica perché, riportando al presente quel che è stato – è il caso de La Casa del Barone di Teulada dai Catàlan, ai Sanjust, ai Bottazzi 1670-1970 (ma così, e alla grande, è stato con La sarta di Teulada. Storia e mito del ricamo a punt’e nu’ di Teulada, anch’esso di stampa recente) –, segna la misura della storia, che è la misura del relativo.

Direi però anche altro: che si allea con i futuri sociologi o antropologi che vorranno studiare, di Teulada e della sua plaga – di Sant’Anna Arresi e Domus de Maria – certi fenomeni che sorprendono e affascinano di una umanità semplice e vera, quella dei centenari spuntati dalla terra coltivata o da quella soltanto pascolata. E i centenari d’oggi, i centenari delle fatiche agresti, idealmente li rifà coevi dei baroni o dei ricchi che avevan fatto, con il loro nome e il patrimonio, la storia.

Perché sostengo questo? Perché press’a poco nelle stesse settimane in cui ha presentato, con i meriti dell’associazione culturale Is Sinnus, La Casa del Barone, ha pure donato, Salvatore Loi, alla buona lettura di noi altri, privi di competenza specifica ma certamente con molto amore ai libri e alla Sardegna, ed insieme alla lettura (e allo studio) degli specialisti della statistica e della medicina un informatissimo Salute e longevità. Il grano. Le capre. Le famiglie, cui è stato dato in aggiunta il sottotitolo Contadini e pastori centenari a Teulada, Sant’Anna Arresi e Domus de Maria, 1700-2020. Come a dire: che cronaca e storia si danno la mano, sempre si danno la mano.

Di La Casa del Barone di Teulada avevo avuto la fortuna di poter leggere le bozze, e dunque di averne accompagnato il passaggio editoriale, la fabbrica che è sempre un fatto creativo: un fatto creativo che dice sempre molto dell’autore (e nel caso noi potremmo ricordare titoli in convergenza: Sa tunda : pane di Sardegna : alimento, salario, simbolo : Lavoro contadino e produzione di pane a Domus de Maria, Sant’Anna Arresi e Teulada (1920-1940), ma anche Domus, furriadroxius, madaus a Teulada e Arresi dal 1840 al 1940, ma anche Sant’Anna Arresi : genti in movimento : storia del ripopolamento di Arresi dalla Baronia di Teulada all’autonomia comunale, 1624-1965, ma anche il più recente Storia di Teulada e dei teuladini, e ancora altro… tanto solo per ricordare – con Malfatano : passaggi e paesaggi, contadini, geografie e storie – le zoomate sul territorio ed il sentimento per il territorio, cioè la sua gente).

La casa del Barone di Teulada

E’ diviso in otto capitoli e due appendici, premessa e introduzione a parte, il primo dei due libri che qui presento alla attenzione di chi ha due ore da spendere per l’utile e la goduria. Il portfolio finale – una trentina fra tavole planimetriche, copertine di atti secolari e fotografie d’epoca, perfino un albero genealogico (quello dei Bottazzi) – aggiunge, nella sua compiutezza, quel surplus informativo che la cinquantina di fotografie sparse inframmezzando il testo – per mobili e immobili, persone ed arredi, riunioni familiari e convegni di caccia, furriadroxiu e cassapanche, cani ed etichette di liquori, piastrelle dell’antico impianto e lapidi funerarie, ecc. – ha anticipato quasi proponendosi come una “storia per immagini” o anche soltanto offrendosi come complemento alla narrazione.

Certo è che più che dei Sanjust il racconto ha i Bottazzi per protagonisti, e certo è anche che la circostanza della proprietà borghese sopravanzante quella patrizia è nota ai locali, che con la “casa” e i suoi padroni hanno avuto relazioni, ben più che alla larga platea dei medi lettori di storia della Sardegna dagli spagnoli ai piemontesi agli italiani che quella “casa” hanno continuato a tenerla associata al titolo dei nobili di fatto soltanto cagliaritani, e importanti protagonisti della vita civile ed amministrativa, religiosa e professionale del capoluogo ancora fino alla metà del Novecento…

Questa storia inizia verso la metà del XVII secolo, con l’acquisto della baronia da parte di un ricco armatore navale cagliaritano, tale Antonio Catàlan che la passò poi all’unico figlio maschio, Serafino, il quale a sua volta – privo di discendenza maschile, quando ormai i Savoia eran subentrati agli spagnoli nel dominio politico dell’Isola – la cedette ad una figlia (Maria Grazia) andata in sposa con tanta dote ad un Giovanni Battista Sanjust – rampollo di una famiglia di comandanti militari e uomini di corte, che mai visse a Teulada –  il quale subito aggiunse al suo cognome il riferimento alla feudale giurisdizione.

