Anna la Maestra, di Maria Michela Deriu

La conoscenza ci salverà dalla violenza? (Nella foto: Anna Ruggiu)

La conoscenza ci salverà dalla violenza?

La conoscenza ci salverà da una delle più grandi forme di violenza che e’ il pregiudizio?

E’ violenza catalogare le persone legandole ad un cliché dovuto all’etnia, all’orientamento sessuale, religioso e……potremmo continuare all’infinito.

In questo percorso dedicato a donne che hanno con la loro forza contribuito alla tutela e alla crescita spirituale e psicologica del genere femminile abbiamo tralasciato un aspetto che oggi tenteremo di colmare: l’importanza di coloro che trasmettono direttamente sapere e conoscenza, l’importanza della Maestra.

La Maestra è colei che trasmette il suo sapere.

 

La nostra isola disseminata di Dee Madri conferma il simbolo magico che ogni donna ha nel trasmettere vita e di fare da guida nella comunità nei grandi trapassi dell’esistenza dalla nascita alla morte.

Anni ‘70 Cagliari Via San Paolo campo di zingari.

Gli zingari li conosciamo tutti, da lontano ovviamente, sono sporchi e rubano, per carità.

Sfatiamo il primo pregiudizio dovuto all’ignoranza: i Rom non sono tutti uguali, esattamente e piu’ di quanto un italiano possa essere diverso da un francese.

L’etnia Rom e’ costellata da una gran numero di sotto etnie che differiscono tra loro per la provenienza geografica e la confessione religiosa.

Vediamo quelli che vivono accanto a noi.

In Sardegna vivono i Sinti, provengono dall’Europa centrale, conoscono l’arte del circo, sono abili giocolieri.

I Sinti sono di religione cattolica e forse i piu’ vicini, per cultura,agli italiani.

 

I Rom Xoraxane’. Sono di origine Jugoslava, provengono dalla Bosnia Erzegovina e dal Montenegro. Il loro mestiere tradizionale era la lavorazione del metallo e del legno, hanno grosse difficolta’ a trovare luoghi di sosta, ne deriva che e’ impossibile per loro trovare committenza, sono di religione musulmana.

I Dassikane’ sono d’origine Jugoslavia, tradizionalmente lavoravano i metalli, anche per loro questa attivita’ è praticamente scomparsa, fanno tanti figli ma la loro aspettativa di vita e’molto bassa.

E’ facile capire come portare alla convivenza forzata popoli in fondo tanto diversi porta a una prevedibile situazione di insofferenza che spesso sfocia nella violenza.

Questo accade all’ interno dei campi rom costruiti dalle istituzioni italiane, sempre ai margini delle città per tacitare le coscienze e tenere a bada l’opinione pubblica.

Altro luogo comune e’ che tutti gli zingari vivano tra le baracche e nei campi ai margini delle città.

Molti Rom di seconda generazione vivono oggi in case normali, i loro figli frequentano scuole normali, si sono in parte omologati a noi “gage”. Col termine ”gage’” i rom definiscono chi e’ altro da loro.

I Rom che oggi abitano nei campi e nelle baracche sono i profughi di ultima generazione, quelli, per intenderci, che sono fuggiti dall’ex Jugoslavia a causa della guerra civile.

Questi sono i poveri tra i poveri anche all’interno della vasta popolazione zingara.

Torniamo ora negli anni ‘70 in via San Paolo all’interno del Campo Rom.

 

 

Cosa come era la vita di un campo Rom?

Pochi lo sanno, io ci son stata, ricordo ancora la loro ospitalità e la mia difficoltà nel bere il loro caffè.

 

Ma ho vissuto questa esperienza come una che, per curiosità, approda su Marte, si guarda attorno e poi  torna a casa.

Poi ho interiorizzato il fatto che quel fango, l’assenza di acqua corrente, i giacigli nella roulotte per i più ricchi, le baracche per i più poveri, era il loro quotidiano.

 

Alcune associazioni in quel tempo si occupavano di assistere ”i poveri zingari” nel portargli coperte e genere di prima necessità.

