Antonio Simon Mossa, la passione per il cinema, di Fabio Canessa

“Praxis und kino”, esce il saggio scritto a Firenze dall’architetto sardista sassarese (nella foto) durante gli anni dell’Università e mai pubblicato.

Tutti lo conoscono come grande architetto, basta ricordare tra le tante sue opere il progetto dell’Escala del Cabirol a Capo Caccia con i gradini che portano all’ingresso delle Grotte di Nettuno, e per il suo impegno politico come importante esponente dell’indipendentismo. Però Antonio Simon Mossa è stato anche altro. Un uomo dal talento poliedrico, che si è espresso con valore anche in campo letterario (in particolare con il suo contributo alla poesia in algherese) e giornalistico (nella Sardegna appena liberata dirige la redazione sassarese di Radio Sardegna). E non solo.

Anche se non molti lo sanno, gli anni della sua giovinezza sono stati segnati da una forte passione per la settima arte che lo ha portato a sviluppare delle sceneggiature (tra queste “Vento di terra” per un film ambientato ad Alghero che non verrà mai realizzato), lavorare a Cinecittà come aiuto regista (collabora con Augusto Genina che dirige “Bengasi” premiato a Venezia nel 1942) e impegnarsi nella stesura di un manuale di teoria cinematografica: “Praxis und kino – Prassi e cinema” scritto da Simon Mossa durante la seconda guerra mondiale e mai pubblicato per gli effetti del conflitto.

Dopo quasi ottant’anni questo ambizioso testo ha visto finalmente la luce in un’edizione critica a cura di Andrea Mariani, storico del cinema che ha raccolto e ordinato gli appunti manoscritti dell’autore provenienti dall’Archivio Antonio Simon Mossa del Laboratorio di antropologia visuale Fiorenzo Serra della Cineteca Sarda della Società Umanitaria (documenti donati dal figlio Pietro Simon che racconta con un suo intervento il ritrovamento del materiale nella soffitta della casa di famiglia). Un volume di 190 pagine edito dal Centro Sperimentale di Cinematografia in collaborazione con Società Umanitaria Cineteca Sarda per la collana Bianco e Nero a colori di Rubbettino.

Dopo il diploma al liceo classico Azuni di Sassari, Antonio Simon Mossa nel 1935 inizia la sua carriera universitaria: si iscrive a Giurisprudenza a Pisa prima di trasferirsi, dopo un passaggio a Roma, a Firenze per studiare architettura fino alla laurea nel 1941.

È proprio il periodo dei Cineguf, le sezioni cinematografiche dei Gruppi universitari fascisti nati a metà degli anni Trenta con il deciso processo di istituzionalizzazione della cultura di settore condotta dal regime.

Saranno un luogo di formazione importante per diversi cineasti di successo nel Dopoguerra: da Luigi Comencini a Michelangelo Antonioni. Scrive nella prefazione al libro il noto storico e critico del cinema Gian Piero Brunetta: «La rete dei Cineguf, ideata e promossa da Francesco Pasinetti e capace di connettere in tutta Italia giovani universitari aspiranti critici o registi, appare sempre più come un avamposto, una fucina di sperimentazione cinematografica».

Simon Mossa fa il suo apprendistato nel Cineguf di Firenze. È nella sua stanza universitaria che nel 1939 inizia a scrivere gli appunti di questo particolare approfondimento teorico, fondato sulla prassi, dedicato al cinema. «Passione e condanna della sua vita. Assoluto e incondizionato amore. Non corrisposto» scrive nel suo intervento Alessandra Sento, direttrice della Società Umanitaria di Alghero. Un sogno di gioventù che dopo la guerra, per diversi motivi, progressivamente abbandonerà. La prima parte di “Praxis und kino – Prassi e cinema” si concentra in particolare sulla necessità di un’educazione cinematografica. Interessanti le riflessioni sul cattivo gusto, «il quale si palesa sempre più tiranno tra le folle», che si potrebbero tranquillamente utilizzare anche oggi. Così come suonano decisamente attuali le parole sul problema dell’impreparazione di chi, dai produttori in giù, vuol fare cinema: «Tutte queste lacune saranno col tempo colmate soltanto se tutti coloro che si avvicinano al cinema non da dilettanti, e troppi sono ancora i dilettanti, ma ne fanno una ragione di vita, apprenderanno il mestiere sulle basi concrete di una rigorosa preparazione teorica specifica e una vasta cultura generale».

Nel corpus centrale del manuale Simon Mossa espone il suo pensiero sulla collaborazione nel cinema andando contro il semplice concetto di arte collettiva e ribadendo la supremazia dell’autore, della visione del regista nella creazione filmica. Si focalizza poi sui mezzi espressivi indagando il rapporto tra cinema e arti figurative, soffermandosi sull’utilizzo delle luci e sui diversi tipi di inquadratura. Tra i cineasti citati e più apprezzati ci sono Charlie Chaplin, «Il primo grande artista che si impadronì dei mezzi tecnici e riuscì a realizzare mediante un uso geniale di essi film indimenticabili», Fritz Lang, René Clair, Marcel Carné, Sergei Ejzenstein.

L’analisi si conclude con un capitolo dedicato al ritmo che deve essere già previsto in fase di sceneggiatura, anche se poi un ruolo fondamentale assume il montaggio. È la parte più complessa del manuale, in cui l’autore spiega le differenze tra ritmo esteriore e interiore con argomentazioni in cui trova spazio anche una dimostrazione algebrica. Il testo è accompagnato da una serie di illustrazioni dello stesso Antonio Simon Mossa: disegni che spesso fanno riferimento a famosi film come “Intolerance” di David Wark Griffith, “Alleluja!” di King Vidor o “Verso la vita” di Jean Renoir.

La Nuova Sardegna, 4 gennaio 2021

 

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