I nuovi single combattenti. Necessita’ o scelta?, di Greta Sclaunich

FOEDDAUS DE NOIS. In Italia una persona su tre vive da sola, a Milano una su due. Così a Cagliari. Numeri altissimi che raccontano (anche) la difficoltà di formare una coppia nell’era delle relazioni digitali.

In Italia una persona su tre vive da sola e a Milano la percentuale sale a una su due. Tra loro, molti sono single. E sono così tanti che immaginarli tutti simili agli stereotipi incarnati dai personaggi del diario di Bridget Jones (lei, trentenne pasticciona alla disperata ricerca dell’amore e lui, sexy, ondivago e allergico alle relazioni) sarebbe riduttivo. Tanto più che libro e film hanno da poco compiuto vent’anni e non sono invecchiati così bene: a riprenderli in mano strappano ancora un sorriso, ma la vita di tutti i giorni è un’altra cosa.

Cominciamo con il dire che non c’è “il” single tipico. Questa almeno è l’analisi di Giancarlo Dimaggio, psicoterapeuta e autore di ha la meglio. Monogamia, poliamore, infedeltà e uno psicoterapeuta (Baldini e Castaldi, in uscita il 22 novembre): «C’è un’ampia varietà di situazioni per cui una persona è o diventa single. In alcuni casi non è nemmeno una scelta ma la conseguenza di determinate difficoltà nelle relazioni, non solo sentimentali: penso agli incel o agli hilddkomori. Poi ci sono i single di ritorno e quelli che lo diventano a una certa età, anche avanzata (il 21, 7% degli uomini e il 49,2% delle donne over 75 vivono soli, secondo le stime Istat 2019 ndr).

Insomma sarebbe sbagliato immaginare che tutti i single siamo come Bridget Jones, cioè trentenni che vivono soli e non hanno trovato un o una partner. Ma poi, trovarlo è così importante? Lo psicoterapeuta solleva una questione interessante: «Lo sfaldamento di istituzioni storiche come il matrimonio ci ha regalato una libertà di scelta che prima non esisteva. Scelta che non riguarda solo l’essere single o meno ma influenza anche i parametri delle relazioni che costruiamo. A partire dal ripensamento della monogamia».

Certi tratti, però, ritornano. Per esempio «le difficoltà economiche, perché essere single non conviene: uno dei vantaggi della coppia è la condivisione delle spese». Basti pensare che, secondo una proiezione Coldiretti realizzata nel 2020, il costo della vita per un single è più alto del 78% rispetto a quello dei singoli componenti di una famiglia di tre persone: in particolare per cibo e bevande spende il 55% in più mentre per le spese legate all’abitazione l’incremento sale addirittura al 140%.

Altro tratto comune è il fatto che «non esista più il “chiodo scaccia chiodo”. Chi esce da una relazione non ne cerca un’altra come medicina ma ricomincia a sognare e costruire da solo: organizza viaggi, si iscrive a corsi e attività, allarga la rete delle sue conoscenze». Tutte cose che Bridget Jones faceva anche vent’anni fa (per dimenticare l’ex fedifrago si trova pure un nuovo lavoro) anche se il lieto fine lo determina solo l’incontro con un nuovo amore. Oggi, invece, magari partirebbe per un viaggio.

 

IL CORTOCIRCUITO DIGITALE

A proposito di Jones: ce n’è un’altra da ricordare, anche lei icona dei single dai primi anni Duemila in poi. La seducente, libera e sexy Samantha di Sex and the City, che per un paio di decenni ha rappresentato l’altro volto del non essere in coppia: da un lato i pigiami informi e le scatole di cioccolatini divorate a tarda notte da Bridget, dall’altro le collezioni di scarpe griffate e i cocktail in locali da sogno di Samantha ( che una notte da sola, nell’arco delle cinque prime stagioni della serie, non l’ha passata mai). Due stereotipi, anche sessuali, ormai superati come spiega Nicola Macchione, sessuologo e autore de Il. sesso semplice (Fabbri): «La pandemia ci ha cambiati profondamente: le relazioni, anche di una sera, passano dal digitale. Che si tratti di un match su un’app di dating o di sextìng, ormai il primo approccio è digitale. Questo crea un cortocircuito: le modalità del dating online portano a credere di poter sempre trovare di meglio e, a furia di cercare, si finisce per non incontrare nessuno». Anche perché, sempre a causa della pandemia, siamo diventati tutti più esigenti: «Durante i lockdown ci siamo abituati a stare da soli e ormai temiamo che una relazione non possa garantirci la comfort zone che ci siamo creati. Anche nel sesso: l’acquisto di sex toys è esploso proprio nei mesi più duri del Covid. Conoscere meglio il proprio corpo non è una cosa negativa, lo diventa se esclude una vita relazionale con eventuali partner. Bisogna invece capire che nell’intimità il benessere da soli e quello in coppia possono coesistere».