Non che questo non fosse utile, ma in un’ottica di evoluzione sociale non e’ una soluzione a lungo termine.

L’Associazione Sucania desiderava una politica di intervento basato sulla conoscenza.

Bastava guardarsi attorno nel campo di via San Paolo, popolato oltre che da esseri umani da topi giganteschi, per capire che l’obiettivo era irrealistico. Chi, al limite della sopravvivenza, pensa che, la cultura questa sconosciuta, possa essere utile per migliorare la propria esistenza?

 

Pura follia.

Ma folle era Galileo, folle era Giordano Bruno, folle e’ Cristo .

E tra follia e illuminazione Anna Ruggiu, della Associazione Sucania cominciò la sua rivoluzione copernicana.

Nel lavoro di Anna Ruggiu possiamo cogliere con pienezza come la conoscenza salvi dalla violenza.

 

Anna nasce a Cagliari il 13 settembre 1950, Anno Santo, studia dalle suore, frequenta le Magistrali, diventa Maestra: una Maestra illuminata.

 

E le Maestre illuminate percorrono strade impervie e fanno scommesse con scarsissime  possibilità di vincere .

Le Maestre illuminate vanno oltre, oltre l’apparenza e il pregiudizio, oltre i benpensanti che gufano perché quell’impresa non riesca mai,

Le Maestre illuminate non hanno paura di come potranno portare a compimento   imprese impossibili perché hanno fede, fede per realizzare le loro opere.

Quando ogni porta si chiude, sono certe che troveranno altre strade, scritte, spesso nell’orizzonte del futuro.

 

Si dice che le Maestre illuminate, ispirate da Prometeo, abbiano rubato il fuoco della conoscenza agli dei e non lo possano spegnere, non possono tenerle solo per sè.

 

Una Maestra illuminata non può accontentarsi di assistere i bisognosi, una Maestra illuminata ha la vocazione di  insegnare ai propri discepoli a non essere più bisognosi.

Anna Ruggiu nel campo di San Paolo, in un luogo di cosiddetto ”degrado sociale”, termine che non definisce nulla, risolve un problema di cui oggi, quasi cinquant’anni dopo, si discute, e sottolineo si discute, non si risolve: le discriminazioni multiple.

La Maestra, accesa femminista, aveva notato il forte maschilismo che imperava nel campo, le donne Rom erano quindi discriminate nella loro comunità in quanto donne, discriminate nel mondo dei ‘gage’ in quanto Rom.

Piccola parentesi sul rapporto scuola e comunità Rom, questo sia per i ragazzi che per gli adulti.

E’ bene sottolineare che in queste comunità l’unico obiettivo e’ la sopravvivenza .

Tutte le attività che ruotano attorno al campo sono tese al mantenimento della stessa comunità, e’ quindi evidente come la scuola vista in questo contesto sia spesso in contrasto rispetto alla tradizione e alle regole tacitamente e tradizionalmente rispettate.

Anna Ruggiu, Mestra illuminata, e’ di altro pensiero, e’ certa che l’unico modo per aprirsi alla convivenza nel luogo ove ricoprono il suolo sia la scuola, e progetta una scuola per sole donne.

Perché per sole donne? E’ semplice: perché le donne nella comunità in questo modo  avrebbero acquisito più potere.

Per capire  meglio lascerò la parola ad Anna Ruggiu attraverso la relazione, da lei svolta nel 1995, in occasione del primo corso di educazione allo sviluppo organizzato dall’ Unicef Sardegna.

Vediamo come vengono superate le più grosse barriere per la scolarizzazione dei Rom anche oggi: la frequenza e il senso di inutilità.

