Eleonora, sovrana che non voleva perdere tempo, di Maria Michela Deriu.

La conoscenza ci salverà della violenza?

 

Questi ultimi tempi di pandemia hanno inasprito le manifestazioni di violenza dentro le mura domestiche a danno delle donne.

La Sardegna non fa eccezione.

Giuristi, psicologi, operatori delle associazioni antiviolenza, sono concordi nell’affermare che questa piaga non può essere unicamente arginata dalle legislazioni a tutela della donna ma è fondamentale modificare l’humus socio-culturale che fa si che l’aggressività si esprima in violenza ai danni dei soggetti più deboli: le donne e i figli delle vittime.

Spesso prima di darsi risposte è meglio farsi domande.

In Sardegna, il nostro passato, l’ambiente in cui tutt’ora viviamo, come si pone nei confronti della donna e dei suoi diritti?

Sono stata abbastanza indecisa se addentrarmi in questo argomento, di questi tempi fin troppo discusso. Dico fin troppo, non per sminuire  la portata e la crudeltà del reato ma per come, spesso succede, il tema è affrontato dai mezzi di comunicazione: non come una responsabilità collettiva,  ma come l’ormai vecchio ed inutile messaggio”metti il mostro in prima pagina.”

Da quel che vedo e sento, soprattutto attraverso i social network e la televisione, di contribuire a creare un educazione che faccia evolvere, e così cambiare il senso comune, nel rispetto delle fragilità di genere, importa molto poco. I canali più noti, per intenderci quelli che arrivano alla stragrande maggioranza di persone e non solo ad una piccola élite di bene informati, divulga ossessivamente trucide storie che meriterebbero un più mesto rispetto.

Quel che salta agli occhi e alle orecchie è la rilevanza che viene data quando la violenza è già stata consumata.

Sarà una mia percezione ma spesso gli operatori dell’informazione, novelli banditori, danno le grida non per avvertire ma per urlare la trucida notizia del giorno.

Nel mercato mediatico chi strilla di più  venderà meglio la propria merce.

Tutela e prevenzione dove stanno di casa? Costruire una cultura che rispetti fragilità e diversità a chi spetta?

Questa e’ la grande domanda che attende urgentemente una risposta.

Non avendo alcuna presunzione di colmare un sì grande problema

in questi appuntamenti riporteremo fatti della nostre sarde radici che indicano il ruolo della donna sarda e il suo contributo sociale e familiare.

L’esempio e’ sempre stato e sempre sarà fonte di riflessione e di azione, per questo proveremo a tratteggiare donne sarde che a dispetto del loro genere e dei loro tempi hanno lasciato il loro segno nella storia.

Come diceva Indro Montanelli non si può scrivere tutto, per questo vorrei soffermarmi sull’ eredità che grandi donne della nostra terra ci hanno lasciato nei loro scritti da un punto di vista giuridico, socio- familiare e psicologico.

La prima parte e’ dedicata a Eleonora d’Arborea per aver promulgato nella Carta de Logu, quanto già codificato dal padre, Mariano IV, rivisto dal fratello Ugone, e, relativamente all’argomento in questione, introdotto da stessa ai cap. 21 e 22, detti appunto ‘norme a tutela della donna’.

Ricordiamo che la Carta Delogu, oltre che essere un insieme di leggi emanate dal giudice per l’amministrazione e governo del suo territorio nel suo tempo, è  attualmente considerata una tappa di rilievo verso l’attuazione di uno “stato di diritto”, uno stato in cui tutti sono tenuti all’osservanza e al rispetto delle norme.

 

Scritto in sardo per una maggiore facilità divulgativa si è colpiti dalla chiarezza delle norme che precedono di secoli”la certezza di diritto”.

 

La Carta de Logu d’Arborea fu promulgata secondo il Tola nel 1395, secondo Ennio Cortese, forse nell’aprile 1391 e, secondo Francesco Cesare Casula, il 14 aprile 1392, giorno di Pasqua.

Cosa succedeva in quegli anni in Europa?

L’Europa risentiva ancora dei postumi della peste nera, del brusco calo della temperatura ambientale che portò alla distruzione dei raccolti e alla fame .

Il popolo era falcidiato dalla miseria e dalla malattia ma:

Il papa era tornato a Roma da Avignone, e portava l’ingrato nome di Bonifacio seppur lX;

in Spagna regnava Giovanni l, figlio di Pietro il Cerimonioso;

in Francia proprio in quel 1392 il re Carlo VI di Valois impazziva;

a Firenze ci si contendeva il potere tra Albizzi, Ricci e Medici mentre il Brunelleschi e Paolo Angelico ci regalavano opere immortali.

Nella lontana Inghilterra regnava Enrico lV, immortalato qualche secolo dopo da Shakespeare nella celebre tragedia.

