In un libro di Paolo Pili, IL SARDOFASCISMO DI EMILIO LUSSU, di Salvatore Sechi

Pubblichiamo con il suo titolo l’articolo che l’illustre accademico sardo (vedi in nota e qui sotto nella foto) ha dedicato al tema proposto dalla recente pubblicazione del libro Memorie di un SARDOFASCISTA, di Paolo Pili, edes, SS, 2022, a cura e con un saggio biografico di Mario Cubeddu. Un tema sul quale il Sechi aveva sostenuto non poche pubbliche polemiche con Emilio e Joyce Lussu nel corso degli anni Sessanta e Settanta dello scorso secolo.


Grazie  ai molti decenni trascorsi, è facile formulare un giudizio sul movimento politico degli ex reduci della prima guerra mondiale. In primo luogo in Sardegna e subito dopo su tutto il territorio nazionale, come ha mostrato Salvatore Cubeddu,  cercarono di darsi le sembianze elementari, se non la struttura, di un partito politico.

I primi  nelle elezioni politiche dell’inverno  1919 si presentarono come Lista dei combattenti ottenendo 4 dei 12 seggi assegnati alla Sardegna,  il  che corrispondeva al 27% dei suffragi elettorali.

Il risultato fu migliorato  due anni dopo nel 1921. A  Montecitorio la nuova formazione dei combattenti sardi, che aveva assunto il nome di Partito Sardo d’Azione (fondato nell’aprile dello stesso anno) ottenne quasi il 29% dei consensi, su scala regionale. I suoi eletti furono Paolo Orano, Umberto Cao, Pietro Mastino ed Emilio Lussu.

Su scala nazionale si riconobbero in parte nella rivista Volontà e nella ricerca di intese con forze analoghe sorte in alcune altre regioni, dando vita al partito di Rinnovamento, ma fu  un generale insuccesso.

La domanda, e la forte volontà di rinnovamento della vita politica nazionale  dominata dal giolittismo espressa dagli ex-combattenti  sardi entrò in rotta di collisione con due elementi che chiamerei funesti.

Il primo luogo l’inesperienza e la scarsa, se non nessuna, conoscenza di quel che era vivo nel dibattito politico. Di qui la scelta (patrocinata il più delle volte da Emilio Lussu) di personaggi di immagine nazionale che erano semplicemente figure dedite all’impostura. Fu questo il caso di Paolo Orano, non alieno da manifestazioni di vero e proprio razzismo anche durante il percorso elettorale; o come l’avvocato cagliaritano  Umberto Cao (diventato subito preda della fascinazione di Mussolini) e l’altro legale, nuorese, Pietro Mastino rimasto insopprimibilmente legato alla casta di appartenenza (quella forense).

L’incapacità di mettere insieme una leadership parlamentare  fatta di esperti, professionisti, tecnici  adeguati a  farsi carico delle riforme perseguite, era il frutto, oltre che della mancanza, da parte di questi giovani  ufficiali della Brigata Sassari (studiati impeccabilmente da Giuseppina Fois, Gallizzi Sassari 1981),  di ogni consuetudine con la politica e con  suoi protagonisti, dell’estrema genericità dei programmi (liberismo in economia, autonomismo  e un vago federalismo istituzionale, terra ai contadini ecc.)  .

A muovere questa generazione che veniva dalle trincee del Piave, dell’Isonzo, dove si erano consumati riti gerarchici,  condanne allucinanti, sacrifici immani ad un potere che sul piano militare riecheggiava tutti i limiti e le chiusure di quello politico-istituzionale, fu la coscienza delle diseguaglianze e delle ingiustizie sociali, degli squilibri tra città e campagne, tra  Nord e Sud , pastori e contadini ecc. che persistevano ad ogni cambiamento di leadership governativa.

Potevano trovare uno sbocco e un punto di raccolta in un liberalismo di tipo nuovo, come quello proposto a Torino da Piero Gobetti  (col quale era in contatto uno dei leaders del sardismo, Camillo Bellieni) o  in un riformismo socialista come quello  di Gaetano Salvemini.

In realtà, il più realistico mi pare sia stato  quello che anche di recente uno studioso come Guido Melis, rimeditando su Lussu, insiste ad escludere dalle alternative. Mi riferisco al mussolinismo.

Non si capisce nulla della vicenda politica dei consensi che nel 1922-’23 si spostarono dal Psd’A al fascismo, cioè di personaggi come Paolo Pili, Antonio Putzolu ecc., se si trascura o demonizza l’influenza massiccia che Mussolini ebbe nella crisi innestata dalla prima guerra mondiale e dal primo dopoguerra.