Per centocinquant’anni almeno – sono sei generazioni – gran parte della vita sociale (ed economica) di Teulada ruotò attorno alla casa baronale, e sono degne di speciale segnalazione alcune pagine dall’avvincente sequenza filmica che Salvatore Loi ci offre per darci l’idea che cosa fosse quel centro del centro, nel quotidiano quella vita dei mille paesani…

Arrivarono poi i Bottazzi di radice piemontese. Alcuni di loro migrarono, inclusi nei massivi convogli che portarono – così per cinquant’anni quasi – gli italiani nelle Americhe e altrove alla ricerca d’un pane certo per sé e la propria famiglia. Fra essi, in ultimo, anche un Bergoglio… Altri colsero le occasioni di lavoro e d’impresa offerte da altre parti d’Italia. I Bottazzi furono dell’una e dell’altra schiera: Carmelo se ne andò (come poi i Bergoglio) in Argentina e lì divenne, da marinaio militare, un ricco fazendero con proprietà sconfinate (per pascolo e vitigni) in Patagonia; Giuseppe suo padre, sua madre Margherita Bobbio ed i cinque figli si fecero sardi, trasferendosi a Teulada e curando le forniture di legno (per le traversine utili alle neonate ferrovie isolane) a partire dai 700 ettari da essi acquistati, primo nucleo di possedimenti destinati ad allargarsi molte volte. Non fu, da allora, soltanto, legno, ma le produzioni marchiate Bottazzi divennero le più varie: mandorle, vini, miele, tessuti e pellami, coloniali e carne di bestiame… E il centro del centro fu quella grande casa che era stata dei Sanjust e prima ancora dei Catàlan.

Come un romanzo Salvatore Loi entra nelle dinamiche famigliari e dell’impresa, nel giro sociale sorto e sviluppato attorno ai Bottazzi, e tutto e tutti colloca nella sequenza dei tempi che sfonderanno il Novecento e supereranno la grande guerra e la dittatura: vi colloca anche episodi di cronaca truce, protagonismi di preti e vescovi, delibere del Consiglio comunale…

Buona lettura. Qui affaccio soltanto i titoli dei vari capitoli e delle appendici: “I Bottazzi da Pozzolo Formigaro”, “Storia di un fabbricato”, “Partire. Emigrare. I Bottazzi partono”, “I Bottazzi in Argentina”, “L’azienda Bottazzi di Teulada e la casa del Barone”, “Storia di una piastrella”, “Un toscano basso di statura. Prete Gallus si rifugia in casa Bottazzi. Un coraggio non comune”, “Il vedovo di Cesira Bottazzi e la seconda moglie Nunziata Costa”, “Ancora Piemontesi”, “Addio, Adiosu, Adios”, “Da L’Unione Sarda”, “Diario Bottazzi”.

Salute e longevità

Superate le riserve degli specialisti, dei demografi e dei geriatri e nutrizionisti, non mancando peraltro di consultare qualche saggio amico, la ricerca sulla salute e la longevità nel basso Sulcis ha visto la luce fissandosi sulla carta di un’autoproduzione di mille virtù, in belle duecento pagine di interviste e considerazioni, di tabelle, ricostruzioni di alberi genealogici e fotografie – le fotografie di Riccardo Del Conte che rappresentano contadini e massaie come sovrani di gran rispetto – che danno onore a un territorio che fa famiglia. (Mi piace molto questo intreccio fra comuni distinti ma pur di condivisa radice e di pacifiche relazioni nell’oggi).

Sfruttate al meglio le evidenze dell’archivio storico del Comune teuladino (e del privato Mario Paderas pure teuladino), di quello diocesano di Iglesias, dello Stato di Cagliari, Salvatore Loi ha accostato le persone, per il più con loro dialogando in sardo, sviluppando quella empatia che concede all’intervistatore di ottenere sempre tutto dal suo interlocutore, confidenza innocente e un bicchiere di vino nero.

Il report che ne è venuto risulta insieme scientifico – tanto più nella prima parte – con importanti quadri statistici (partendo dai censimenti della popolazione e del bestiame e andando alla mobilità intercomunale e alle produzioni aziendali) – e gustosamente narrativo, tanto più nella parte conclusiva.

Gli incontri si sono susseguiti negli anni – ce ne sono stati nel 2006, nel 2010, nel 2013… negli anni intermedi, e all’intervistatore si sono concessi Antonio Angioni, Angela Didu, Annunziata Piras, Ericina Salis, Maria Farina, Caterina Genugu, Stefano Ballisai Culurgioni, Mariangela Cuccu, Maria Piras, Bardilia Marras, Assunta Loi Uccheddu, Anna Delussu Lai, Francesca Meloni Pisanu, Paolina Caredda, Beatrice Lecca Garau – vincono davvero alla grande le donne sugli uomini –, Antonietta Ledda, Peppina Aresu Culurgioni, Maria Marongiu, e quanti altri e quante altre…

Classificati, per quanto possibile, come aggregato sociale o di domicilio – centro urbano, piccoli e medi possidenti, frazioni e furriadroxus, grande proprietà… – i centenari intervistati si sono raccontati, hanno raccontato l’essere cioè, e raccontato l’avere: l’essere e l’avere in stretta relazione. Sicché ne è venuto fuori, conversando con libertà, il privato più privato: insieme con le (sane) abitudini alimentari, le dimensioni e particolarità delle case di abitazione familiare – altro spaccato della indagine sociale – e ne sono venute fuori anche le incidenze che sul privato personale e familiare (anche dietetico) hanno avuto le particolari situazioni storiche (interessantissimo il paragrafo “Le Bonifiche alimentari nel ventennio 1920-1940”).

