QUANDO I GENITORI DEI BULLI SCELGONO IL SILENZIO, di VANESSA ROGGERI

Da Tissi a Sassari, quindici giorni dopo. Ma …. dappertutto, non solo in Occidente. Cosa sta succedendo alla generazione Z?

 

Dopo la notizia dell’undicenne brutalmente aggredito a Tissi ha capito che il modello di violenza giovanile di gruppo infetta la generazione Z (ossia i nativi digitali, sempre connessi a Internet) a prescindere dalle dimensioni del centro abitato.

Quanto è difficile proteggere i propri figli oggi se una mamma e un papà non possono stare tranquilli nemmeno in un piccolo comune di 2400 anime?

In teoria un branco di pestatori non dovrebbe passare inosservato. Ma si sa, l’indifferenza alla violenza è un male dei nostri tempi che colpisce tutti indistintamente. Noia, maledetta noia; facciamo un gioco: acchiappiamo il primo bambino che passa, lo riempiamo di pugni e gli spezziamo un braccio, sarà divertentissimo. Le bestie picchiatrici hanno riso, mentre lo massacravano ridevano.

È il dettaglio più agghiacciante che ci fa capire quanto questo genere di delinquenti degenerati sia impermeabile a tutto e tutti, pervaso da una feroce frenesia di onnipotenza esacerbata da alcol e droghe, oltre che dalla consapevolezza di passarla liscia.

Non hanno tabù o freni, non hanno educazione, forti in gruppo e vigliacchi senza; sono felici della propria vacuità cerebrale, tanto da postare su YouTube i filmati dei loro raid contro disabili e ragazzine.

La violenza che alimenta la violenza si fa show e motivo di sbruffoneria. Non ci sono scuse, non dite che sono le ragazzate di minorenni, non tirate in ballo teorie sul disagio sociale o derive pandemiche varie: quello esercitato a Tissi è lo stesso grado di brutalità che anima chi tortura gli animali o dà fuoco ai clochard. Una brutalità pericolosa che fa paura e andrebbe monitorata da un istituto di correzione.

L’unico vero disagio lo vivono le vittime. Avete idea dei danni psicologici che subisce un adolescente, o un bambino, preso di mira dai bulli? Paura di uscire casa, di andare a scuola, senso di vergogna e impotenza, problemi alimentari, autolesionismo, fino all’annientamento di sé.

Il bullismo è un “passatempo” praticato in tutto il mondo, dall’America ai paesi dell’estremo Oriente, il branco ha bisogno di prevalere sul coetaneo più debole.

Negli Usa la gran parte delle stragi commesse nelle scuole viene compiuta da ex studenti vittime di angherie così carichi di rabbia repressa da esplodere a scoppio ritardato. In Corea del Sud invece l’accusa di bullismo viene presa molto seriamente, un adulto che lo abbia perpetrato in gioventù può vedersi vita pubblica e carriera rovinate anche a distanza di anni dai fatti accaduti.

E in Italia?

A parte farne argomento di qualche talkshow, in generale si tende a sottostimare il fenomeno, le vittime raramente denunciano perché le famiglie vengono lasciate sole e nulla viene fatto per prevenire il ripetersi dei soprusi.

Ci siamo abituati a sentire gli appelli dei genitori delle vittime, “aiutateci a trovare i colpevoli”, a sentire e vedere la loro angoscia per i figli traumatizzati, ma difficilmente assistiamo al farsi avanti dei genitori dei bulli.

Genitori, questi ultimi, spesso assenti, convenientemente con i paraocchi, avvocati e complici davanti all’evidenza della colpa, pronti a giustificare le nefandezze dei propri ragazzi. Ragazzi che, voglio ricordarlo ancora una volta, come belve si divertono a spezzare le braccia ai bambini. Tali genitori dovrebbero chiedere perdono alle vittime e alle loro famiglie, e dovrebbero chiedere pubblicamente scusa alla società per il pessimo esempio dato agli altri giovani.

Il loro silenzio è un segno di acquiescenza alla quale tutti noi dovremmo ribellarci.

Da LA NUOVA SARDEGNA, 10 settembre 2021

 

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