SINISTRA, LAVORI IN CORSO, classi senza lotta, di Domenico De Masi

Le riflessioni di uno dei più importanti sociologi italiani (nella foto). Qualcosa si muove a sinistra. Dopo anni di silenzio in cui i politici si sono rattrappiti nella funzione cadetta di faccendieri, ecco un’improvvisa fioritura di rifondazioni ideologiche. II manifesto ‘le agorà’ di  BETTINI, politico Pd, riconosce che una élite chiusa in se stessa e felicemente globalizzata si contrappone e prevarica una massa maggioritaria, priva di strumenti per farsi valere. Ma non prevede scontri.

 

 

 

Tutti folgorati da Papa Francesco, i leader di sinistra ne mutuano, oltre alla diagnosi e alla terapia, anche lo stile comunicativo, promulgando encicliche: Letta ne ha scritta una per rinverdire il Pd, Conte per rifondare il Movimento 5 Stelle, Bettini per promuovere le Agorà in appoggio al Pd.

 

·Ho già riferito qualche riflessione sui discorsi di Letta e Conte. Oggi mi soffermo su Le agorà. Socialismo e cristianesimo, il manifesto con cui alcuni intellettuali di varia estrazione hanno condiviso con Goffredo Bettini le idee e il perimetro della loro area politico-culturale. Lo farò adoperando, nei limiti del possibile, le stesse parole del manifesto.

 

Il documento, più cristiano che socialista, parte da una disperata diagnosi del mondo, molto simile a quella già denunziata da Papa Francesco in Fratelli tutti: solitudine, disorientamento, relazioni sociali lacerate; regressione dell’essere umano a merce tra le merci.

Travolte tuttele tradizionali forme identitarie, siano esse politiche, sociali o culturali: famiglia, luoghi di culto, piazze comunali, armonia delle città, legame con la madre Terra. Mercato sregolato, fisco delocalizzato, capitalismo senza etica; forza lavoratrice dispersa; latitanza dei partiti; sinistra e riformismo scissi dalle loro radici storiche.

 

Colpevoli di questo disastro cosmico sono la tecnocrazia oligarchica, la mondializzazione, il capitalismo liberista, iper-individualista, possessivo, aggressivo, mobile, finanziarizzato e internazionalizzato, qui preso di petto in forma comunque più blanda di quanto fece Papa Francesco in del 2013.

 

Secondo Le Agorà, il Pd ha giocato tutte le sue carte nella dimensione del governo (“Governo, governo e solo governo”) cavandosela in alcuni casi dignitosamente, in altri bene, in altri molto bene. Tuttavia non è stato all’altezza degli sconvolgimenti, restando incerto nel suo profilo, nel suo radicamento e nell’organizzazione. Blindato nell’isolamento e nell’arroganza, ha coltivato un nuovo, confuso, disincarnato, ripetitivo ideologismo degli ultimi cascami liberisti. Ha trascurato gli immigrati, i giovani, le donne, i lavoratori fuori dai sindacati, i nuovi poveri, gli sfruttati e i perseguitati da vecchie e nuove ingiustizie e disuguaglianze: quelli che Papa Francesco chiama gli scarti della società, cioè gli ultimi, i molti che rimangono uno sciame contraddittorio privo di autocoscienza, esseri umani ai margini, vite di scarto, senza che nessuno ne organizzi gli interessi e ne definisca i contorni.

 

Per fare fronte a questo deserto e a queste macerie, il manifesto auspica che il Pd recuperi il suo popolo – un popolo aspro, disorientato, arrabbiato, sofferente e in parte rassegnato – ricollocandosi nella lotta democratica e trasformandosi in un partito-campo connotato da una sessantina di elementi distintivi: critico, popolare, colto, umile, ambizioso, antifascista, laico, cristiano, pratico, razionale, ideale, progettuale, europeo, socialista, personalista, umano.

Un partito-campo dei diritti, dei doveri, dell’ascolto, delle decisioni, dei bisogni, della giustizia, della libertà, del pluralismo, delle differenze, dell’incontro e del confronto.