Fra tanto popolo si è ammesso (ma in via indiretta) qualche ricco: “Il pranzo rituale dei signori” è entrato nel report titolato “Vecchi, cibo e comunità”: «Le notizie provengono dalle testimonianze degli invitati, dei servitori e delle autorità… A tavola non si fuma, si sorride, le bottiglie del vino sono aperte e prima del brodino, piatto iniziale di apertura, s’intona una canzone o un mottetto. In cucina vi sono cuochi esperti. Il panettiere porta il suo pane e altri pani farciti. Le porzioni sono libere. La tavola è animata da un clima vivace: a comporlo i saluti, i convenevoli e il cibo… Il menu è il protagonista…Tra i primi piatti non compare la pasta, asciutta, al sugo, in bianco o in altro modo; nemmeno i ravioli di formaggio, prelibatezza diffusa. La ragione è che il piatto di pasta soddisfa lo stomaco e impedisce di gustare i diversi secondi piatti, rari, costosi e di lunga preparazione… Nel pranzo dei signori si celebra la separazione interna della comunità: il pastore e il giudice siedono affiancati, ma il primo ha scelto, sgozzato e ripartito la carne, avendo selezionato con il padrone la bestia per età e peso, vagliando l’arrosto o il bollito, per riunire nel piatto il lavoro e il cibo…».

I più longevi di Teulada sono nati nel primo ventennio del Novecento, la densità di tanti virtuosi o fortunati è risultata tripla nell’area del basso Sulcis – quello costiero non minerario – di quella diffusa in generale del resto dell’Isola. Sicché legittimamente Loi intervistatore si è posto la domanda: «Che cosa non hanno mangiato i centenari locali?», dando così a noi, mangioni indisciplinati, il più facile dei consigli, emancipandoci da ogni invalsa perfida abitudine…

Mi pare utile anche in questa circostanza dar conto dell’indice che dettaglia le cinque parti in cui il rapporto è stato articolato: dopo il “Quadro generale” (per il territorio e le risorse, le fonti orali e scritte, la popolazione e le produzioni, l’agropastorizia teuladina e mariese), ecco “Contadini e pastori” (con gli accordi di produzione del grano, i contratti pastorali, il consumo degli alimenti dell’ovile, il latte di capra, la classifica dei supercentenari fra i caprai), “I dati recenti” (che sono supplementi di statistiche anche sull’immigrazione e le parentele longeve), “Stili di vita e alimentazione” (col cibo di raccolta, la carne dei poveri, ecc.) e appunto “Vecchi, cibo e comunità” di cui s’è detto.

Bellissimo infine – mi si consenta questa personale nota sentimentale di natura… evidentemente tutta panregionale –, nella rassegna delle pagine genealogiche (per una ventina di “dinastie”), l’intreccio territoriale che si allarga ad Oristano coi Serra-Angioni-Cuccu e ad Orgosolo coi Ledda e coi Taccori, a Segariu con gli Uccheddu e ad Iglesias coi Culurgioni, coi Bernardino e coi Ballisai-Matta, ad Arbus coi Salis e ad Arixi-Senorbì ed a Nuoro coi Cuccu e i Toro/Dore, ad Uta coi Soru ed a Villacidro coi Loi-Cabriolu, a Gergei coi Virdis-Saba… ma ancora si potrebbe ulteriormente allargare il cerchio includendo, come conferimento di geni positivi, Busachi e Baunei, Bitti e Siliqua, Aggius e Sant’Antioco e Tempio Pausania…

Il Sulcis-Iglesiente, il basso Sulcis soprattutto, come l’Ogliastra capitale mondiale di vita lunga e serena, laboriosa e sana.

***

 

Scrivo queste note mentre continuano a giungere, drammatiche, le notizie da Kiev e dalla Ucraina tutta. Sia maledetto chi ha scatenato l’inferno ed ha provocato la morte e la sofferenza di tanti innocenti. (Ed ancora una volta abbiamo la plateale dimostrazione della nullità liberale degli esponenti della destra italiana, pagana e imbrogliona, da cui insistenti sono venuti, negli anni, gli accarezzamenti ad un pericoloso dittatore nato).

 

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