MASCHERE DI CARNEVALE E CULTURA SARDA, di Mario Cubeddu


Foto: Sos mamutzones di Samugheo. Maschera muta con il volto annerito, corna grandi su copricapo alto di sughero e sul corpo pelli di capra e campanacci.

 

 

 

 

 

 

 

Recentemente sono apparse nelle manifestazioni folklortistiche la maschere di

Ortueri, Azara, Cheremule, Austis, Samugheo  e Cuglieri.

Scoperta o invenzione? Tradurre o ri-costruire la tradizione? Siamo di fronte a dei falsi?

L’articolo ne mette in forse l’autenticità e ne porta le prove.

Maschere di carnevale e cultura sarda, di Mario Cubeddu

Tra venti giorni sarà di nuovo Carnevale. E siccome la tradizione popolare sarda diventa sempre più prolifica e ricca da quando ha cessato di essere viva,

Maschere di carnevale e cultura sarda

di Mario Cubeddu

 

Tra venti giorni sarà di nuovo Carnevale. E siccome la tradizione popolare sarda diventa sempre più prolifica e ricca da quando ha cessato di essere viva, vedremo sfilare nelle strade dei paesi e delle città sarde qualche nuova maschera carnevalesca. Di un’ultima riscoperta, non ricordo più di quale paese, si parlava all’inizio dell’estate in un quotidiano sardo. La maschera ritrovata riceveva la benedizione di Dolores Turchi, esperta di tradizioni popolari sarde. Anche quest’ultima maschera sembrava trovasse la sua unica attestazione nell’opera poetica di Bonaventura Licheri. Alcune poesie a lui attribuite descrivono le maschere carnevalesche di diversi paesi della Sardegna centrale. Si tratta proprio delle maschere riproposte al pubblico dalle Pro Loco e da associazioni nate per l’occasione in quegli stessi paesi. Ma cosa sono queste poesie e chi ne è l’autore? Nel 2005 veniva pubblicato a spese della Regione sarda un libro che conteneva un centinaio di testi poetici attribuiti a Bonaventura Licheri. La raccolta era curata da Eliano Cau con l’approvazione e il sostegno del Tenore di Neoneli e del suo leader Tonino Cau che firmava la postfazione.

Bonaventura Licheri è noto come uno dei maggiori poeti religiosi sardi. A lui vengono attribuiti da Giovanni Spano e da altri alcune dei testi più belli della poesia religiosa sarda, soprattutto relativi alle sofferenze della Madonna addolorata. Di lui si sapeva solo quello che era stato scritto dal canonico Spano: nato a Neoneli, aveva studiato dai gesuiti, aveva lasciato l’ordine, si era sposato, aveva composto testi di poesia religiosa.                                                                            Al Licheri dedicava poi una pagina in un suo libro Raimondo Bonu che presentava invece dati totalmente diversi. Costui riprendeva notizie leggendarie sul poeta e ne faceva un padre gesuita vissuto nella seconda metà del Settecento. Avrebbe partecipato alle missioni del famoso padre Vassallo, si sarebbe innamorato di una giovane  di un paese vicino chiamata Cipriana Polla, morta prima di lui per consunzione da amore colpevole, sarebbe morto nei primi anni dell’Ottocento. Ho parlato di notizie leggendarie che Raimondo Bonu avrebbe facilmente potuto verificare. Aveva tutta la possibilità di farlo, poiché era un sacerdote che finì la sua carriera ecclesiastica da Monsignore.

Questa verifica è stata fatta da chi scrive in questi ultimi anni e pubblicata da “La Grotta della Vipera” in un piccolo saggio intitolato Poeti ritrovati, poeti inventati. Le tesi da me sostenute confermano in sostanza le notizie fornite dal testimone più antico e autorevole, il canonico Giovanni Spano, e non hanno ricevuto sinora alcuna smentita.

Attraverso la consultazione dei Cinque Libri della Parrocchia di Neoneli e dei registri dei Collegi gesuitici della Sardegna conservati presso la sede centrale della Compagnia a Roma è stato possibile arrivare a notizie certe su Bonaventura Licheri, alla confutazione dei dati leggendari e alla comprensione di come la leggenda si fosse originata.

