LA NOTTE DI NUORO (29 ottobre 1922)

“Devo dare voce a uno strano personaggio. Non è persona, chiamatelo La Storia, o La Sardegna, o Il Senno di poi …”.

Elaborazione drammatica di Piero Marcialis dalla ricerca e la documentazione di Salvatore Cubeddu.

Tra qualche giorno ci arriviamo, al 28 ottobre, centenario della ‘marcia su Roma’ del 1922, data di inizio del fascismo in Italia. Non in Sardegna dove, in contemporanea si svolgeva nelle strade di Nuoro la manifestazione sardista contro il fascismo. Qui diciamo di quei giorni, dal 27 al 30 ottobre del ’22, e di quella drammatica notte che avvenne a Nuoro il 29 ottobre 1922, il giorno dopo la Marcia su Roma, il giorno prima che Vittorio Emanuele III cedesse al fascismo.

LA NOTTE DI NUORO

(29 ottobre 1922)

ATTO UNICO

 

Sul palco Rita Atzeri, Mario Faticoni, Piero Marcialis, Boreddu (Salvatore Cubeddu).

 

Dopo i consueti preliminari.

 

Rita – Devo dare voce a uno strano personaggio.

Non è persona, chiamatelo La Storia, o La Sardegna, o Il Senno di poi.

Dirò e farò dire dell’epoca del primo dopoguerra, di quei giorni, dal 27 al 30 ottobre del ’22, e di quella drammatica notte che avvenne a Nuoro il 29 ottobre 1922, il giorno dopo la Marcia su Roma, il giorno prima che Vittorio Emanuele III cedesse al fascismo.

E’ una storia ritmata sui fili del telegrafo, sentirete più volte la parola telegramma, infatti il telegrafo è ancora il principale mezzo di comunicazione; le trasmissioni radio sono ancora da realizzare, avranno inizio nel 1924; l’uso del telefono sarà razionalizzato solo nel 1923.

Quando si parla di resistenza al fascismo bisognerebbe ricordare a tutti che essa è nata in Sardegna molto prima che nel Continente: sono i sardisti a organizzare, contro le camicie nere, le “camicie grigie”, addestrate da Emilio Lussu “con tecnica militare e ad uso di guerriglia”, per difendersi dagli attacchi dei fascisti cagliaritani; sono i 250 ciclisti di Monserrato, in maggioranza sardisti, a tenere sotto controllo il territorio cagliaritano contro i fascisti.

I fascisti entrano in Parlamento nel 1921, ma nessuno viene eletto in Sardegna, anzi a Cagliari non riescono neppure a presentare una lista.

La delegazione sarda al Parlamento risulta quindi in grande maggioranza antifascista. Sono eletti per il PsdA  Emilio Lussu, Pietro Mastino, Umberto Cao e Paolo Orano (quest’ultimo tradirà e passerà presto al fascismo).

Tra i sardi c’è anche Francesco Cocco Ortu, capolista del Blocco Nazionale ed egli, per quanto proveniente dalle file giolittiane, sarà uno dei più grandi parlamentari che non scenderà mai a patti col fascismo.

Di quei giorni ci parla proprio Francesco Cocco Ortu nel suo diario personale inedito. Sentiamolo.

 

Francesco Cocco-Ortu (Mario) – Il 22 ottobre sollecitato da un telegramma dell’on. Cermenati, “eventi precipitano affrettati a venire”, feci ritorno a Roma.

Mi ero trattenuto il 19 alla festa per il mio ottantesimo compleanno, sarebbe stata villania allontanarmi. Inoltre sapevo che il Facta era deciso a non provocare una crisi extraparlamentare e che amici intimi di Giolitti trattavano per un accordo di lui con Mussolini.

Io preferivo rimanere lontano per conservare la mia libertà d’azione, ad ogni modo decisi di venire.

La sera del 22 e la mattina del 23 la Camera era deserta.

Solo nel pomeriggio potei vedere Cermenati e poi Fazzari.

Il primo mi riferì delle voci che c’erano in giro, all’altro rimproverai di non aver tenuto i contatti con me e gli altri responsabili politici dei vari gruppi. Si scusò dicendomi che nulla avrebbe potuto scrivermi di concreto essendo pendenti le trattative alle quali ho accennato.

Io non approvavo che si facessero accordi con uomini che sovvertivano lo Stato con metodi anticostituzionali e violenti.

Pareva che il Facta fosse disposto a provocare una crisi per cedere il governo a Giolitti, ma che non sapesse decidersi.

Il 24 ebbi un colloquio col Facta. Mi disse che aveva vari modi di aprire la crisi, ma che voleva essere sicuro che Giolitti avrebbe subito formato un nuovo governo.