A lui dobbiamo la frase

” Inquieto giace il capo di chi porta la corona”

Inquiete notti ha passato anche Eleonora nella sua tormentata vita.

 

Ci piace immaginare, e qui siamo debitori a Giuseppe Dessi e alla sua opera teatrale incredibilmente evocativa, che Eleonora nelle sue notti insonni abbia concepito e codificato norme a tutela del suo genere, rivoluzionarie per quei tempi, altamente indicative ai giorni nostri.

Fu suo il merito di averle raccolte e divulgate.

Ora, con un piccolo sforzo di immaginazione, entriamo con Giuseppe Dessi nella sala del Consiglio del Palazzo giudicale di Oristano dove Lenora comunica al ristretto numero di Consiglieri e successivamente al Vescovo di Santa Giusta che, li raggiungerà in seguito, la sua volontà di rendere pubblico il lavoro legislativo di Mariano IV.

Del lungo discorso della giudicessa fermerei questo passo:

”Io non voglio cambiare le leggi di mio padre – le vostre leggi – ma voglio aggiungere qualche cosa, con l’aiuto di voialtri vecchi e di voialtri giovani.

Questo che io vi sottopongo è soltanto un abbozzo del codice futuro, è il frutto della mia esperienza in questi anni di governo. Dovrete aggiungervi la vostra. Leggete quest’abbozzo capitolo per capitolo. Ognuno di voi prepari le modifiche, le correzioni e le aggiunte che crederà opportune.

Fra sei mesi ci riuniremo ancora qui e discuteremo punto per punto. Se avremo vita, entro due anni il codice sarà promulgato in tutta l’isola. E i nostri figli faranno quello che abbiamo fatto noi: aggiungeranno qualcosa a quello che noi abbiamo fatto.”

Lenora, tra le altre”aggiunte” ai cap. 21 e 22, ha stabilito i confini e le sanzioni in cui gli uomini e le donne sarebbero incorsi in violazione delle norme stabilite dalla Carta de Logu.

 

 

 

XXI. Da chi levarit per forza mygeri coyada.

Volemus ed ordinamus chi si alcun homini levarit per forza mugeri coyada, over alcunattera femina, chi esserit jurada, o isponxellarit alcuna virgini per forza, e dessas dittas causas esserit legittimamenti binchidu, siat jugadu chi paghit pro sa coyada liras  chimbicentas ; e si non pagat infra dies bindighi, de chi hat essere juygadu, siat illi segad’uno pee pro modu ch’ullu perdat.

E pro sa bagadia siat juygadu chi paghit liras ducentas, e siat ancu tenudu pro levarilla pro mugeri, si est senza maridu, e placchiat assa femina; e si nolla levat pro mugeri, sia ancu tentu pro coyarilla secundu sa condicioni dessa femina, ed issa qualidadi dess’homini. E si cussas caussas issu non podit fagheri a dies bindighi de chi hat essere juygadu , seghintelli nu pee per modu ch’illu perdat. E pro sa virgini paghit sa simili pena; e si non hadi dae hui pagari, seghentilli unu pee, ut supra.

 

21.  Di chi rapisce con la forza una donna sposata.

Vogliamo e ordiniamo che se qualcuno rapisce con la violenza una donna sposata, o un’altra donna che sia promessa, o violenta con la forza una vergine, e di tali fatti viene dimostrato colpevole a termini di legge, sia condannato a pagare cinquecento lire per la donna sposata; e se non paga entro quindici giorni dal giudizio, gli sia tagliato un piede in modo che lo perda.

Per la nubile sia condannata a pagare duecento lire, e se quella è senza marito sia tenuto a sposarla, sempre che piaccia alla donna; se non la sposa sia tenuto a farla sposare secondo la condizione della donna e quella dell’uomo. Se non può adempiere a quest’obbligo entro quindici giorni dal giudizio gli si tagli un piede in modo che lo perda. Per la vergine paghi allo stesso modo e, se non ha di che pagare, gli si tagli un piede come detto sopra.

 

XXII.  De chi intrat per forza in domu de alcuna femina coyada.

Item ordinamus chi si alcun homini intrarit per forza a domu de alcuna femina coyada, teninthellu, e noll’appat hapida carnalimenti, ed estindi binchidu legittimamenti, siat juygadu a pagare liras centu; e si non pagat a dies bindighi de chi hat a esser juygadu, segantilli un’origlia tota. E si alcun homini esseri tentu cun alcuna femina coyada in domu dessa femina, ed esseri tentu con alcuna femina, ed esserit voluntadi dessa femina, cussa codali femina siat affrastada e fustigada ed ispossedida dessos benis suos totu e dessas raxionis sua gasi de dodas comenti de atteros benis, e remangiant assu maridu, e non a figios, chi havirit con cussu maridu, e non cun atteru maridu chi havirit hapidu per innantis, e non ad atteru parenti suo, exceptu a plagheri de cussu maridu cun su quali havirit fattu sa ditta fallanza.