Bonaventura Licheri era nato a Neoneli nel 1668, aveva studiato dai gesuiti, aveva lasciato la Compagnia senza terminare gli studi, aveva sposato una vicina di casa di nome Cipriana Polla, era stato Ufficiale di Giustizia nel Barigadu, era morto nel 1733. Raimondo Turtas, autore della monumentale Storia della Chiesa in Sardegna, ha studiato le missioni gesuitiche, ritrovando i nomi di tutti i padri sardi compagni del Vassallo. Tra essi non vi è il nome di Bonaventura Licheri e non poteva esserci, visto che non è mai esistito un padre gesuita di questo nome.

Ultimo dettaglio leggendario è quello romantico relativo all’amore peccaminoso e infelice tra il gesuita Bonaventura Licheri e la bellissima Cipriana Polla. Quest’ultima non era altro che la moglie legittima del vero Licheri, non l’amante di un fantomatico padre gesuita di quel nome.

Queste note erudite non avrebbero particolare importanza se nel frattempo non fosse scoppiata la “questione delle maschere”. A partire dalla fine degli anni Novanta sono cominciate a filtrare dei testi poetici attribuiti a Bonaventura Licheri a cui veniva attribuito un carattere rivoluzionario. In essi sarebbe stata contenuta la più antica attestazione delle maschere carnevalesche di alcuni paesi della Sardegna centrale. La prima fu quella di Samugheo.

Nel 2005 usciva la raccolta completa di cui abbiamo parlato. Di cosa si trattava? Il volume pubblicato con il contributo della Regione sarda e della Fondazione Banco di Sardegna conteneva le poesie scritte dal padre gesuita Bonaventura Licheri durante le missioni in cui aveva accompagnato il padre Vassallo. Il Bonaventura Licheri della leggenda non solo tornava in vita, ma proponeva un canzoniere imponente. La raccolta delle poesie pubblicata da Eliano Cau aveva dei caratteri talmente straordinari che avrebbe dovuto subito attirare l’attenzione dei filologi e dei critici letterari sardi. Per la prima volta si aveva un poeta sardo, per di più religioso, che metteva a nudo la propria anima. Le poesie inoltre erano datate, fatto altrettanto straordinario dal momento che la poesia sarda più antica non  solo non è datata, ma è quasi sempre di difficile attribuzione. La lingua e lo stile di questi testi erano lontanissimi da quelli delle opere sinora note di Bonaventura Licheri; riprendevano quasi tutte lo schema elementare delle strofette del Deus ti salvet Maria. Un grande poeta veniva trasformato in un rozzo verseggiatore.

Ma la questione di fondo è evidentemente un’altra: è come trovarsi di fronte alle poesie scritte da un personaggio che non è mai esistito, come se fossimo chiamati a leggere le poesie di Renzo Tramaglino o di Lucia Mondella, i protagonisti de I promessi sposi.

Ma se non è stato Bonaventura Licheri, chi ha scritto le poesie pubblicate in Deus ti salvet Maria? A questa domanda possono rispondere solo Eliano Cau e i componenti del Tenore di Neoneli che conservano gelosamente i testi originali. Noi ci limitiamo ad aggiungere che tra i testi falsamente attribuiti al Licheri ci sono una serie di rozzi componimenti che parlano di maschere di carnevale. Queste improbabili poesie sono state per molti paesi l’unico documento su cui si sono basati per inventarsi maschere di carnevale. Sulla loro presunta “riscoperta” sono stati investite energie e risorse pubbliche. Le maschere sarde sono diventate un affare, si spende in termini organizzativi, si spende per i costumi, si spende per portarle in giro per la Sardegna e per il mondo. Ad esse sono dedicati anche due siti che con maggiore o minore serietà si propongono di farli conoscere all’universo mondo. Possono essere autentiche delle maschere basate unicamente su documenti falsi? Può una tradizione popolare fondarsi sull’invenzione fantastica e sulla leggenda?

Il campo delle tradizioni popolari nella nostra isola è serio e importante. Ci sono studiosi che vi si dedicano con impegno, ci sono istituzioni create per tutelarle e valorizzarle. E’ evidente che il proliferare delle maschere ha suscitato in molti dubbi e perplessità. Eppure non è bastata la rivelazione dell’inesistenza di “quel” Bonaventura Licheri a far prendere posizione a chi avrebbe avuto il dovere di farlo. Il proliferare delle maschere è diventato un fatto scandaloso. Come tante volte ci è accaduto, alla fine uno studioso non sardo mostrerà su un giornale che il re è nudo e tutto il mondo ci riderà dietro.