Si combinò dunque che avrei incaricato Mattoli di recarsi da Giolitti per conoscerne gli intendimenti. Mattoli però dichiarò che, mentre si sapeva la disponibilità di Giolitti,  era il Facta che non sapeva decidersi.

Seguirono vari colloqui, con Soleri e con Facta, inutile riferirli, il tema era identico, si venne infine nella determinazione di inviare Mattoli da Giolitti per dirgli che il 28 Facta si sarebbe dimesso, salvo che Giolitti non fosse contrario. In caso positivo Mattoli avrebbe telegrafato: “sto benissimo”. Partito il 26, telegrafò queste parole il 27.

Vidi subito Facta, ne aveva ricevuto uno uguale, il Consiglio dei Ministri era riunito e già in crisi.

La mattina del 28 rividi Facta: il Consiglio si era riunito d’urgenza e aveva deliberato lo stato d’assedio.

La notizia pubblicata dai giornali fece ottima impressione.

Fui avvertito che Sua Maestà mi aveva chiamato per le ore 14. Subito dopo fui informato che il Re aveva rifiutato la firma al decreto per lo stato d’assedio, mi pregarono di tenere per me la notizia.

Capii subito che il Re aveva ceduto. Si preparava il trionfo del fascismo.

 

Rita – Che cosa succedeva in Sardegna in quegli stessi giorni? Che faceva il Partito sardo d’Azione, nato dagli ex-combattenti? che facevano i sardisti, primi e più organizzati avversari del nascente fascismo nell’Isola?

La percezione che si ha in Sardegna degli avvenimenti nella Penisola è, con tutte le incertezze del caso, abbastanza precisa nelle grandi linee.

A Nuoro vengono a Congresso 167 sezioni sardiste in  rappresentanza  di 36mila iscritti: è la forza politica più organizzata e presente nell’Isola, diffusa nel territorio, e il Congresso rappresenta la più grande manifestazione antifascista della storia sarda.

Il Solco, quotidiano sardista, titola il 27-28 ottobre:

“Mentre a Nuoro si radunano i rappresentanti della Sardegna rinnovata / si delinea il completo sfacelo della morbosa vita politica continentale”.

Il congresso sardista si tiene infatti proprio il 28 ottobre, lo stesso giorno in cui i fascisti marciano su Roma.

Il giorno 29 si chiudono i lavori e i principali capi del partito si riuniscono in casa dell’0n. Mastino per esaminare la situazione e decidere il da farsi. E’ la Notte di Nuoro, che potrebbe essere la svolta decisiva di che cosa sarà il futuro non solo dei sardi e della Sardegna, ma della stessa Italia.

Di quei giorni e di quella notte abbiamo diverse relazioni.

Una di queste è quella di Francesco Fancello.

 

Fancello (Piero) – La solidarietà per le vittime delle violenze fasciste fu espressa ufficialmente nel marzo del 1922 alla Camera dei deputati da Emilio Lussu. Pochi giorni prima si era svolto, per iniziativa dei partiti democratici, un comizio a Sassari, città in cui il partito di Mussolini era rappresentato da pochi innocui buontemponi che si divertivano a scambiarsi grandi saluti romani, tra l’indifferenza scanzonata dei cittadini.

La popolazione isolana, anche la parte politicamente più sensibile, era lontanissima dall’immaginare che il fascismo rappresentasse un pericolo effettivo.

Nell’agosto del ’22, venuto dal continente in Sardegna, dovetti riferire ai compagni del Partito sardo che tutti gli osservatori politici davano per sicuro un prossimo attacco generale del partito fascista. Accoglievano le mie parole con cordiale ma incredulo stupore.

Perfino a Lussu e Bellieni, che si rendevano conto dell’imminente minaccia, fu difficile scuotere quel pericoloso ottimismo. Se i sardisti si lasciarono indurre a organizzare le loro squadre fu più per condiscendenza e spirito romantico che per ragionata valutazione del pericolo. Solo l’imminenza del colpo di mano finì per suscitare anche in Sardegna, specie in provincia di Cagliari, notevole nervosismo.

Le squadre antifasciste, costituite quasi esclusivamente da sardisti, cominciarono ad esercitare una vigilanza molto seria. Notevole la squadra dei 250 ciclisti di Monserrato, che ogni domenica perlustrava la provincia.

I fascisti sardi non parteciparono alla marcia su Roma, ma la mattina del 28 ottobre fecero la loro brava mobilitazione e assaltarono a Iglesias la sede centrale degli antifascisti.

Il contrattacco, predisposto da tempo, fu sferrato immediatamente, sbaragliando a tal punto i fieri campioni di Mussolini, che essi scomparvero dalla circolazione.

