L’anticiclone africano cambia l’Europa, di Antonello Pasini

Scenari Incendi devastanti in Australia, neve in Arabia Saudita, primule fiorite in Gran Bretagna e in Italia: che cosa sta succedendo al clima? Lo abbiamo chiesto a un fisico del Cnr. C’è una variabilità naturale, come sempre. Ma poi l’uomo…

Incendi devastanti e animali in difficoltà in Australia, immagini di dromedari con la gobba imbiancata di neve in Arabia Saudita, fotografie di rose e primule in fiore in Gran Bretagna e in Italia: di tutto questo si sono «riempiti» i media nelle ultime settimane. Ma, nel contempo, abbiamo ancora davanti agli occhi le immagini del novembre scorso, quando il nostro Paese è stato colpito da disastri notevolissimi per precipitazioni molto violente e a Venezia l’acqua alta ha superato ripetutamente valori estremamente elevati, allagando più volte gran parte della città.

Che cosa sta accadendo al clima della Terra? Si tratta di cambiamenti che sono sempre avvenuti o siamo in presenza di caratteristiche nuove, magari attribuibili a una «perturbazione umana» al clima naturale? Si tratta della riproposizione di condizioni già viste in passato, tipiche di una variabilità naturale del clima, o c’è dell’altro? Ebbene, oggi la scienza del clima dà alcune risposte a queste domande.

Dai dati delle stazioni meteorologiche sparse in tutto il mondo, sappiamo che la temperatura media globale della Terra alla sua superficie è aumentata di circa 1° C nell’ultimo secolo. Il trend degli ultimi decenni è confermato anche da misure satellitari. Siamo dunque in presenza di un riscaldamento globale: dobbiamo preoccuparci? Solitamente ci si preoccupa di situazioni nuove, di quanto non si è già sperimentato. Ma la Terra ha vissuto il passaggio tra ere glaciali e periodi caldi, come mostrano i «carotaggi» di ghiaccio in Antartide, e altri momenti di caldo anomalo ci sono stati negli ultimi duemila anni. Alle elementari non ci insegnavano forse che Annibale aveva attraversato le Alpi con gli elefanti e che la Groenlandia è chiamata così perché nel momento della sua colonizzazione era una terra verde ( Greenland)? E allora?

Ebbene, ci sono alcuni fattori da considerare. In primo luogo, la rapidità del riscaldamento: nel passaggio tra ere glaciali e periodi caldi la temperatura aumentava al massimo di circa 1° C ogni mille anni, ora di 1° C ogni cento anni. Non solo: è in accelerazione. Inoltre, dati per buoni il riscaldamento dell’epoca romana (Annibale) e quello dell’epoca medievale (Groenlandia) — in realtà in entrambi i casi c’è dietro molta leggenda — si trattava comunque di variazioni limitate all’Europa pienamente compatibili con una variabilità naturale del clima, come hanno dimostrato lo svizzero Raphael Neukom e i suoi collaboratori in un articolo su «Nature».

Il riscaldamento attuale, invece, non è locale. Interessa il 98% della superficie terrestre e avviene nello stesso momento dappertutto. Siamo in presenza di un riscaldamento ubiquitario e sincrono che non rientra nella variabilità naturale del clima, ma è pilotato da un influsso esterno anch’esso, ubiquitario e sincrono come quello dell’aumentata concentrazione di CO2 e di altri gas serra. Ma con un riscaldamento globale di 1° C in un secolo, sulle terre emerse — che per ragioni fisiche si riscaldano più rapidamente dei mari — l’aumento è generalmente maggiore: ad esempio, l’Italia nell’ultimo secolo si è riscaldata di circa 2° C: per questa ragione ma anche per un cambiamento di circolazione di cui dirò brevemente in seguito.

Inoltre, abbiamo più evaporazione dei mari e più vapore acqueo in atmosfera. Ma le molecole di vapore acqueo sono i «mattoni» con cui si costruiscono le nubi… Infine, c’è un maggiore trasferimento di calore dal mare all’atmosfera e l’energia intrappolata nell’aria favorisce i fenomeni estremi di precipitazione e di vento: l’atmosfera «scarica» violentemente sul territorio tutta questa energia incamerata in precedenza.

L’estrema rapidità del riscaldamento globale recente, inoltre, significa che molti non riescono ad adattarsi a questo cambiamento, compresi gli ecosistemi e parecchie comunità umane. Insomma, non si tratta solo di sudare un po’ di più; ciò che conta sono gli impatti del riscaldamento sui territori, sugli ecosistemi e sull’uomo. Gli impatti però, anche se il riscaldamento è globale, sono differenziati a seconda di ciò che accade a livello locale nelle diverse regioni del globo. E qui — tutti se ne possono accorgere — si assiste a una maggiore variabilità del clima: an

che se il trend di temperatura è in aumento, ci possono essere anni molto caldi alternati a qualche anno freddo. Allo stesso tempo possiamo assistere a stagioni più secche o più piovose.

