Intervista a Federico Francioni, di Paolo Curreli. Tutte le terzine in cui Dante Alighieri parla dei sardi.

«Aveva curiosità per l’isola, ne conosceva molto bene la storia e la società». (Il prof. Fedeerico Francioni è l’autore del volume DANTE E LA SARDEGNA, invito a una nuova lettura, Ediz. Condaghes, Ca, 2012.

«Dante conosceva bene la Sardegna. Non sappiamo se venne mai nell’isola, anche se il dantista Tommaso Casini in un suo studio del 1913 non l’esclude. Aveva però informatori attendibili, come Marzucco degli Scornigiani, il forte che di fronte alla morte del figlio non invoca vendetta, il giurista citato nel VI canto del Purgatorio».

Così ieri, durante la presentazione del progetto Fai “Divina Sardegna”, Federico Francioni, storico e autore dell’interessante e dettagliato volume “Dante e la Sardegna” (Condaghes), pubblicato cinque anni fa accompagnato da un documentario diretto da Vittorio Sanna.

«Mentre la Sardegna è in evidenza per sette volte nella Commedia – ha sottolineato Francioni -, la Sicilia, regno importantissimo della casata di Svevia, viene citata solo quattro volte».

Dante parla di “Nino gentil”, ovvero di Nino Visconti, giudice di Gallura, e di Currado Malaspina, collocati tra i principi negligenti nel canto VIII del Purgatorio, dove cita la Gallura. E parla dei barrattieri Michele Zanche e frate Gomita nel canto XXII dell’Inferno, dove è citato il “Logodoro”. Due personaggi che usano la politica per arricchirsi, a cui Dante fa pronunciare la frase: «E e a dir di Sardigna le lingue lor non si sentono stanche». «Meravigliosa immagine – dice Francioni – del legame dei sardi con la loro terra». Ci sono poi le altre citazioni geografiche: «l’isola de’ sardi» nel folle viaggio di Ulisse, canto XXVI dell’Inferno; le Bocche di Bonifacio nel XVIII canto del Purgatorio, dove la luna «correa contro ‘l ciel» «tra Sardi e Corsi ». Ci sono poi i versi sull’isola malarica e sulla discussa reputazione delle donne di Barbagia: come se «di Maremma e di Sardigna i mali fossero in una fossa tutti ‘nsembre, tal era quivi, e tal puzzo n’usciva qual suol venir de le marcite membre»; «ché la Barbagia di Sardigna assai nelle femmine sue è più pudica che la Barbagia dov’io la lasciai». Sono versi contenuti rispettivamente nel canto XXIX dell’Inferno e nel canto XXIII del Purgatorio. La Maremma è luogo malarico quanto la Sardegna. Mentre i versi sulle barbaricine servono al fiorentino Forese Donati a criticare i costumi delle donne fiorentine, più sfacciate persino delle sarde. «La Barbagia dov’io la lasciai» è infatti Firenze, dove Forese lasciò «la vevodella mia», ossia la moglie separata da lui da morte precoce.

«L’Aligheri - spiega Francioni – utilizzava modi duri per parlare di ciò che voleva criticare. Pensiamo alle invettive contro Pisa, che Dante avrebbe voluto spazzata via da una inondazione. Molte altre sue considerazioni provengono dal substrato di pregiudizi antichi derivati dalla cultura classica: Marziale, Orazio e Cicerone. Nel “De vulgari eloquentia” Dante parla della diversità linguistica dei sardi, che secondo lui non usavano un volgare elegante e scimmiottavano il latino. Ma non era tenero nemmeno con i volgari usati nel resto della penisola. Giudicava la parlata romana “assai turpe”». (p.cu.)

La Nuova Sardegna, 26 marzo 2021

 

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