A Sassari, in nome della cancellazione della storia, di Piero Atzori

Nel mio recentissimo Sassari, il Carmine e gli Angioyani, ho scritto degli angioyani con lo stesso spirito di Felice Cherchi Paba in Don Michele Obino e i moti antifeudali lussurgesi (1796-1803), che è quello di rendere onore a questi uomini dimenticati. Lo spirito di un orfano che cerca le tracce dei padri. Mentre per Cherchi Paba ciò è vero alla lettera, poiché i suoi antenati Cherchi parteciparono ai moti lussurgesi, per me si tratta di padri adottivi.

Scrisse nel 1969 Cherchi Paba: «[…] si affermi solennemente che la storiografia sarda, dal 1720 alla caduta della monarchia in Italia, è tutta da rifare, stante che, per la sua massima parte è una storiografia cortigiana, servile, falsa come le Carte di Arborea, scritta con spirito conforme ai voleri e sentimenti dispotici regnanti prima, e dei non meno autoritari e forcaioli monarchi costituzionali poi».

Sono passati cinquantadue anni dal 1969 e i molti contributi aggiuntisi hanno sì corretto la storiografia del periodo angioyano, ma in modo assolutamente insufficiente. Lo storico Giuseppe Manno ha talmente piegato la storiografia alla sua visione cortigiana che, ad esempio, ancora oggi il cognome Cillocco, che il martire firmando scriveva con doppia elle, si continua a scrivere “Cilocco”.

Il risultato è che non solo gli angioyani sono stati dimenticati, lo sono stati anche i luoghi simbolo del loro martirio, con l’unica eccezione di Piazza Tola. Nel libro cito Via Quarto, il luogo delle forche del Carmine vecchio e Piazza conte di Moriana, il luogo del tentato assalto del settembre 1796, lo spazio vicino al Palazzo Civico, luogo dell’impiccagione di Fadda e la Torre Sulis ad Alghero, dove giacquero brevemente agli arresti nell’agosto 1796 Baingio Fadda, Antonio Maria Carta, Antonio Vincenzo Petretto, prima di finire sulla forca, e Giuseppe Mundula, Chirico Spano, che poi patirono anni di carcere. Tutti e cinque furono catturati da Domenico Millelire nelle acque di Bonifacio. Nella stessa torre trascorse, poi, la notte tra il 25 e il 26 marzo 1797, il prete teologo Francesco Muroni, dopo la cattura a Suni e il suo trasferimento ad Alghero passando per Villanova e la marina. Tutti furono poi tradotti nel carcere di San Leonardo a Sassari, via Olmedo.

 

Per inerzia e perché in ritardo nel superare l’idea monarchica – in Sardegna nel 1946 vinse la Monarchia al referendum –, la storiografia del periodo sabaudo è ancora oggi segnata, pesantemente segnata, dallo spirito cortigiano verso Casa Savoia. Tale spirito si va manifestando nella contrapposizione ai ripetuti tentativi di modifiche odonomastiche. Chi vorrebbe tali modifiche viene tacciato da ignorante della storia. Si dimentica che la storia è ancora da riscrivere perché è rimasta storia in certa misura di cortigiani, come osservò Cherchi Paba. In nome della storia, la storia andrebbe riscritta. Se lo fosse si capirebbe che vanno onorati i martiri angioyani. In nome della storia, ad esempio, non si sarebbe dovuta scegliere a suo tempo la Carra Pitzinna per onorare Cesare Battisti, giacché quella via è la via del carcere di San Leonardo dove furono incarcerati, processati e torturati i seguaci di Giovanni Maria Angioy. Se si scelse per quel luogo l’irredentista italiano Cesare Battisti fu in nome della cancellazione della storia. In nome della storia Piazza conte di Moriana si sarebbe dovuta intitolare ai caduti della tentata invasione di Sassari del 17 settembre 1796. Se si scelse il carnefice di Thiesi per quella piazza è in nome della cancellazione della storia. Siamo tutti ignoranti della storia, ma un tantino di più quelli che si atteggiano a storici, essendo solo i nuovi cortigiani.

 

 

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