 

***

NOTA BENE. I testi cui fa riferimento l’articolo riguardano le ‘recenti’ maschere di Ortueri, Azara, Cheremule, Austis, Samugheo e Cuglieri. Chi volesse approfondire il tema può andare in in www.acam.it/maschera_sarda.htm . L’informatore all’origine del recupero di queste maschere sarebbe il padre gesuita (?) Bonaventura Licheri,come riferisce il testo del sito qui sotto riportato. Conseguente il lavoro per ricostruire la maschera di Cuglieri.

Die de suferenzia

passend’in sa marina

dae Santa Caterina

pro sa pigada.

 

Dae Cuglieri s’alzada

sa de’es de rigore,

nie e astraore

e bentu forte.

 

Nd’amus a punt’e morte,

callentura e langore,

e sos pes in dolore

pro su caminu.

 

Su logu marmorinu

paret, est biaitu,

ispintos dae su fritu,

malos momentos.

 

Sos galanos cumbentos

bidimus cun su fumu

ma sos passos che primu

sun ingraidos.

……..

Che semus consumidos

cales martires Santos,

s’intendene sos cantos

faghen cunzertu.

 

Si movet custu chertu,

sos meres de su logu;

brincant a lugh’e fogu

sos Cotzulados.

De peddes tramudados

de igu e de murone,

de craba e de matzone,

biancos che lizos.

Cun d’unu corru in chizos

prsu a pedde crua

e sa carriga sua

denant’e a pala.

Bessin dae dogn’ala

cun cotzulas ligadas,

andan’ a iscutuladas

a mod’issoro.

…..

 

 

Il Mistero della Maschera Sarda

Ricerca alla scoperta di un’antica tradizione

a cura di Antonello Scanu

Introduzione

Soprattutto in questi ultimi tempi, una sempre più attenta politica di interesse nei confronti delle culture locali, ha portato gli appassionati a rivedere la storia dei singoli paesi sotto nuove e più brillanti prospettive.

In questo percorso, in tanti paesi della regione, si inserisce la riesumazione dell’antico carnevale rituale, che costituisce una tappa fondamentale nella comprensione dei significati della complessa religione paleosarda, di cui il carnevale risulta, per l’appunto, una evidentissima icona.

Elidendo qualsiasi giudizio su chi abbia o meno usato ed abusato della tradizione del carnevale, qualsiasi tentativo di riesumare le figure del carnevale cultuale risulta, quindi, lodevole e meritorio.

La scoperta

In questo sforzo immane, a dare man forte ai ricercatori, arrivano i testi del padre gesuita Bonaventura Licheri, che , come in precedenza ad OrtueriAtzara,CheremuleAustisSamugheo, ed in seguito a Mamoiada e ad Ottana, visita Cuglieri verso il 1773 in occasione della festa di S. Antonio Abate (17 gennaio) e descrive la partecipazione delle maschere alla festa nel poema intitolato:

CURULIS   NOVA   SANT’ANTONI   IN   S’HIERRU – 1773

Questo componimento va ad inserirsi, all’interno dell’opera del Licheri, al vasto repertorio delle invettive col quale, in modo non tanto velato, lo stesso autore denuncia la commistione tra le liturgie cattoliche ed i retaggi della cultura pagana.

E lo fa ponendosi a servizio (da quanto si evince dagli scritti) di una fra le più emblematiche figure del 700 sardo: il gesuita Giovan Battista Vassallo. Questo personaggio, piemontese di nascita, si distinse per lo zelo con cui difese le prerogative dei gesuiti all’epoca dello scioglimento dell’ordine, ma soprattutto per l’apostolato che svolse visitando, a piedi, i paesi di mezza Sardegna; motivo per il quale morì in aura  di santità.

Nonostante possano sorgere dubbi sulla posteriorizzazione dello scritto rispetto alla data della supposta visita a Cuglieri, i manoscritti originali del Licheri vennero sottoposti alla disamina del direttore dell’ “Antiquarium arborense” di Oristano, prof. Raimondo Zucca, il quale si pronunciò sulla genuinità degli scritti, permettendo al prof. Eliano Cau la pubblicazione dei testi di padre Bonaventura nel libro “Deus ti salvet Maria”, ed ai membri dell’associazione coro folclore-su cuncordu di cuglieri di porre mano alla ricostruzione della maschera, così come descritto dal testo, presentandola alla cittadinanza cuglieritana durante una conferenza nel febbraio del 2006.