In quegli stessi giorni si tenne a Nuoro il Congresso Psdaz.

Durante il Congresso vibrarono caldi accenti di lealismo e furono proclamati propositi di lotta ad oltranza contro la minaccia di dittatura fascista. Telegrammi furono scambiati col generale comandante la Divisione militare di Cagliari.

C’erano intese segrete per le quali le caserme in caso di conflitto si sarebbero aperte alle squadre antifasciste.

Solo così si poteva sperare che, nell’ipotesi di iniziale successo di Mussolini, la Sardegna diventasse il trampolino per la riscossa di tutta la penisola,

Alla fine del Congresso i dirigenti si riunirono nella casa dell’on. Pietro Mastino per i provvedimenti decisivi: interrompere le comunicazioni col Continente, costituire la Sardegna in regime autonomo antifascista, fedele al governo legale. Le istruzioni erano sommarie, ma non si rinunciò a redigere il testo di un proclama, da affiggere in ogni paese. Con tali intese ci separammo, senza essere ancora informati che già il giorno prima il Re aveva revocato lo stato d’assedio e che il 29 Mussolini aveva ricevuto l’invito telegrafico di formare il governo.

Cadeva la base stessa delle decisioni del Congresso, ciascuno si astenne da passi che nelle nuove circostanze

sarebbero stati insensati.

 

Rita – Nel racconto di Fancello si nomina Iglesias, l’unica area in cui si poteva contare una certa presenza fascista.

Questa era stata promossa e finanziata da Ferruccio Sorcinelli, padrone del quotidiano L’Unione Sarda, presidente dell’Associazione degli industriali, in quanto anche proprietario della miniera di Bacu Abis.

Capo dei fascisti della “prima ora”, aveva messo insieme un gruppo di malfattori che persino Mussolini definì “compagnia malvagia e scempia”.

Diverge dal racconto di Fancello la versione data da Paolo Pili, altro prestigioso dirigente sardista, che doveva poi passare al fascismo. Sentiamo la sua intervista.

 

Pili (Boreddu) – Al Congresso io ero il Direttore uscente e dovevo dar conto dell’attività svolta. La relazione fu molto antifascista.  Il generale Gastone Rossi, comandante della divisione di Cagliari, ci inviò un telegramma col quale chiedeva se eravamo pronti ad unirci all’esercito per opporci alla dittatura che si voleva instaurare da parte del fascismo. Noi, il 27 sera, rispondemmo con un telegramma entusiasta, dichiarandoci pronti.

La sera del 28 arrivò da Cagliari un telegramma a Lussu da parte di Virgilio Caddeo, direttore del “Solco”: “rientrate a Cagliari immediatamente con tutti i mezzi”.

Capimmo che doveva essere successo qualcosa di grosso e soprattutto di brutto per noi, anche perchè il generale, alla nostra risposta entusiasta non aveva fatto seguire alcunchè.

A Nuoro allora non era possibile stabilire alcun contatto con Cagliari e perciò, dopo aver eletto Oggiano direttore regionale del Partito e Giacobbe delegato regionale dei combattenti, ci riunimmo la sera tardi nello studio dell’on. Mastino per decidere sul da farsi e, dopo aver dato la parola d’ordine ai congressisti in attesa di nuovi ordini, partimmo con due automobili. C’è stato uno che voleva fare un’azione di forza, ma insomma, è stato Lussu stesso (a sconsigliarla), io mi sono anche meravigliato, ma aveva fatto bene e io ero dello stesso parere.

La proposta era di Vittorio Tredici, un uomo molto tranquillo, uno bravo, una bravissima persona. Egli ci aveva proposto di andare per i paesi, fino a Cagliari, di raccogliere le sezioni lungo il percorso e di arrivare fino a Cagliari in forze per opporci a questa roba qui e dichiarare la vera autonomia.

E Lussu non era d’accordo. “In questo modo qui, cosa facciamo? Se è successo il peggio, questi ci fanno a polpette. Ammazziamo un sacco di gente, una cosa senza capo né coda. Non sono cose da fare. Andiamo a Macomer subito, per sapere che cosa è successo”. Perchè a Macomer era possibile. Arrivati a Macomer sapemmo che i giochi erano fatti e che Mussolini era stato chiamato a Roma per prendere le redini del governo.

Ci fu uno sbigottimento terribile soprattutto da parte di Francesco Fancello. Era un giovane colto, fratello di un mio carissimo amico, Nicolò, giornalista di fama nazionale; e fu intimo amico di Attilio Deffenu e di Corridoni, insomma di quel gruppo di sindacalisti della prima guerra mondiale che volevano combattere la battaglia operaia.

