Il 14 luglio 1971 è morto Antonio Simon Mossa, di Salvatore Cubeddu.

Lo ricordiamo cinquant’anni dopo, in occasione dei cento anni dalla fondazione del Partito sardo, al cui interno aveva deciso di combattere la sua battaglia per la liberazione della Sardegna.

Cinquant’anni ad oggi si è spento nella sua casa di Sassari, circondato dalla moglie e dai suoi cinque figli, consumato dal cancro, Antonio  Simon Mossa, cinquantaquattrenne architetto, giornalista, da giovane uomo di cinema, dedito alla causa sarda in tutte le sue dimensioni, negli ultimi dieci anni attraverso la rilettura dell’ideologia e della politica sardista. Erano le 12,47 del 14 luglio 1971. Lo sappiamo perché, come tutti i ‘maestri’, a lui era toccato di avere accanto degli amici appassionati e qualche discepolo capace di contare persino i minuti a partire dai quali marcare la sua assenza.

La malattia l’aveva portato alla cecità. Quasi non riusciva a vedere Titino Melis, per trent’anni leader del Partito sardo, cui il malato aveva insistito che dai familiari non venisse proibito l’accesso. Era il giorno prima. Neanche Titino, che trattiene le lacrime, è in forma ed è più anziano di Antonio: “ … Eh, sono un po’ preoccupato per il Partito …. E Antonio Simon Mossa: “Non ti devi preoccupare. Il Sardismo è come una quercia saldamente piantata sulla roccia. Nessuna potrà sradicarla da questa terra. Fintanto che esisteranno i Sardi, continuerà ad esistere il sardismo … Non ti preoccupare, Titino, il Partito è destinato ad avere grossi successi”.

Il Sardismo si sarebbe certo ripreso a partire dal decennio successivo (il congresso di Porto Torres è del 1981) confermando l’insegnamento di Antonio Simon a partire dal diritto all’autodeterminazione da parte delle comunità etniche, quelle definite ‘popoli senza stato’, che proprio nel federalismo tra i popoli europei possono e devono trovare una soluzione al permanere nel diritto di una loro indipendenza. E’ nella specificità geografica, linguistica, storica, economica, sociale e culturale di ciascuna di esse – assolutamente leggibile in Sardegna – che si fonda un diritto all’autogoverno e all’indipendenza, che cento anni orsono fu chiamata ‘autonomia’ e che può ‘politicamente’ declinarsi a seconda delle opportunità, delle occasioni e delle scelte dei protagonisti della storia. Quel diritto permane finché duri quel popolo, di cui nessuno può rimettere in discussione la sovranità, quella che fonda l’indipendenza.

L’ ‘autonomia politica’ della Sardegna – nel senso di permanente diritto all’autodeterminazione con la scelta dell’indipendenza  e di concreta proposta del federalismo dei Popoli aggregati per sostituire in Europa il confederalismo degli Stati – fu il nome dato nei documenti del XVI° congresso sardista (24/25 febbraio 1968), che nel 1979 e fino ad oggi si chiama indipendenza della Sardegna. E’ tutt’ora così, nello Statuto che governa il presente PSd’Az:

Art. 1 – IL PARTITO

Il “Partidu Sardu – Partito Sardo d’Azione” è la libera associazione di coloro che si propongono, attraverso l’azione politica, di affermare la sovranità del popolo sardo sul proprio territorio, e di condurre la Nazione Sarda all’indipendenza.

Art. 2 – FEDERALISMO

Il “Partidu Sardu – Partito Sardo d’Azione”, co-fondatore dell’ALE – Alleanza Libera Europea, sostiene la libera unione federale o confederale in ambito europeo e mediterraneo di nazioni e popoli su basi di sovranità, solidarietà ed interesse reciproco.

Rivendica per il popolo sardo la soggettività politica.

 

Antonio Simon Mossa è morto giovane e troppo presto per poter impegnarsi come avrebbe voluto a costruire ‘l’ossatura – organizzazione’ del partito che avrebbe consentito il viaggio per la realizzazione di questi obiettivi. Ancora pochi mesi prima di lasciarci partecipò all’inaugurazione dei due distretti della provincia di Sassari, dopo avere promosso ed inaugurato l’organizzazione sardista in Gallura. E ne fu eletto quale massimo dirigente.