Oltre al boom nell’acquisto di giochi e gadget erotici (solo in Italia, tra il 2019 e il 2020, le vendite hanno segnato un aumento dell’Bzss) la pandemia ha segnato anche un’accelerazione nell’utilizzo delle app di dating. Che ormai sono più che sdoganate: non solo la capofila, Tinder, proprio a settembre ha compiuto dieci anni, ma ne esistono di così specifiche da proporre addirittura il match con persone intenzionate a diventare genitori insieme senza essere una coppia (le spagnole Copaping e Family4EVeryone). E questo, secondo Valeria Montebello, autrice del podcast Il sesso degli altri (Chora Media), la dice lunga: «Se esistono persone felici di essere single? Certo si tratta di una percezione individuale ma ho l’impressione che, anche se con approcci diversi, più o meno tutti continuano a cercare un o una partner. Altrimenti non si spiegherebbe l’interesse per le app di dating». Una differenza, però, c’è e l’esperta tiene a rimarcarla: «Essere single, oggi, non è più visto come una disgrazia: non consideri la tua vita incompleta se sei da solo». Anche perché trovare qualcuno, al netto dei match su Tinder e affini, non è così semplice: «Incontrare qualcuno di interessante nel mondo reale è diventato più difficile. Certo non rimpiango le attenzioni indesiderate e pressanti che a volte capitava di subire da parte di sconosciuti nei locali o in discoteca, ma non succede nemmeno più che qualcuno si avvicini e tenti un approccio». Il digitale, insomma, non basta a colmare certi vuoti. Tant’è vero che, secondo un sondaggio pubblicato dal Sole 24 Ore nel gennaio scorso il 55% degli italiani soffre di solitudine ( con un picco nei giovani tra i 18 e i 34 anni). L’ennesimo controsenso?

 

INVENTARE NUOVE PAROLE

Secondo Paolo Borzacchiello, scrittore esperto di intelligenza linguistica (tra gli altri ha scritto Basta dirlo. Le parole da scegliere e le parole da evitare per una vita felice, Mondadori), è il primo segnale di una prossima evoluzione del concetto di single. Partiamo dall’inizio: «Una volta quelli che oggi chiamiamo single erano definiti celibi e nubili, scapoli e zitelle. Parole collegate a significati spiacevoli se non addirittura negativi. Il costume si è evoluto e ha modificato la lingua, che si è adeguata trasformandosi. Una sorta di operazione semantica dal basso, perché negli ultimi dieci anni sono state le persone stesse a definirsi single: una ribellione contro il pensiero comune, cioè che era obbligatorio trovare un o una partner».

Adesso, nota l’esperto, le cose stanno cambiando di nuovo: «Lancio una provocazione: siamo sicuri che stare da soli sia ancora un’opzione? Cioè: sono io che scelgo di essere single o non riesco a essere altro perché non sono più capace di stare in coppia? Penso ai tanti match sulle app di dating che non si trasformano nemmeno in un caffè dal vivo, al sesso consumato online, alle ore passate sui social: le nostre vite sono mediate dal mezzo e non vedendo le persone non abbiamo mai il desiderio di stare insieme. Aggiungiamoci anche la difficoltà del momento storico tra strascichi della pandemia, crisi energetiche e caro bollette: è difficile potersi permettere è costruire una famiglia».

Così la parola single si sta caricando di nuovi significati. Non per forza positivi, anzi: «Ho l’impressione che si stia permeando di tristezza e ingrigendo nel prossimo futuro rischia di diventare sinonimo di sfigato. Servirà per una nuova parola per indicare i single che hanno davvero scelto di esserlo. Mi viene in mente il francese célibattant neologismo che mette insieme le parole célibataire (single) e combattan (combattente): questo sì che indica l volontà di prendere posizione e no certo l’impossibilità di farlo. Purtroppo, per ora, non ha un equivalente in italiano».

 

ESSERE E APPARIRE

Però, a guardarsi intorno, di célibatants all’italiana ce ne sono parecchi, a cominciare dalle persone della comunità lgbt+, per le quali definirsi single è una vera e propria conquista. Come spiega Chiara Sfregola, autrice di Signorina e Camera singola (Fandango «quante persone che una volta consideravamo zitelle o scapoli erano in realtà condannate a vivere nella solitudine perché non potevano vivere le loro relazioni alla luce del sole in quanto Igbt+. Adesso invece possono avere una vita· da single proprio come fanno ‘gli ‘eterosessuali: liberi di esserlo ma altrettanto liberi di cercare un o una partner». Ed ecco che la parola single torna a caricarsi di significati positivi. E Iìberatori «ma solo a patto di poter esplicitare la propria condizione e il proprio orientamento. Perché ancora adesso molti ne se la sentono di fare coming out magari hanno relazioni lunghe e stabili ma per famiglia e amici sono single ìmpenitenti».

Da SETTE, 11.11.2022

 

 

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