La maschera

Lungi dal voler intavolare lunghe disquisizioni sul tema carnevale=Dioniso-Maimone ?, si decise quindi di lavorare alla ricostruzione sulle idee suggerite dai soggetti evidenziati nella poesia dedicata a Cuglieri.

Le figure descritte dal Licheri presentano alcune caratteristiche che le differenziano da quelle degli altri paesi in modo anche molto marcato.

Diverse sono le pelli utilizzate:

  1. IGU = da “Anniculus”, vitello, o  “Hircus”, caprone,becco
  2. MURONE = muflone o forse anche montone domestico
  3. CRABA = capra
  4. MAZZONE = volpe

Erano poste in ordine scompaginato con una prevalenza di sfumature bianche (…biancos che lizzos = bianchi come gigli). Probabilmente venivano indossate appena squoiate (…presu a pedde crua = legato con pelle cruda).

Ma ciò che più colpisce l’attenzione sono gli altri elementi da cui la maschera risulta corredata:

a)      unu corru in chizzos presu a pedde crua: un corno sulla fronte legato con la pelle cruda

Questa frase risulta particolarmente suggestiva; evoca, infatti, l’immagine dell’unicorno, l’animale sacro per eccellenza, sull’esistenza del quale per secoli, si sono adoperati mitografi e miniaturisti certosini.

In realtà i nostri antichi dovettero aver adottato questo simbolo in quanto, il corno, tradizionalmente, funziona da catalizzatore delle forze cosmogoniche, valore tra l’altro evidenziato in tutti gli strumenti e le strutture a punta usate in ambito magico- religioso; pensiamo per esempio, alle falloforìe, alle piramidi, ai nuraghi, alla mitria dei vescovi, alla tuba delle streghe (riprodotta anche sui bronzetti nuragici), o infine semplicemente al cappuccio del boia.

Si ricorda anche un corno particolare, che nella tradizione cagliaritana prende proprio il nome di “Lincorru”, il Liocorno, ottenuto dall’intaglio di un corno con sette nodi, di muflone o becco.

b)      Bessini dae dogni ala cun cotzulas ligadas : escono da tutte le parti con conchiglie legate

Differentemente dagli altri paesi citati, dove le cariche dei sonagli erano prodotte da scosse di ossa scarnificate (sostituite oggi da campane metalliche), qui il frastuono rituale è prodotto dalla movenza di sonagliere fatte con trecce di conchiglie sistemate sul petto e sul dorso (…a denanti e a palas…), a suggerire, forse, un’antica familiarità dei cuglieritani col mare.

c)      Terra chi paret oro giughene pro caratza: hanno per maschera terra che somiglia all’oro

Il giorno, 17 gennaio, è particolare: rappresenta una data apicale all’interno del sistema di determinazione del calendario solare; e, in questo giorno, la cerimonia dell’accensione del falò diventa il momento culminante.

Forse questi antichi sacerdoti, con i loro gesti, intendevano imbrigliare le forze della natura, trasformandosi essi stessi in ipostasi del sole.

Ed ipostasi del sole sono anche le arance che, da li a tre giorni, vengono donate in occasione di un altro grande falò, quello di San Sebastiano, in occasione del quale si doveva assistere ad una ulteriore partecipazione delle maschere.

O forse, più semplicemente, l’uso di ocra gialla sostituisce la pittura facciale con sangue o carbone in cerimoniali di rigenerazione dalle dinamiche complesse e dai significati purtroppo ancora incogniti. E d’ altronde la tipologia e la varietà delle rocce presenti nelle campagne comprende sicuramente delle varietà di argille derivanti da decomposizione di litotipi ricchi in minerali che conferiscono il particolare colore giallo oro

Confronti

In tutto questo lavoro ben si inseriscono come termini di confronto alcuni spunti derivanti dalle fonti orali.

E questo ha permesso di identificare altri due elementi, verosimilmente assemblabili allo stesso ambito di riferimento dei soggetti del Licheri.

  1. UNA VISIERA, presumibilmente di legno di perastro, con corno frontale, decorata da piccole conchiglie e da una lunga e candida barba a pizzo. E’ corredata da una lunga collana di conchiglie fissata per metà della lunghezza ai lobi laterali della maschera, con due lunghi fermagli di metallo, ed in modo da essere ripartita metà sul petto e metà sul dorso. A questa si aggiunge un collare di pelle con appese alcune “piccaggiolas” (campanelle di metallo)
  1. LA MASCHERATA DELL’ORSO.

