Giochi di spie in Sardegna nell’estate 1943, di Carla Cossu

Pubblichiamo un estratto dell’introduzione al libro di Carla Cossu “L’estate delle spie. I servizi segreti americani in Sardegna nel 1943″, appena pubblicato da Condaghes Edizioni.

Questo lavoro nasce dalla necessità di approfondire la conoscenza di alcuni episodi che hanno interessato la Sardegna nel 1943, in un’estate davvero cruciale per le sorti dell’Italia. Si tratta in particolare di due missioni segrete americane organizzate dall’Office of Strategic Services (OSS), i cui report ufficiali desecretati, custoditi negli Archivi di College Park, erano ancora inediti. In questa sede essi vengono presentati e commentati.

Nel corso del secondo conflitto mondiale – e soprattutto nel terribile biennio 1943-1945 – l’Italia fu davvero un covo di spie i cui scopi – a parte l’ovvia necessità di scoprire i segreti del nemico e proteggere i propri – erano molto variegati, e includevano in particolare la propaganda, il sabotaggio, la simulazione e la dissimulazione di piani e progetti militari, l’infiltrazione dietro le linee nemiche.

Lungo tutto il territorio nazionale, isole comprese, oltre alle normali attività di ascolto e sorveglianza, si attivarono e si svolsero innumerevoli “missioni” e operazioni segrete di ogni genere, talvolta accuratamente organizzate, talaltra improvvisate e maldestre, per tacere delle attività diplomatiche, i cui confini con lo spionaggio furono spesso labili e permeabili.

Inglesi, americani, tedeschi, italiani e russi (ma per noi svizzeri e jugoslavi), furono i principali attori di questo scenario, in un intreccio talvolta inestricabile di spie in guerra e di guerra delle spie, le quali, quando pur agivano “dalla stessa parte”, operarono spesso in contrapposizione tra loro, riflettendo i diversi orientamenti, le ambiguità e le rivalità tra Paesi in teoria alleati contro l’Asse.

(…)Quando, dopo fortissimi contrasti, iniziò la Campagna d’Italia, peraltro delineata nel 1942 dall’italo-americano Max Corvo, uomo di punta del neonato Office of Strategic Services, gli inglesi ne rivendicarono la leadership, pur non essendo disposti a fornire gli uomini e i mezzi necessari.

Dal luglio 1943 all’aprile 1945, quella che per gli italiani, già provati dallo strategic bombing, fu una terribile tragedia, divenne per gli Alleati uno scenario secondario, in vista del vero grande attacco a Occidente, lo sbarco in Normandia.

Gli americani si erano spesso dovuti piegare alla volontà degli inglesi, anche in ordine al primo obiettivo territoriale della Campagna d’Italia, la Sicilia, in quel momento il “premio migliore” per gli interessi britannici.

Dunque essi tentarono forse di giocare d’anticipo, con l’operazione Bathtub I – guidata da un antifascista ozierese, Antonio Camboni, emigrato in America – che iniziò il 26 giugno del 1943, e che aveva lo scopo ufficiale di confondere le idee al nemico sui veri obiettivi di un imminente sbarco alleato e di prendere contatto con gli antifascisti sardi per creare una rete resistenziale, come tante volte auspicato da Emilio Lussu.

Tuttavia, anche alla luce di quanto avvenne con la seconda missione (Bathtub II), avviata il 13 settembre, ritengo che si sia trattato di una missione esplorativa in vista di future operazioni, poiché Roosevelt, Corvo e il capo dell’OSS, il generale Donovan, non avevano mai del tutto abbandonato l’idea di uno sbarco in Sardegna.

Di sicuro gli inglesi non fecero nulla per favorire la missione, anzi frapposero grossi ostacoli, rifiutandosi persino di fornire i mezzi navali necessari, costringendo Corvo, come si vedrà, a utilizzare le motosiluranti americane. La soddisfazione di Corvo e di Donovan per quella che egli definisce «la prima missione autonoma dell’OSS contro l’Italia fascista» fu grande.

Dopo l’armistizio, tramontata l’ipotesi di una grande o media operazione per la conquista della Sardegna, gli americani decisero comunque di “prendere al volo” l’isola, e di ottenere la resa delle forze armate in essa dislocate, rimaste intatte (eccezione praticamente unica) a seguito dell’esodo volontario (e quasi totalmente indisturbato) delle truppe tedesche.La Bathtub II fu per certi versi un’operazione rocambolesca e incredibile, che qualcuno potrebbe definire “un’americanata”, perché il suo team era composto da soli quattro uomini che presero contatto con il capo delle Forze armate della Sardegna, il generale Basso, e gli consegnarono messaggi da parte di Eisenhower, di Badoglio e del Re d’Italia, con i quali, ad armistizio avvenuto, gli si imponeva la resa.

Evidente la particolarità della data e degli obiettivi dichiarati della missione, coordinata dal russo-americano Serge Obolensky. Quello che possiamo escludere è che si sia trattato di un’iniziativa personale di Donovan, non avallata dai comandi politici e militari e senza conseguenze importanti, perché essa aprì la strada all’arrivo in massa degli americani nell’isola, con le varie attribuzioni politiche, militari ed economiche, e all’instaurazione di un Alto Commissariato, diretto dal generale sardo Pietro Pinna Parpaglia, coadiuvato da una Giunta, cosa questa del tutto diversa da quanto avvenne nelle altre zone dell’Italia liberate dai nazifascisti e occupate militarmente dagli Alleati.

Dunque anche per la Bathtub II possiamo pensare che gli americani abbiano voluto mettere in chiaro con gli inglesi che non avrebbero accettato altre imposizioni, rimarcando la propria autonomia decisionale in questa specie di “gioco delle isole”, nel corso del quale la Sardegna, grazie all’audacia e all’astuzia di “un team di quattro uomini”, era stata “conquistata”, a differenza della Sicilia, con il miglior rapporto costi-benefici che sia dato immaginare, e senza spargere una goccia di sangue. Probabilmente gli americani vollero dimostrare che non avrebbero permesso agli alleati-rivali di realizzare il progetto di occupare alcuni porti della Sardegna nel dopoguerra, per farne basi utili ai loro commerci e alla loro potenza militare, e che – da quel momento in poi – i rapporti di forza sarebbero cambiati.

La Nuova Sardegna, 1 febbraio 2021

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