Intervento di Anna Ruggiu:

”L’esperienza più significativa condotta dall’associazione e’ stata, certamente, la realizzazione di un corso di formazione per giovani zingare. Si e’ trattato di un’impresa non facile, che ha richiesto, prima di tutto, una approfondita conoscenza. Poiché sarebbe stato velleitario pensare di portare adolescenti e ragazze zingare nelle aule di una scuola, abbiamo costruito un edificio scolastico nel loro campo ( ndr. nel concreto l’edificio era un cubo di cemento, catapultato nel campo con una gru), abbiamo quindi organizzato il corso in orari compatibili con le loro abitudini. Era impensabile ritenere di svolgere le lezioni negli orari nei quali le ragazze sono impegnate nell’elemosina: da essa traggono gran parte del sostentamento della famiglia e mai avrebbero potuto rinunciare  al loro lavoro, i capofamiglia, tra l’altro, non l’avrebbero mai consentito. Solo nel pomeriggio, dopo il lavoro della mattina e dopo aver assolto alle incombenze del pranzo, avrebbero potuto recuperare un pò di tempo per se stesse.

E anche ciò non e’ stato facile, perché i maschi erano riluttanti a farsi carico dei loro figli.

Il  problema di accudimento fu risolto dal Comune di Cagliari (servizi sociali) che organizzò un’attività di animazione per i bambini.

La scuola venne finanziata con i fondi regionali per la formazione.

Il rapporto docente/discente era ovviamente di tipo paritario, l’insegnamento non si svolgeva nell’ impartire dall’alto aride nozioni,  ma il tempo condiviso era vissuto nella reciprocità.

Molto interessante il programma che, oltre alla indispensabile alfabetizzazione, prevedeva la conoscenza dei diritti dei cittadini compresi i loro diritti, la capacità di potersi rapportare con le istituzioni, tutti strumenti di utilità per tutta la comunità.

L’ordine provinciale delle ostetriche ha impartito lezioni che riguardavano le conoscenze fondamentali di educazione sanitaria, prendendo in considerazione soprattutto l’igiene e il ciclo riproduttivo della donna.

Le ragazze  hanno anche partecipato alle attività piacevoli come le gite scolastiche a Barumini e a Villanofaforru e l’immancabile pizzata di fine anno al Gatto.

Queste ragazze in 6 mesi impararono a leggere e a scrivere e a esercitare diritti che neppure pensavano di avere. Un’esperienza di alfabetizzazione sociale unica.

La cosa più importante e’ che da questa relazione tra docenti e discenti nacquero rapporti di grandi amicizie.

Anna nel campo era una di loro, nel bene e nella tristezza.

Un triste giorno morì Negiba, la donna anziana che aveva tanti figli, era vedova, i suoi figli avevano costruito le loro capanne accanto alla sua, e lei, seppure donna, era considerata un capofamiglia.

Alla fine della sua esistenza terrena, nell’ultimo ricordo da parte della comunità, quando il marabout le impartiva l’ultima benedizione, uno dei suoi figli si avvicinò alla Maestra e la pregò di avvicinarsi. Anna, fino a quel momento rimasta in disparte, raggiunse l’amica e la salutò con un bacio sulla fronte.

La sua comunità, dopo aver raccolto le ceneri, era già pronta , bruciò le capanne e si avviò per altri luoghi.

Nella loro cultura non e’ possibile restare in un luogo dove e’ morto il capo della comunità.

Oggi Anna non c’e’ più ma vive, vive nelle attività della Fondazione Anna Ruggiu, che continua la sua politica di investire in cultura e formazione. Tante le borse di studio e i sostegni per i Rom che intendono seguire la strada dell’apprendimento e della istruzione.

Ma soprattutto, imprevedibilmente, vive anche in chi non l’ha direttamente conosciuta o ne ha un vago ricordo perché troppo piccolo.

Vive nel lavoro di una ragazza che ha imparato il mestiere di sarta grazie a un’alunna della scuola di San Paolo.

Vive come luce, nel buio di un carcere, nel sentimento di un ragazzo condannato a una lunga pena, al quale e’ stata assegnata la cittadinanza serba.

Ma lui si ritiene italiano, e’ italiano, e’ nato a Cagliari in Via San Paolo  e lì c’era anche la sua madrina, Anna.

Anna la Maestra.

 

 

 

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