Nereide Rudas poetessa: “Sorridente sei entrata”, “Un tempo fu”. La sua generosità intellettuale. Ricordo di Matteo Papoff.

Rubrica curata da Maria Michela Deriu, secondo ciclo.

La sua generosità intellettuale. Ricordo di Matteo Papoff.

Tra gli anni 2009 – 2010, si svolsero gli studi per il superamento degli ospedali giudiziari psichiatrici. La Sardegna faceva capo alla Toscana per quanto riguardava il comitato tecnico. Ovviamente erano coinvolte, in diverse sedi, tutte le regioni italiane e la Sardegna si trovava al tavolo dei lavori con l’Umbria, la Toscan e la Liguria.

L’argomento era delicatissimo, si trattava di sostituire l’istituzione dell’ospedale psichiatrico giudiziario con il suo superamento, l’obiettivo principale era il recupero sociale dei pazienti e, non da ultimo, l’avvicinamento ai nuclei familiari d’origine e la costituzione di nuove Rems (residenza per l’esecuzione di misure di sicurezza).

Per rappresentare la Sardegna erano stati nominati Nereide Rudas, Giampaolo Pintor e Matteo Papoff.

Quello che avvenne durante i lavori non è divulgabile ma una cosa è certa: ”Quando parlava la Professoressa Rudas calava il silenzio, le sue opinioni non solo erano ascoltate ma in qualche modo fece da trait d’union nello svolgimento complessivo dei lavori”, dice Matteo Papoff.

”Ricordo con piacere le passeggiate dopo le riunioni in piazza della Signoria e tra le altre perle di cui Firenze è ricca. Leggeva in chiave junghiana l’immaginario collettivo che aveva prodotto tanta bellezza. Una storica dell’arte inaspettata, una maestra di vita eccezionale. Io lavoravo in carcere come psichiatra.’Il suo commento fu: ”Dev’essere molto interessante lavorare in carcere chissà quanto avrai da imparare”.

Poi come rafforzativo concluse: ”C’e’ sempre da imparare e si impara da tutti”.

Matteo Papoff ha fatto sua questa affermazione, facile da pronunciare, difficilissima da attuare.

Questa massima l’ho sentita, ben argomentata, qualche settimana fa anche da Massimo Recalcati.

Una bella lezione di apertura e di umiltà.

 

Le liriche che vi voglio presentare oggi sono due, molto diverse all’apparenza ma legate nell’essenza.

La prima ha il titolo “Sorridente sei entrata“, dedicata ad Anna Maria e alle altre”libere donne di Monte Claro”.

 

Sorridente sei entrata

 

Sorridente

sei entrata

nella mia casa

Vagamente

hai visitato l’ombra delle stanze.

Lievemente hai ricamato squame d’acqua.

Discretamente

hai pregato

nel mio laico tempio.

Perdutamente

sei ritornata

nella fortezza vuota.

Angosciosamente

mi sono fermata

al cancello totale.

Enigmaticamente

sei diventata

cittadina d’un mondo

senza spazio, né tempo.

Acquiscentemente

rose invernali

officiaron il rito.

Silenziosamente

ti ho sepolto

nell’indifferente terra

della mia “normalità”.

Novembre 1988

 

La seconda lirica, “Un tempo fu” è dedicata a sua madre.

Cito testualmente le righe della postfazione:

“Per vecchia consuetudine ho mantenuto l’abito mentale di apporre note a ciò che scrivo.

Qui, però, le note rischierebbero di rendere paradossalmente il testo ancora meno chiaro.

Questo perché io stessa mi trovo davanti a qualcosa di poco spiegabile.”

 

Neppure io razionalmente mi spiego il collegamento di queste due poesie che, peraltro,

sono contigue in questa raccolta.

 

Le opere d’arte di qualsiasi genere, una volta forgiate dall’artista diventano in parte di chi ne fruisce. Io credo soprattutto nella poesia, la vera lettura e’la risonanza che le parole provocano nel nostro essere.

 

Un tempo fu

 

Un tempo fu

una vaga fanciulla,

uccello strano

d’un pianeta segreto.

Mille antenate

altere e lievi

incorporee abitanti

d’un frammento d’eterno

vissero in lei.

Noncurante vagò

con distratta eleganza

senza lasciare orme

nel lunato giardino.

A lungo non udì

i suoni aspri di vita

al di là del cancello.

L’alto muro

margine ambiguo

fra due mondi divisi,

confine del suo Io

un dì si infranse.

Il fiume degli eventi

Trascinò seco

la goccia riflettente

l’egocentrico sole.

Partì, mi generò,

morì rinacque.

In estatiche forme

d’estranea indifferenza.

Visse fuori

dal senso del suo Mondo.

Amo il suo passo

breve e interciso,

il suo superfluo incedere

quasi danzante

e il modo obliquo

di guardarsi allo specchio.

Solo questo rimase

del perduto giardino.

Rimase in me

quando da lei mi sciolsi.

Quello sguardo indiretto

che cerca aldilà e altrove

mi sospinse lontano.

Cos’è allora

questo volgersi indietro,

questa struggente

nostalgia del nulla?

Novembre 1988

 

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