Fancello racconta un sacco di stupidaggini nell’articolo che scrisse su “Il Ponte”, quando afferma che noi potevamo entrare nelle caserme, creare milizie per combattere il fascismo, che il gen. Rossi ci aveva messo in mano non so che cosa. Poveraccio, il gen. Rossi, prima voleva trovare nell’isola almeno un bel gruppo di simpatizzanti ma, quando gli ebbero comunicato che Mussolini era diventato il capo del governo, ci avrebbe mandato tutti in galera se ci fossimo mossi.

 

 

Rita – Prima di sentire la versione di Dino Giacobbe sulla notte di Nuoro, chiediamoci alcune cose: come fu possibile che il Re consegnasse il paese a Mussolini? Quando tutti i competenti erano consapevoli che si sarebbe andati ad una dittatura? Fu cedere alla forza? Non bastava l’esercito a garantire l’ordine dello Stato? Cocco Ortu ci racconta come fu volontà autonoma e ostinata dello stesso Re, che si abbassò perfino a mentire, sordo a tutte le ragioni e ai pericoli che Cocco Ortu, con sapienza politica, prospettò, fino al punto di ricordare ad alcuni di Kerenski e della caduta della monarchia in Russia.

 

Francesco Cocco-Ortu (Mario) – Dieci minuti prima delle 14 (del 28 ottobre) salivo le scale del Quirinale. Mi trattenni a discorrere coi due aiutanti di campo, gen. Clerici e viceammir. Moriondo, tentando di farli parlare per conoscere il pensiero del Re. Non ebbi alcun dubbio che fosse filo-fascista. Infatti mi rievocarono i giorni in cui i socialisti spadroneggiavano, gli insulti agli ufficiali, l’occupazione delle fabbriche, ecc.

Io non tacqui che, col favorire il movimento fascista e cedere, si comprometteva la monarchia stessa e rievocai il ricordo di Kerenskij. Quelli dissero che Mussolini si era dichiarato monarchico: la solita cecità che ha perduto i re che non seppero difendere sè stessi e lo Stato.

Il Re mi accolse con molta cortesia, rinnovò i rallegramenti per il mio ottantesimo compleanno. Intavolò ad ogni modo il discorso sul movimento fascista. Io cominciai col dirgli che, a mio giudizio, era grave ma che poteva, volendo, essere fermato e vinto.

Sottomettersi ad esso era per la casa Savoia scrivere nella sua storia la pagina colla quale il Colletta aveva flagellato il Borbone che, impotente a difendere lo Stato contro il brigantaggio, aveva fatto poliziotti i briganti.

Ascoltò freddamente, disse che aveva avvertito da un pezzo il Presidente del Consiglio e che il movimento era divenuto invincibile. Risposi che non condividevo questo allarme.

Lo Stato italiano non ha una capitale come Pietrogrado, Parigi, Berlino, Londra, non può essere vinto da rivoluzioni sporadiche: Milano, Napoli, Torino, son tranquille, Roma stessa è sicura.

M’interruppe: “Facta mi ha detto che non è sicuro che Roma non possa essere occupata da un momento all’altro”.

“Il Facta – risposi – mi diede stamani un’assicurazione in senso opposto”. Soggiunsi: “Vostra Maestà col nome ha ereditato la lealtà alla Costituzione e la Maestà Vostra saprà essere vigile custode delle prerogative e del potere moderatore della Corona. La sua voce sarà ascoltata”.

“Non credo – rispose, che io abbia questo ascendente in tutta Italia”.

Uscii convinto che egli aveva già prestabilito di non attendere Giolitti e di dare l’incarico a Salandra in combutta coi fascisti.

Parlai col Presidente della Camera, Enrico de Nicola: il Re gli aveva detto che era stato il generale Diaz a consigliargli di non firmare lo stato d’assedio, mentre poi seppe che prima di rifiutare la firma il Re non aveva veduto Diaz.

Facta mi negò recisamente di aver espresso dubbi al Re circa una temuta entrata dei fascisti, anzi gli avrebbe detto che il generale Pugliese garantiva di impedirne l’entrata.

 

 

Rita – Francesco Cocco Ortu, che aveva dedicato la vita intera al servizio della Corona, scopriva quel giorno che il suo Re era un pavido e un bugiardo, privo del rispetto per sè che un gentiluomo, nonchè un Re, dovrebbe avere.

Pesava forse su questo omuncolo, che si sapeva poco amato dal suo popolo, il ricordo delle sue visite alle trincee della Grande Guerra, quando i soldati ne contemplarono delusi la modestia fisica, tanto piccolo da dover portare una sciabola più corta. Su questa piccolezza si poteva ancora sorvolare, ma ora si rivelava la sua ben più grave piccolezza morale.