Ed iss’homini, cun su quali esserit acattada, non siat frustadu ma deppiat pagari infra dies bindighi, de chi hat a essere juygadu, liras centu; e si non pagarit infra su dittu tempus, siat illi segada un’origlia in totu. E zo non s’intendat pro feminas chi siant pubblicas meretrici; nen ancu in casu chi sa femina andarit a domu dess’homini, over de attera persona chi non esserit habitacioni dessa ditta femina; ch’in cussu casu s’homini paghit liras vintichimbi, ma sa femina siat affrustada, ut supra.

 

22. Di chi si introduce con la forza nella casa di una donna sposata.

Inoltre ordiniamo che, se qualcuno penetra con la forza nella casa di una donna sposata, e viene catturato, e non ha avuto rapporti sessuali con lei, ed e’ riconosciuto colpevole a termini di legge, sia condannato a pagare cento lire, se non paga entro quindici giorni gli si mozzi un orecchio per intero. Se qualcuno viene trovato con una donna sposata nella casa di lei, e la donna è consenziente, la donna venga bastonata e frustata ed espropriata di tutti i suoi beni in fatto di dote e di altri beni, e questi rimangono al marito e non ai figli che ha avuto con quel marito, e non ad altro marito che avesse avuto in precedenza, e non ad altro parente, a meno che non sia gradito al marito al quale ha fatto detto tradimento. L’uomo col quale viene trovato non venga frustato ma paghi entro quindici giorni dal giudizio cento lire; se non paga entro questo termine gli venga mozzato un orecchio per intero.

Tutto questo non riguarda le donne che sono pubbliche meretrici né il caso che sia la donna ad andare a casa dell’uomo o anche di altra persona, e quindi in dimora non sua; in quel caso l’uomo pagherà venticinque lire e la donna sarà frustata, come e’ detto sopra.”

 

Queste le novità apportate da Lenora alla legislazione già redatta dal padre Mariano IV.

Anche per i profani è evidente che in quel lontano 1392 Lenora, non dovendo scontrarsi con i nostri famosi tre gradi di giudizio, procedeva con l’applicazione della pena massimo in venti giorni.

Per la fase “istruttoria” ricorriamo a Dessi che fa un’affermazione non sappiamo quanto storicamente fondato ma sufficientemente verosimile .

Piazza di Oristano, il banditore.

”D’ordine della eccellentissima giudicessa Lianora Arbare’: ”Da questo momento e da questo suono di tamburo la legge torna a essere legge.

Perciò chiunque arreca danno a cose o a persone entro le cerchia di queste mura e fuori sarà soggetto alla pena prevista e giudicato entro due giorni. In nomina Domini Amen.”

Tempi celeri di giudizio quindi, d’altronde le donne in Sardegna hanno troppo da fare per perder tempo.

 

La nostra giudicessa, è una donna impaziente, saputo della morte del fratello Ugone non aspetta neppure il ritorno del marito Branca Doria e marcia verso Oristano.

”In Sardigna deppeus fai tuttu nosu,”

Afferma Elio Turno Arthemalle in un’opera teatrale in cui impersona un’inedita Eleonora d’Arborea che si affaccia da un improbabile cocchio. Eleonora con lunghe trecce e vistosissimi baffi   così  apostrofa la folla:

 

”In Sardegna dobbiamo fare tutto noi, deppeusu penzai a tuttu nosu ( dice)……chi fessidi po is omminisi femusu tottu sa di in su bar a giocare a biliardino e bere birra Icnusa”

Lo spettacolo semiserio e quasi storico si intitola: ”in principio fu U” di Elio Turno Arthemalle e Vito Biolchini.

 

Bene fece Eleonora che ebbe fretta forse d’essere fermata, la Carta de Logu ebbe lunga vita, in vigore dal 1392 fu soppressa solo nel 1827 dal codice di Carlo Felice, anche se tra spagnoli, austriaci e piemontesi la sua applicazione non penso sia stata del tutto fedele.

In quanto ai bar e alle birrette, fonti certe affermano che l’uso e’ ancora vigente e diffuso in tutta l’isola. Mi sento inoltre di poter affermare che, anche se arrivasse dall’aldilà Pietro il Ceriminoso in persona, verrebbe cordialmente ignorato, a meno che dismessi i suoi privilegi regali si rivelasse un portento a biliardino e magnificamente offrisse a  tutti e un giro di Ichnusa .

 

 

 

 

 

 

 

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