Ricordato come “S’Ursu Ballerinu”, questo personaggio vestiva una lunga mastruca bianca d’agnello o di montone. Una maschera nera dal muso pronunciato ricopriva il volto, ed una grossa catena, sostenuta da due “ceffi” vestiti di stracci, veniva fatta scorrere attraverso una grossa anella fissata ad un collare borchiato, allo scopo di trascinare questo personaggio in mezzo alla folla per essere sbeffeggiato e picchiato. Una grossa campana, “unu settinu”, pendeva sul petto

Conclusioni

Nella speranza di essere riuscito ad elaborare delle buone spiegazioni senza invadere il terreno degli etnologi professionisti e, contemporaneamente, di riuscire a comunicare con quanta onestà e passione abbia condotto le mie ricerche, chiudo questo lavoro con la speranza, al più presto,  di arricchire la ricostruzione con nuovi elementi.

 

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    2 Comments to “MASCHERE DI CARNEVALE E CULTURA SARDA, di Mario Cubeddu”

    1. By Mario Cubeddu, 9 gennaio 2012 @ 18:47

      Gentile signor Scanu, lei è una persona cortese e mi sembra maleducato non risponderle, ma io da parte mia ho intenzione di chiudere con quest’intervento la mia parte nel dibattito. Non avrei scritto l’articolo per la Fondazione Sardinia se non continuasse lo scandalo degli “atobios”, le poesie usate come fonte delle maschere. Quelle poesie non le ha scritte il Licheri ma qualcuno pochi anni fa e quindi non possono servire per ricostruire maschere carnevalesche del passato. Quanto a Félix Despine, intendente della Provincia di Cuglieri che ha scritto le sue memorie, “Ricordi di Sardegna”, tradotte e pubblicate a cura di Tonino Loddo nel 2010, quando sono andato a Cuglieri mi sono portato il suo libro per dimostrare che nel Carnevale del 1859 non c’erano Cotzulados, che Cuglieri viveva il Carnevale con balli, canti, ma non c’è traccia di Cotzulados. Io credo che se l’unica fonte di questa cosiddetta maschera è il presunto Licheri qualcuno si è divertito a inventarla. Cuglieri era una cittadina così civile, piena di nobili e di gente colta, per cui sono certo che se i cotzulados fossero esistiti nel Settecento, ma anche nel Seicento, i chierici locali, gli intellettuali, ne avrebbero parlato. Forse è anche possibile verificare dai documenti se il Vassallo è stato veramente a Cuglieri. Certo non c’è mai stato l’inesistente padre gesuita Bonaventura Licheri. Che è stato si un grande poeta, ma non è mai diventato gesuita. Conosco bene il valore del Cuncordu, ma mi pare che non sia propriamente un canto a tenore, e quindi non mi riferivo a Cuglieri. Per finire le dico che mi occupo di queste cose per dovere di verità e, se permette, anche per simpatia e affetto verso i cuglieritani per i quali ho simpatia anche perchè ottimi vicini di casa.
      Mario Cubeddu

    2. By Mario Cubeddu, 4 gennaio 2012 @ 16:17

      Ringrazio il signor Antonello Scanu per l’intervento. Le mail che ci siamo scambiati riguardano la sua richiesta dell’articolo su Bonavantura Licheri, la mia risposta positiva e i suoi ringraziamenti. Tutto qui. So che è in prima fila nella “riscoperta” dei Cotzulados. Nell’articolo che gli ho mandato chiedevo come avesse fatto Il personaggio fasullo del libro, presunto autore delle poesie del libro “Deus ti salvet, Maria”, a essere nello stesso giorno, quello di S. Antoni de s’ierru del 1773, sia a Neoneli che a Cuglieri. So dalle mie ricerche storiche che per arrivare a cavallo da Oristano a Seneghe si impiegavano quattro ore. Impossibile in quel tempo arrivare da un carnevale di Neoneli a quello di Cuglieri nella stessa giornata. Nessuno ha risposto a questa mia osservazione. Ma quando sono arrivato a Cuglieri per la lezione allo scientifico che Antonello Scanu ha la cortesia di ricordare ho capito tutto. Oggi con la macchina si può facilmente assistere ai due carnevali. E si possono scrivere le poesie che attestano l’esistenza del canto a tenore a Neoneli come a Cuglieri. Comunque chi può rispondere alle mie domande non è Antonello Scanu, che infatti non ci tenta neanche.