Cocco Ortu fa ancora credito al Re di un’intenzione non completamente a favore di Mussolini, pensa ad un incarico a Salandra, ma anche su questo sarà deluso.

Torniamo però alla Notte di Nuoro.

Sentiamo il racconto sintetico e pacato di Dino Giacobbe, in una lettera del 1° settembre 1926, spedita a Gaetano Salvemini. Giacobbe non elenca Tredici  e Fancello tra i presenti e cita erroneamente la data: il 28, non quella esatta del 29 ottobre.

 

Giacobbe (Piero) – Riunione in casa dell’on. Mastino.

Sono presenti Lussu, Mastino, Bellieni, Sale, Putzolu, Pili, Puggioni, Oggiano, Giacobbe, Adami, Manca e Senes.

Si esamina la situazione, quella che è a nostra conoscenza: le legioni fasciste in armi contro il governo di Roma.

La monarchia e l’esercito, in favore dei quali il fascismo proclama di agire, gli si conserveranno ostili fino in fondo?

Sull’atteggiamento delle masse operaie del Nord e di quelle rurali del Sud, non si ha alcuna notizia.

In complesso: situazione oscurissima.

Nella discussione affiorano, si sovrappongono e si confondono due mentalità, due stati d’animo, due opinioni.

Pensiero di alcuni: La monarchia si accorderà col fascismo e tutte le libertà saranno conculcate. La Sardegna, anche sola, difenda ed armi la libertà, che sarà la sua libertà.

Con l’azione creare negli spiriti e nella storia l’autonomia sarda. Chi potrà mai ritogliere al pastore e al contadino sardo la libertà che egli avrà salvato a casa sua con le armi? La Sardegna, preservata in libertà e organizzata in difesa, centro di resistenza per tutta l’Italia nella storia della quale, finalmente, si inserirà trionfalmente.

Al centro un governo provvisorio di difesa (costituirlo immediatamente, seduta stante), in ogni paese un comitato di salute pubblica; leve in massa.

Iniziare subito, entro poche ore, un’azione di sorpresa contro i principali presidi militari dell’Isola.

Pensiero di altri: A quale lotta si vuol lanciare la Sardegna? Solamente se si verifica almeno una di queste condizioni è possibile agire: che resista il popolo, con successo, in una buona parte d’Italia; che resista l’esercito.

Se il fascismo avrà mani libere sul continente in pochi giorni saremo schiacciati, anche se saremo riusciti a soverchiare le forze militari dell’Isola e a incorporarle pacificamente (telegramma Rossi).

Conclusione della discussione: ciascuno a suo modo. Per i primi agire, qualunque cosa sia; per gli altri: agire… condizionatamente.

Non si è elaborato un piano preciso: ognuno ha dei grandi propositi e fa grandi promesse, proporzionatamente alla propria audacia, ma separandosi non si ha un piano concreto, preciso, tassativo; solo una vaga idea di andare a compiere imprese eroiche, quarantottesche, con limiti e scopi immediati imprecisati.

Alcuni in viaggio, altri al proprio paese, sono raggiunti dall’annuncio che il Re ha ritirato lo stato d’assedio ed aperto le porte della capitale al fascismo.

Molti rimangono per oltre 24 ore nella più tragica assenza di notizie, sia dal continente che dall’Isola.

I primi si giustificheranno dopo del non aver agito per aver giudicata disperata ogni azione; i secondi perchè trovandosi in settori di minore importanza strategica hanno atteso notizie… dell’azione altrui.

 

Rita – Alla fine di ottobre suscita un’immensa impressione nazionale e internazionale l’annuncio del governo che in Sardegna ci sia un tentativo di insurrezione.

Divenne allora chiara a tutti la formidabile importanza della carta che era nelle mani dei sardisti e che fu buttata via senza giocarla. Il Direttorio del partito sardo si affrettò a smentire l’insurrezione. Allorchè scrive a Salvemini, quattro anni dopo i fatti, Dino Giacobbe è totalmente consapevole che il Psd’A, di cui egli stesso era uno dei massimi dirigenti, aveva perso una storica occasione.

 

 

Qui è possibile  un intervento a braccio di Boreddu che

puntualizzi il significato storico e politico del momento rappresentato: punto massimo della resistenza antifascista sarda, realizzata del Partito sardo, ma anche vigilia della disgregazione. Il fascismo non si afferma in Sardegna come forza autonoma, ma solo grazie alla potenza politica e militare dello Stato italiano divenuto fascista.

Rita – Quale fosse il clima politico a Roma il giorno 30 lo descrive con appropriata sintesi Francesco Cocco Ortu.