La ragione per cui non se ne parla risiede nella vera e propria omissione e falsificazione  con cui Emilio Lussu ha  voluto rappresentare quella che è stata  semplificata come Grande cronaca minima storia (Il titolo di un libro di Pili pubblicato nel 1946).

I termini che uso (omissione e falsificazione) emergono, direi a luce meridiana, dalle ricerche e dalla documentazione che tenacemente uno studioso sardo, Mario Cubeddu, ha adunato e reso di pubblico dominio sia di recente sia negli ultimi dieci anni.

Nella ricerca di un ancoraggio ad una forza politica nazionale per poter realizzare il programma degli ex combattenti, era inevitabile tenere presente il fascismo diventato governo e successivamente regime.

Non si può tacere sulla sua modestia. A ragione Guido Melis si è chiesto se  non sia trattato di una “sorta di adesione embrionale al socialismo, se non altro come lucida percezione delle profonde ingiustizie sociali delle quali erano vittime le masse popolari e non solo in Sardegna”.

Scarso e nullo fu lo sforzo di collocare queste domande nel quadro già allora molto ricco della “questione meridionale” e in una riforma istituzionale dello Stato che riecheggiasse le sollecitazioni verso forme di federalismo, oltre che di autonomismo, di un grande intellettuale come Cattaneo.

Il maggiore protagonista di questa intesa, che comportava una vera e propria fusione tra  Psd’A e Pnf, fu proprio  chi ha fatto quanto era in suo potere per negarla e attribuirla ad altri (Paolo Pili) come una colpa mortale, cioè Lussu.

La ricostruzione analitica che è venuto raccogliendo e illustrando Mario Cubeddu  conferma con una notevole ricchezza di apporti quanto avevamo messo a punto Luigi Nieddu e il sottoscritto in studi, edizioni, tempi e luoghi di pubblicazione  autonomi e diversi.

Non meraviglia che Lussu abbia voluto costruire un’immagine dei tempi del suo antifascismo che non corrisponde alla realtà. Basta aver letto criticamente, prendendo le distanze dal fascino narrativo e dalla sua straordinaria efficacia (anche dal punto di vista della propaganda politica), sia Un anno sull’altipiano sia, e soprattutto, un volume come Marcia su Roma e dintorni,  editi entrambi da Einaudi, per rendersi conto che in lui le ragioni della propaganda hanno prevalso su quelle della storiografia. E’ quanto peraltro  Lussu ebbe lo stimolo di confessare. Ovviamente a voce, mai per iscritto.

Lussu fu l’ispiratore e il maggiore  sostenitore dell’incorporazione del PSd’A nel PNF proposta da un emissario di Mussolini come il generale Asclepia Gandolfo, nominato prefetto di Cagliari. L’opera venne affidata a un esperto imprenditore  ed esperto agricoltore di Seneghe, Paolo Pili (che inizialmente  a confluire nel Pnf fu addirittura contrario come ha documentato Leopoldo Ortu), ma con l’impegno di Lussu e degli altri dirigenti di seguirne le orme.

All’uopo venne creata la società segreta Il Nuraghe (in cui erano rappresentati insieme a Lussu tutti i maggiori leaders  sardisti) per giudicare i tempi e i modi della realizzazione di questo programma sardo-fascista.

Sia in una parte del  ventennio sia dopo la guerra di liberazione, Lussu fu il protagonista di una massiccia campagna di delegittimazione e false accuse  mosse contro il suo vecchio e leale compagno Paolo Pili. Purtroppo l’obiettivo fu  di colpirne l’immagine politica e la stessa moralità per poter inscenare, e anzi accreditare, una predisposizione antifascista che invece inizialmente Lussu non ebbe. Ma la sua capacità di imprenditore nel mondo delle cooperative casearie e delle latterie sociali, per fare un esempio, ha trovato estimatori in studiosi da lui politicamente assai distanti come G. Melis e  F. Manconi.

Il livello più basso, diciamo pure infimo, fu toccato nell’accusare Pili di avere organizzato l’attentato contro di lui in cui perderà la vita – sotto i colpi di rivoltella sparati da Lussu dalla finestra del suo studio in piazza  Martiri a Cagliari – il giovane Battista Porrà.

Si è trattato di un’ingratitudine  e di uno spirito diffamatorio che si credeva facesse parte solo della peggiore politica.

