Lo scippo “straniero” del Sale di Sardegna, di Mauro Pili

Pubblichiamo dopo più di un mese il reportage de L’Unione Sarda su una situazione significativa di come vanno le cose in Sardegna, di cui si attende una definitiva soluzione.

Quando si trovò dinanzi alla palude di Santa Gilla, carica di malaria e zanzare, la prima domanda che rivolse al suo accompagnatore fu elementare: qui soffia il maestrale? Risposta scontata in una terra dove anche i fenicotteri rosa devono viaggiare con casco e anemometro per non schiantarsi su Monte Arcosu. Il quesito, però, non era un orpello meteorologico. In base a quella risposta Luigi Conti Vecchi, ingegnere, mite, ingegnoso e determinato come pochi, avrebbe ideato il più ardito piano di cancellazione malarica dell’Isola, trasformando quel covo di zanzare Anopheles in un’immensa fabbrica di sale marino.
L’idea dell’Ingegnere
L’idea visionaria di coniugare lotta alla malaria con la salvaguardia ambientale e la produzione di sale convinse Vittorio Emanuele III, Re d’Italia, a promulgare la «legge del Sale di Santa Gilla». Era il 20 agosto del 1921. Concessione iscritta nella Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia. Vittorio Emanuele III, con la formula di rito, «per grazia di Dio e per volontà della Nazione», affida all’ing. Luigi Conti Vecchi il mandato per realizzare la sua missione. In pochi anni prese forma un sistema straordinario di bonifiche e pendenze progettate per far scorrere e accumulare l’acqua di mare in quello scacchiere di 2.770 ettari di riquadri, dove sole e vento avrebbero forgiato ogni anno non meno di 250/300 mila tonnellate di sale. Santa Gilla divenne in un attimo uno degli impianti più produttivi d’Europa. Da quella miniera di sale a cielo aperto usciva di tutto e di più, dal magnesio al gesso, dal potassio alla gillite, un materiale fonoassorbente impastato per la prima volta a Santa Gilla e usato in esclusiva nei teatri e nei cinema della Cagliari moderna. Lui, Luigi Conti Vecchi, non riuscì a vedere nemmeno un chilo di sale prodotto. Morì alla vigilia dell’entrata in funzione della sua meraviglia. Le saline, con una concessione di novant’anni, finirono prima nelle mani dei figli e dei nipoti, poi di Nino Rovelli che la rilevò con la Imi Sir e infine all’Eni che, dal 1984, in quel compendio salino ha fatto e continua a fare il bello e il cattivo tempo.
Le vie del Signore
La concessione del Re sarebbe dovuta cessare a luglio del 2021, dopo 90 anni. Le vie del Signore, però, come spesso capita per l’Eni, sono infinite. Con un anticipo di 5 anni e con la scusa di una valorizzazione del vecchio compendio di Santa Gilla da affidare al Fai, Fondo Ambiente Italia, Claudio Descalzi in persona, amministratore delegato del cane a sei zampe, chiede e ottiene dalla Regione sarda il rinnovo della concessione. Un atto di Giunta e un allegato, delibera n. 8 del 19 febbraio del 2016, dove si concede il rinnovo della concessione direttamente all’Eni. Non ci sono scadenze nell’atto di indirizzo, ma l’utilizzo di quel ben di Dio sarebbe fissato in trent’anni. E non è un caso che l’Eni abbia deciso di disfarsi di ciò che considera “ferro vecchio”, il mega pontile, il deposito costiero e gli impianti di cloro-soda. Sceglie, invece, di tenersi ben stretto il vero capitale, le Saline Conti Vecchi. Quel rinnovo di concessione vale troppo per cederlo alla società neonata di Donato Todisco, il predestinato a succedere all’Eni negli impianti del cloro-soda di Macchiareddu.
Ossa & polpa
Del resto nelle saline dell’Ingegnere ci sono pochi costi e molti utili, al cospetto dei molti oneri che l’Eni dovrebbe sopportare tenendosi anche il resto. La partita sembrerebbe chiusa: l’Eni agguanta la polpa e cede l’osso. Vujadin Boskov, però, il mitico professore del calcio serbo, non smetteva mai di ripetere ai suoi giocatori il suo mantra: «La partita finisce quando arbitro fischia». Dovrebbe saperlo anche l’Eni visto che l’arbitro, in questo caso la Regione sarda, non ha ancora fischiato né la fine né i falli. Negli atti di Giunta, Pigliaru 2016, infatti, ci sono tempi e regole che non sembrano coincidere con le intenzioni dell’Eni.
Inseparabili
L’accordo sottoscritto allora tra gli uomini di Descalzi e la Regione Sardegna era fondato su un unico presupposto: la Regione concede il rinnovo della concessione solo se è garantita l’unitarietà del sistema Saline e del sistema industriale. Il passaggio negli atti ufficiali è chiaro: «La Conti Vecchi, confermando le attività di estrazione e lavorazione dei prodotti della salina, ha in fase di realizzazione nelle aree di proprietà il Piano Industriale, che prevede un nuovo impianto di lavaggio, essicamento e confezionamento di sale alimentare a maggior valore aggiunto. Il Piano Industriale descrive anche il piano di riqualificazione industriale dello stabilimento produttivo di Assemini che, attraverso l’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili nel mercato mondiale, valorizza i prodotti del ciclo di elettrolisi di cui il sale è la materia prima». Dunque Saline e ciclo di elettrolisi sono il presupposto sostanziale, unitario e giuridico della nuova concessione.