 

FCO (Mario) – Il giorno 30 entrata trionfale della rivoluzione fascista. La sera verso le 16, mentre venivo fuori da Montecitorio, vi entrava dal portone principale il Mussolini, a capo scoperto, in camicia nera, procedente a testa alta, a passi misurati e cadenzati, con mosse e pose ieratiche. Si recava dal Presidente della Camera.

Intanto i fascisti, ogni sorta di figuri, armati di randelli, di fucili, o di piccole clave, a gruppi, con o senza gagliardetti, scorrazzavano per le vie della città, bruciavano i giornali: “Il Mondo”, “L’Epoca”, “L’Avanti!”; aggredivano le stamperie, alcuni di essi saccheggiarono fabbriche d’armi, negozi di stoffe.

Alcuni penetrarono nel quartiere popolare di S.Lorenzo e commisero omicidi di operai.

Il Mussolini intanto formava il ministero con un sistema da dittatore. Mi risulta che chiamato il Federzoni gli disse: “L’ho nominato ministro delle colonie”. Questi voleva ringraziarlo, ma egli tagliò corto: “Confido nel suo patriottismo; il sottosegretario di Stato sarà il deputato Marchi”. Questo linguaggio avrebbe tenuto, a quanto affermano, anche con tutti gli altri ministri.

 

Rita – Lunedì 30 ottobre, dunque, alle 19,20 Mussolini presenta al Re il suo governo e il Re lo approva.

 

Scrive “Il Solco” del 31 ottobre, sotto il titolo “Abbiamo un governo?” :

“Il nuovo Ministero che, con sollecitudine fascistica, è riuscito a costituire Benito Mussolini, pretende di presentarsi al paese conservando le apparenze di un ministero costituzionale. E’ difficile che queste apparenze riescano ad illudere ancora qualcuno. Il nuovo governo è manifestamente il risultato di un colpo di stato che il fascismo ha potuto compiere con relativa facilità, col favore della Corona e degli alti gradi dell’esercito.”

L’articolo denuncia “l’intrigo losco di corridoio”, riconoscibile nei nomi stessi di ministri e di sottosegretari, e critica l’ambigua partecipazione del Partito Popolare.

Oltre a Mussolini e a Luigi Federzoni, troviamo i nomi di Armando Diaz, di Paolo Thaon de Revel (ammiraglio e senatore), di Giovanni Gentile (alla Pubblica Istruzione) e, tra i sottosegretari, di Costanzo Ciano, di Pietro Lissia (sardo), di Giovanni Gronchi (il futuro Presidente…).

Ma la critica al fascismo di non essersi voluto assumere da solo la responsabilità del governo verrà presto elusa: solo un anno dopo i Popolari lasceranno il governo, Mussolini procederà a nuove elezioni nel 1924, caratterizzate da violenze e irregolarità, il fascismo diverrà presto (1926) dittatura di regime.

 

Piero – Che avverrà dei propositi dei sardisti agitati nella convulsa notte di Nuoro? Essi erano, se non tutti quasi tutti, animati dall’idea di difendere la legalità dello Stato dalla violenza fascista contro le Istituzioni. Erano gli ufficiali che, alla testa dei soldati sardi, avevano salvato l’Italia nelle trincee del Carso; avevano guadagnato ai sardi il rispetto dell’Italia; si erano guadagnati in guerra la fiducia di quei soldati e di quei soldati erano diventati capi politici, ma più dei loro soldati e seguaci avevano un legame di fedeltà con l’Italia e la speranza che il destino dei Sardi, legandosi strettamente all’Italia e al suo progresso civile, avrebbe conosciuto libertà e giustizia, progresso e riscatto.

Non proprio questo era il sentimento dei sardi, contadini, pastori, artigiani, che avevano combattuto da semplici

soldati.

Scriveva Riccardo Farris, in un intervento pubblicato da Il Solco nel giugno del ’22:

“I fondatori e teorici del partito, quando si sono trovati nella necessità di dare all’organizzazione dei combattenti sardi un programma politico, hanno attraversato un momento di crudele imbarazzo. Due strade si schiudevano dinanzi ad essi, piene entrambe di pericoli e di responsabilità: o secondare le aspirazioni nettamente separatistiche della massa, alimentate dalla energica propaganda della trincea, o contrastarle apertamente in nome delle idealità nazionali. (…)

Sfortunatamente gli arbitri della decisione sono stati degli italiani, degli intellettuali, degli ufficiali sardi educati, modificati, fatti uomini alla scuola italiana, che di sardo non conservavano che il nome. Essi hanno scelto dunque una via di mezzo, escogitando quella inafferrabile formula intorno alla quale si attende ancora invano una parola chiarificatrice: autonomia amministrativa.”