Il mussolinismo fu un fenomeno serio che Lussu non ebbe la capacità (cioè la cultura) di capire. Eppure aspetti di esso (come, per esempio, il ruolo  di Sorel) influenzarono qualcuno dei dirigenti sardisti, oltre che lo stesso Mussolini (come mise in luce uno dei  maggiori studiosi del suo pensiero politico, Roberto Vivarelli, e ora Davide Bidussa e Silvio Pons).

Vale la pena di ricordarlo perché si manifestò in un’altra area e  comunità di altrettanto giovani politici del paese, quale fu Torino. Ed ebbe per protagonisti i maggiori esponenti de L’Ordine Nuovo (A. Gramsci, A.Tasca, U. Terracini ecc.) che saranno anche i fondatori del Pci.

Prima che Mussolini arrivasse alla direzione del Popolo d’Italia gli furono vicini. Ogni solidarietà venne meno con l’infatuazione leninista di Gramsci e dei suoi compagni. Su di loro graverà l’onere di  convincere elettori e lavoratori che si potesse, come disse Gramsci qualche mese dopo la rivoluzione del  1917, aderire “all’idea e alla pratica della dittatura proletaria quale istituto garante della libertà” (S. Pons). Egli non sembra sfiorato dal dubbio, presente tra i socialisti europei dell’epoca, che il potere del partito potesse  esautorare lo stesso autogoverno consiliare.

Lussu è rimasto prigioniero di un suo limite permanente, la scarsa attitudine all’analisi politica, la mancanza di una cultura come quella di molti suoi colleghi del partito d’Azione (da Carlo Rosselli a Vittorio Foa o a Franco Venturi). Nel Psi portò  una surplus di estremismo che coincise con l’ossessione anti-americana e la compiacenza per l’Unione sovietica.

La lettura dei discorsi parlamentari impedisce di riconoscersi nella misura in cui Guido Melis si è industriato  nel saggio introduttivo. La  vocazione quasi infantile a Essere a sinistra (come intitolò una sua raccolta di scritti) la visse come uno scudo.  Rispetto al fascismo  non capì che non era riducibile a  un sorta di paradigma squadristico (la biografia di Pili ne è una testimonianza che Antonio Gramsci in carcere seppe cogliere e Mario Cubeddu sa argomentare)  e interpretava alcune domande di modernizzazione. E’ quanto lllhanno visto studiosi come Francesca Antonini, Fabio Frosini e Alessio Gagliardi, ai quali, non solo per ragioni generazionali, Lussu non ha mai detto nulla. E’ rimasto quel che è sempre stato, uno scrittore di rango.

 

Salvatore Cubeddu, Sardisti, Edes, Sassari 1993.

 

Paolo Pili, Memorie di un sardofascista, con un saggio biografico di Mario Cubeddu, Edes, Sassari 2021.

Emilio Lussu, Discorsi parlamentari, ristampa anastatica, presentazione di Gianni Marilotti, introduzione di Guido Melis, Senato della Repubblica, Roma 2021.

Francesca Antonini, Cesarism and Bonapartism  in Gramsci: Hegemony and the Crisis of Modernity, Brill, Leiden and Boston 2020.

Fabio Frosini, Rivoluzione passiva e laboratorio politico: appunti sull’analisi del fascismo nei Quaderni del carcere, “Studi Storici”, n. 2, aprile-giugno 201,pp. 297-328,

Alessio Gagliardi, Tra rivoluzione e controrivoluzione. L’interpretazione gramsciana del fascismo “Laboratoire italien “, 18 | 2016.

 

 

*Salvatore Sechi

Nato a Nulvi, Salvatore Sechi si è laureato a Torino, è stato ricercatore presso la Fondazione Einaudi di Torino e ha poi insegnato Storia dei partiti politici e Storia contemporanea presso le Università di Venezia, Bologna, Ferrara e Berkeley.

Studioso del movimento operaio internazionale, del fascismo, di storia dell’America latina e di storia del PCI e della sinistra italiana, è autore di decine di volumi, monografiesaggi frutto di ricerche in archivi italiani, americani, inglesi.

Insieme a Luigi Nieddu è lo studioso che, con “Dopoguerra e fascismo in Sardegna”, pubblicato dalla Fondazione Einaudi nel 1970, ha definito più compiutamente le vicende del primo dopoguerra, del movimento combattentismo e della nascita del Partito Sardo d’Azione, e  le origini del fascismo in Sardegna.

 

 

 

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