Un partito-campo che metta insieme la sinistra divisa e dispersa con il cattolicesimo democratico e con l’arcipelago del volontariato, dell’impegno giovanile civico e antifascista. Un partito-campo che si allei con il Movimento 5 Stelle e con le aggregazioni liberali, modernizzatrici e pragmatiche: prima tra tutte, “Azione” di Carlo Calenda.

 

Alcune obiezioni dopo questo fiume in piena.

Il manifesto ‘Le agorà’ insiste sulla necessità di restare legati alle radici, alla tradizione e rimprovera alla sinistra di aver tagliato qualsiasi riferimento con la sua storia. Ma poi non accenna neppure alla storia del Pd, quasi vergognandosi della sua discendenza diretta da quel Partito comunista di Gramsci e di Berlinguer che ha contribuito in misura determinante non solo all’antifascismo e alla fondazione della Repubblicama anche alle grandi conquiste della democrazia: dallo Statuto dei lavoratori alla riforma sanitaria, dal divorzio all’aborto e al nuovo diritto di famiglia.

 

‘Le agorà’ auspica un partito-campo che, in quanto socialista e cristiano, ridia voce a chi l’ha persa, ai nuovi poveri, agli sfruttati e ai perseguitati da vecchie e nuove ingiustizie e disuguaglianze. Riconosce  che gli interessi sono polarizzati, che la divaricazione tra i “pochi” che comandano e i “molti” che subiscono è cresciuta, che la società è più che mai divisa in due entità che girano a velocità diverse, che abitano luoghi diversi, che frequentano scuole diverse, che si curano in ospedali diversi, che hanno probabilità del tutto diverse di crescita professionale e di qualità della vita.

Riconosce che una élite conchiusa in se stessa e felicemente globalizzata si

contrappone e prevarica una massa maggioritaria, priva di strumenti per farsi valere, incapace perfino di immaginare una vita migliore.

 

Riconosce che il riscatto di questa massa prevaricata esige forme relazionali e interessi organizzati e coscienti, ben definibili nei contorni, ma non osa dire che, per organizzarne gli interessi e definirne i contorni, occorre trasformare i vinti da poltiglia informe di singoli individui svalutati, in classe compatta e antagonista, capace di trasformare l’invidia, il disprezzo, l’umiliazione e la rabbia in lotta progettata, tanto irriducibile quanto legittima.

 

Mentre Warren Buffet, a nome di tutti i vincenti, sfacciatamente riconosce che la lotta di classe esiste, che sono i ricchi a condurla contro i poveri e che la stanno vincendo, il manifesto ‘Le agorà’ non osa pronunziare la parola “classe” e meno che mai “lotta di classe”. Dopo avere mutuato da Papa Francesco la diagnosi del male cosmico che affligge la nostra società, ne fa propria anche la terapia basata sulla buona volontà e sul compromesso.

 

Il manifesto da una parte afferma che il capitalismo non è più riformabile attraverso il compromesso sociale e politico, dall’altra sostiene che, nello scontro distruttivo in atto tra le classi più deboli e subalterne e le classi più forti e di comando, è urgente lavorare con un chiaro conflitto, creare una spinta sociale organizzata, “rimettere in forma politica il conflitto sociale”. Ma con l’espressione “mettere in forma politica”intende depotenziare il conflitto frontale, diluire la durezza della lotta temeraria nell’ambiguità prudente del compromesso cangiante, sempre in bilico tra eguaglianza e libertà.

 

Così, mentre i neo-liberisti procedono per decisioni fulminee e per rapide rivoluzioni (cosa fanno se non rivoluzioni i vari Tim Cook, Jeff Bezos o Bernard Arnault?), il popolo scalcinato di sinistra è indotto a credere che esistono solo rivoluzioni cruente per cui occorre procedere con lentissime riforme e tortuosi compromessi. Sicché, alla fine dei loro mandati, sia l’ispiratore Papa Francesco, sia gli ispirati leader della sinistra, lasceranno un mondo con più derelitti di quanti ne avevano trovati. Scommettiamo?

Da Il Fatto Quotidiano, 4 maggio 2021

 

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