 

Di questa contraddizione, tra programma dei dirigenti e sentimento degli aderenti al partito, era cosciente e ne dà testimonianza lo stesso Camillo Bellieni quando scrive:

“L’opinione delle nostre masse rurali, forse senza che i nostri maggiori esponenti se ne avvedano, o perlomeno senza che se ne rendano conto preciso, si va orientando, ad opera specialmente dei giovani sardi che dispiegano una lenta ma infaticabile propaganda a favore delle loro idee, verso una concezione di autonomia assai più accentuata di quella che noi del partito andiamo sostenendo e che si risolve in un vero e proprio separatismo politico.”

Grande impegno viene dunque profuso dai capi sardisti nel respingere l’accusa di separatismo che ogni tanto viene ad essi rivolta, ma il crollo di tanti propositi di autonomia unitaria avviene proprio nel momento in cui bisognerebbe non più e non solo combattere i fascisti, ma lo Stato stesso, divenuto fascista.

 

Mario – Racconta Camillo Bellieni della notte di Nuoro:

“Faceva  già notte quando partimmo assieme, Emilio Lussu ed io, in auto per Macomer , da dove avremmo preso i rispettivi treni verso Sud e verso Nord.

Si giunse alla diramazione stradale di Oniferi, in direzione di Cagliari Si sostò un istante. Ed Emilio Lussu disse: “Scendiamo qui, mettiamo gli uomini a cavallo, mano a mano ed arriviamo a Cagliari”. Non vi era da rispondere altro che “Come tu vuoi”. Un istante di meditazione, poi “Arriviamo a Macomer”. Era notte fonde quando si giunse all’ufficio postale di Macomer. Era tutto sbarrato, ma traspariva luce, e vi era gente. In qualsiasi modo ci venne per le mani il telegramma ufficiale annunziante la nomina di Benito Mussolini a capo di governo del costituendo ministero. Una lacrima scorse il viso incavato di Emilio Lussu ed in silenzio prendemmo il treno, uno per Sassari, l’altro per Cagliari.”

 

Boreddu –Un’ultima grande giornata di orgoglio e di resistenza sardista di massa si registrerà ancora pochi giorni dopo, il 4 novembre a Cagliari, festa dei caduti.

Sfilano oltre 20mila ex-combattenti dietro la bandiera dei quattro mori. I fascisti vengono espulsi dal corteo e costretti a ritirarsi sotto la protezione degli agenti armati.

La manifestazione prosegue di fronte allo schieramento dei soldati del battaglione di fanteria, in mezzo a mitragliatrici e a fucili pronti al fuoco.

Nei giorni seguenti la tensione è tale che Mussolini manda il sottosegretario alla Finanze, il sardo Pietro Lissia, a promuovere un patto di pacificazione tra fascisti e sardisti.

Il patto viene reso vano dalla reazione popolare al ferimento di Lussu, colpito tre volte a tradimento col calcio del fucile da una guardia regia e ricoverato all’ospedale privo di sensi e col viso e il petto coperti di sangue.

Il 26 novembre Efisio Melis, sardista di Monserrato, vera roccaforte del Partito sardo, viene ferito a morte da un fascista a cavallo, che gli conficca nel petto la lancia del gagliardetto, davanti al quale il giovane, che teneva in braccio il figlio, non aveva voluto togliersi il cappello.

Qualche giorno dopo Olbia è invasa da squadracce fasciste provenienti da Civitavecchia; a Cagliari viene incendiata la tipografia de Il Solco in via Porcile 40, il quotidiano deve interrompere le pubblicazioni.

In questo clima, Mussolini invia in Sardegna, quale prefetto di Cagliari, Asclepia Gandolfo, generale, ex-combattente apprezzato dai sardi: deve spazzare via il fascismo rozzo e stabilire un accordo coi sardisti, col fine di coinvolgerli nella rifondazione del Fascio in Sardegna.

Il primo obiettivo è condiviso dai sardisti, il secondo è assai più complicato.

Il 10 gennaio del 1923, su proposta di Paolo Pili, si dà incarico a Lussu di condurre le trattative.

Non si ha ancora una ricostruzione unanimemente accettata di come andarono le cose.

Possiamo dire che nei due schieramenti si rafforzano gli oppositori all’accordo; da una parte i fascisti legati a Sorcinelli; dall’altra le sezioni di Nuoro, Tempio, Alghero, e dal Continente Bellieni e Fancello.

La presa di distanza di Bellieni precede e prepara le critiche di Fancello e il ritiro dalle trattative dei maggiori esponenti, Lussu per primo, che viene sostituito da Paolo Pili.

Gandolfo capisce che coinvolgere tutti gli ex-combattenti non è possibile e lavora a disgregarli.