Il fischio della Regione
Se viene meno uno dei due elementi cardine cade il fondamento essenziale del rinnovo. Per essere più chiari: se Eni vende a Todisco gli impianti industriali di elettrolisi perde di fatto e automaticamente il diritto alla concessione sulle saline di Santa Gilla. Ora spetta alla Regione decidere se fischiare o meno il fallo, o lasciar fare all’Eni ciò che vuole. L’Ente di Stato, ancora una volta, continua a fare e disfare, con un danno incalcolabile per l’intera economia dell’Isola. Sono i fatti e i documenti che ancora una volta parlano chiaro.
Gli spagnoli a Giorgino
Il 19 febbraio scorso, al molo delle rinfuse del Porto Canale di Cagliari, quello più nascosto, ha attraccato la Froland, una nave proveniente dalla Spagna e destinata in Norvegia dove è arrivata il 2 marzo scorso. A mandarla nell’eremo deserto di Giorgino è stata l’Atlantic Trade & Export, una multinazionale spagnola dislocata nel distretto industriale di Siviglia, nella città di Alcalá de Guadaíra. Le gru portatili caricano nelle stive della nave una montagna di sale prodotto nel compendio dell’Ing. Conti Vecchi, ben 6.300 tonnellate. Destinazione Spagna. Sin qui nulla di strano, del resto l’esportazione del sale rientra tra gli affari della società di Stato. È da quel momento, però, che qualcosa non torna. I vertici delle Conti Vecchi S.p.A. scrivono una lettera alle due principali aziende sarde che producono sale. Il contenuto è esplosivo: per voi, in sintesi, non c’è più sale. In pratica l’oro bianco di Santa Gilla non è più disponibile per i sardi. La reazione è senza appello. La missiva che riproduciamo integralmente ha sfondato direttamente gli impenetrabili cristalli verdi del palazzo Mattei all’Eur di Roma. Il mittente è un colosso del sale nell’Isola, da 50 anni il numero uno. Un’impresa dove ruotano centinaia di operatori e famiglie.
La guerra del sale
Il patriarca della “Sali di Sardegna”, Emilio Cadelano, scomparso lo scorso anno, con la raffinazione del sale di Santa Gilla aveva costruito un’attività produttiva e commerciale senza eguali. Ora l’Eni ha deciso di chiudere tutte le forniture alle imprese sarde. La “Sali di Sardegna” non ci sta e replica a muso duro: «Con il presente messaggio, a seguito dell’incredibile decisione del commerciale della Salina Ing. Conti Vecchi di bloccarci le forniture di sale dall’otto di febbraio al trenta ottobre prossimo vi informiamo che daremo disposizione di sospendere la fideiussione che è attualmente operante, a vostra garanzia, dopo aver saldato tutte le vostre fatture in scadenza». Il peggio, però, deve ancora venire. Le affermazioni che seguono, se confermate, sono macigni che dovrebbero far sobbalzare chiunque. Scrive la “Sali di Sardegna”: «La decisione di Conti Vecchi viene motivata dalla mancanza di disponibilità di sale, ma ciò vale solo per la “Sali di Sardegna”. Infatti, le forniture all’estero continuano malgrado il ricavo netto franco salina per Conti Vecchi sia di circa 7 euro a tonnellata contro i 25 euro a tonnellata garantiti franco salina dalla “Sali di Sardegna”».
Sale ai saldi
Se fosse vero quanto denuncia l’industria sarda l’Eni venderebbe il sale sardo in Spagna a 7 euro a tonnellata. In Sardegna lo farebbe pagare 25 euro, più del triplo del prezzo riservato agli spagnoli. L’industria isolana aveva chiesto 80.000 tonnellate, l’Eni ne ha concesso prima 35.000 e, poi, una settimana dopo, zero. “Sali di Sardegna” conclude la sua missiva con l’impotente sconforto dinanzi al colosso di Stato: «Ci scusiamo per lo sfogo, ma quello che ci capita non lo meritavamo proprio». In Spagna, intanto, pianificano lo sbarco a Santa Gilla. Questa volta non con una nave.
Le mire spagnole
Lo sanno anche le pietre che i vertici della Enirewind, società dell’Eni che detiene il 100% delle quote della Conti Vecchi, hanno già incontrato l’Atlantic Trade & Export. Obiettivo degli spagnoli acquisire l’impianto di raffinazione del sale di Santa Gilla. Soffia ancora forte il maestrale nelle vecchie saline dell’Ing. Conti Vecchi. Il sole batte a picco su quel sale che fu dei sardi. Se l’arbitro non fischia prima quell’oro bianco batterà bandiera straniera.

 

 

L’UNIONE SARDA, 25 MARZO 2021

 

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