Probabilmente con Lui le segreterie del ‘vento sardista’ non avrebbero consentito che esso si attenuasse fino a restare una periodica brezza. Ma il fuoco dell’ideale è restato, la quercia mantiene le sue radici, basta arricchirla di buona terra e di acqua costanti.

Antonio Simon Mossa ha scelto di fare del Partito Sardo d’Azione il luogo fondamentale dove inserire anche le iniziative più interne ai suoi amici indipendentisti. E la maggioranza del Partito sardo ha difeso la legittimità del suo pensiero e della sua azione anche a costo di pagarla con la nuova e dolorosa scissione: quella che in Sardegna ha alimentato (a partire dal 1968) le fila del Partito Repubblicano, come quella di Emilio Lussu trent’anni innanzi (dal 1948) aveva conquistato il locale partito socialista ed il passaggio di molti al fascismo nel 1923 aveva rinvigorito i primi quattro anni del sardo-fascismo.

Antonio Simon Mossa ha costantemente difeso il filo rosso della storia che porta la sigla di PSd’A (poi PSd’Az), non disconoscendone limiti ed errori. Scriveva nell’estate del 1965 su La Nuova Sardegna attraverso la firma di Fidel :

il Sardismo, da qualunque parte si guardi il fenomeno, non può non essere intransigente e fedele a quei principi che giustificano l’esistenza di una corrente di opinione assai più larga di quanto sembri e l’esistenza di un partito che ha sempre dato senza mai ricevere.

Il Sardismo è un partito popolare, che ritiene e predica da anni l’autonomia come “unico” strumento della Rinascita della Sardegna. Una tale posizione, apparentemente ingenua e barricadera, riflette l’essenza di una lotta millenaria per la libertà. Gli onesti e coloro che non sono accecati da suggestioni e lusinghe contro natura, non possono non riconoscere la validità e la vitalità di questa tesi. Lo stesso aspro gioco politico porta i sardisti a battersi contro tutto e contro tutti per mantenere fede a questa realtà. Perciò non deve meravigliare che i sardisti abbiano potuto per molti anni collaborare, in un regime di reciproco leale rispetto, con il partito di maggioranza (la DC) e, in seguito, anche con i socialdemocratici. Collaborazione, però, checché si dica, materiata di dignità e non certo di servilismo coloniale, e volta esclusivamente alla salvezza e al miglioramento delle condizioni in “tutto” il popolo sardo.

….. La democrazia è in crisi, si dirà. Le assemblee popolari sono in crisi. La crisi è nella Regione, (lo Stato, il che è perfettamente la stessa cosa). Non è affatto vero. La crisi si sostanzia nella “immaturità” della classe dirigente isolana: immaturità politica e immaturità democratica; ereditarietà di servilismo millenario; nessun senso dell’autonomia intesa nel suo significato più ampio. Certo che la libertà e la rinascita della Sardegna e del suo avvilito popolo non si tutelano né si salvano a questo modo. La via aperta e percorsa dal sardismo nel primo e secondo dopoguerra, nonostante gli errori, le debolezze, i piccoli tradimenti (bisogna pure ammetterlo e prendersi le colpe, allo stesso modo come bisogna essere spietati quando si accusano gli avversari), è sempre quella diritta, la migliore, se non l’unica.

I “qualunquismi” di destra e di sinistra (quest’ultimo mascherato con la parola “unità” del popolo sardo, etc.), i tentativi di attrazione con il miele autonomistico di comodo, nonostante alcune posizioni che si possono – sino a prova contraria – accettare come sincere, dimostrano che il sardismo è una forma ben superiore a quello che è il piccolo partito che lo rappresenta.

Se si vuole vivere nell’area democratica, dare ai Sardi la “vera” democrazia, soltanto nello spirito integralmente autonomistico, senza riserve né suggestioni centraliste, si può raggiungere l’obiettivo; e dare così veramente al nostro popolo lo strumento e il fine della sua esistenza.

 

Celebrando l’uomo a cinquant’anni della morte non possiamo non rilevare che l’ultima metà dell’esistenza del Partito Sardo è stato segnato dalla sua presenza. Fortza paris, Antoni.

 

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