La prima defezione il 14 febbraio 1923, coinvolge Paglietti e Cao (G.?), rappresentanti dei mutilati, poi Endrich, Tredici, Angius, Pilia, Pazzaglia e Corda.

Ormai il più è fatto. I sardisti sono divisi.

 

 

Rita – Un tempo uniti nell’ideale sardista, con tutte le sue ambiguità e contraddizioni, gli ex-combattenti prenderanno strade diverse e contrapposte.

Il sardismo era sorto dagli ex-combattenti, ma anche il fascismo, e non fu difficile trovare vere o presunte affinità per coloro che vollero transitare da un partito all’altro.

 

Che cosa avvenne di alcuni di questi uomini?

 

Piero - Di Lussu si è molto parlato: carcere, confino, fuga, clandestinità, ritorno trionfale in Sardegna nel ’44, la scissione del ’48, l’adesione al socialismo, la rottura coi socialisti e l’adesione al Psiup, il ritiro a vita privata, la morte a Roma il 5 marzo 1975.

Camillo Bellieni, due medaglie al valor militare, dovette lasciare il lavoro alla Biblioteca Universitaria di Bologna e fare l’insegnante precario di storia e filosofia in giro per l’Italia; tornato in Sardegna nel 1943 collaborò alla riorganizzazione del partito sardo e si trovò in contrasto con Lussu nel 1948. Morì a Napoli nel 1975, lo stesso anno di Lussu, il 7 dicembre, ed è sepolto a Sassari, avvolto nella bandiera dei 4 mori.

Dino Giacobbe,  pluridecorato nella Grande Guerra,  tra gli arrestati in seguito all’attentato Zamboni a Mussolini; ingegnere, nel 1930, deve lasciare il  lavoro all’Ufficio Tecnico di Nuoro, perchè il prefetto rifiuta di confermare la sua nomina, ottenuta per concorso; combatte in Spagna contro i franchisti; nel ’37 la moglie Graziella Sechi viene arrestata, con Mariangela Maccioni Marchi, per aver espresso solidarietà a Giovanni Dettori, giovane orgolese, morto combattendo in Spagna; clandestino in Francia e negli Stati Uniti, a Boston, dove lavora sotto falso nome in una fabbrica di pantaloni; rientra in Sardegna nel 1945, nel 1948 segue Lussu nella scissione del PsdA e nel Psi, ma non poi nel Psiup; deluso da tutti i partiti si ritira dalla politica, ma, ultraottantenne, il 16 maggio 1982 a Nuoro partecipa alla fondazione del movimento “Sardigna e Libertade”; muore a Cagliari, in ospedale, nel 1984.

 

Mario- Paolo Pili, uomo di grandi capacità organizzative, diventa uno dei capi più apprezzati del sardo-fascismo, leader del movimento cooperativo, valorizza le produzioni lattiero casearie, raggiunge risultati a livello internazionale, disturba così gli interessi degli industriali laziali del pecorino; sarà quindi rimosso dagli incarichi, l’illusione di poter continuare il sardismo in camicia nera viene a cadere.

Vittorio Tredici, decorato nella Grande Guerra, da fascista fu commissario prefettizio, podestà di Cagliari, segretario federale, deputato; dopo la morte a Roma ebbe il riconoscimento di Giusto tra le nazioni, per aver ospitato nella sua casa romana una famiglia ebrea durante l’occupazione tedesca.

 

 

 

CONCLUSIONI

 

A questo punto Boreddu potrebbe, a braccio, sia

A) tirare le conclusioni della serata, ritornando sulla mancata occasione storica, il dramma che riporta ad eventi storici già vissuti in Sardegna (Giommaria Angioy…), ma anche sui motivi che ne sono a monte: l’ambiguità teorica del Psda, il suo “italianismo”; si potrebbe anche ricordare come Giacobbe interpretava l’ipotesi di Lussu di fare insorgere la Sardegna, come isola ideale, più della Sicilia, per consentire lo sbarco degli Alleati; occasione di dare inizio alla Repubblica di Sardegna (ciò che certo non era nei pensieri di Lussu…);

B) anticipare i contenuti delle prossime:

1. La tesi che tra i sardisti alla vigilia del patto coi fascisti si fosse stipulato un altro patto di continuità, attraverso la costituzione di una società segreta: Il Nuraghe; esplicitando come non fosse cosa insolita ( società segrete massoniche,la società segreta tra i fascisti…);

2. la presenza dei sardi in Catalogna, da una parte e dall’altra, la significativa presenza della Brigata sarda antifranchista, capitanata da Dino Giacobbe, già a capo degli ex-combattenti per il Psda.

 

 

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