Perché tutta questa variabilità?

A livello di singole regioni del mondo il riscaldamento globale e le sue conseguenze vanno a sommarsi con i cambiamenti dovuti alla variabilità naturale del clima. Tutto ciò è molto evidente, ad esempio, in Australia. Qui la presenza di stagioni calde e secche, anziché piovose, dipende da alcuni cicli naturali di cambiamento nelle temperature dell’Oceano Pacifico o dell’Oceano Indiano unite a cambiamenti atmosferici. Il più famoso di questi cicli è quello del Pacifico, che quando è nella sua fase positiva (El Niño) riscalda fortemente un’ampia zona del Pacifico tropicale, portando alluvioni sulle coste sudamericane e grande caldo e siccità in Australia. Ma la situazione australiana delle ultime settimane non è dovuta a El Niño, bensì a una fase del cosiddetto «dipolo» dell’Oceano Indiano che porta anch’essa a variazioni della circolazione atmosferica e a condizioni di caldo e siccità sul continente.

Ma perché le condizioni adesso sono così estreme? Che cosa c’entra il riscaldamento globale se questi fenomeni su specifiche zone del mondo sono pilotati in realtà da cicli naturali? In primo luogo il riscaldamento globale si somma a quello dovuto a questi cicli e fa sì che oggi i periodi di caldo estremo siano caratterizzati da temperature più alte. A questo effetto diretto si aggiunge un effetto indiretto del riscaldamento sulla circolazione atmosferica; per esempio, studi modellistici mostrano come il presentarsi di questa fase del «dipolo» dell’Oceano Indiano aumenti la sua frequenza all’aumentare del riscaldamento globale: più episodi di questo tipo, più riscaldamento e siccità in Australia.

E a casa nostra? Anche nella zona euromediterranea assistiamo a cambiamenti nella circolazione atmosferica come effetto del riscaldamento globale, e questo ha impatti notevoli sugli estremi di caldo e siccità, ma anche sugli eventi di pioggia violenta, o addirittura sul fenomeno dell’acqua alta a Venezia. C’è ovviamente l’effetto diretto della temperatura aumentata di aria e mare, ma alle nostre latitudini si risente anche del fatto che, a causa del riscaldamento globale di origine antropica, la circolazione equatoriale e tropicale si è ampliata verso nord. Sempre più spesso gli anticicloni che un tempo permanevano stabilmente sul deserto del Sahara ora si spingono nel Mediterraneo e talvolta anche a latitudini maggiori. Il buon vecchio anticiclone delle Azzorre (tanto caro al colonnello Bernacca del primo meteo televisivo), che ci proteggeva dalle perturbazioni che transitavano più a nord ma anche dal feroce caldo africano, ha lasciato il posto proprio agli anticicloni africani, che portano temperature ben maggiori e che, quando si ritirano sull’Africa, lasciano campo aperto ad afflussi di aria fredda e a precipitazioni disastrose.

In generale, la circolazione dell’aria, che a queste latitudini avviene tipicamente lungo la direttrice ovest-est, ora presenta forti ondulazioni, con aria che si muove spesso lungo la direttrice nordsud. Così può succedere, come nelle ultime settimane, che mentre l’Europa occidentale è interessata da temperature miti e aria da sud, in Arabia Saudita giunga un freddo flusso settentrionale con precipitazioni nevose.

Anche per i recenti episodi di acqua alta a Venezia c’è un effetto diretto del cambiamento climatico, con l’innalzamento del livello assoluto del mare di 15 centimetri nell’ultimo secolo a causa della dilatazione termica delle acque e della fusione dei ghiacci, cui va ad aggiungersi un abbassamento della costa (dovuto ad effetti sia naturali che antropici) di altri 20 centimetri. Ma c’è anche un effetto indiretto: sono aumentate le circolazioni di scirocco che «spingono» l’acqua dal Basso Adriatico verso la laguna veneziana.

Insomma, in tutti questi fenomeni c’è lo zampino del riscaldamento globale: oggi la scienza del clima lo riconosce in maniera evidente. Se vogliamo che questi eventi estremi non aumentino, dovremo mettere mano seriamente al problema climatico.

LA LETTURA, 24 GENNAIO 2020

 

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    1 Comment to “L’anticiclone africano cambia l’Europa, di Antonello Pasini”

    1. By Mario Pudhu, 22 dicembre 2020 @ 10:49

      “Problema climatico”… àter’e che “problema” e própriu nostru!!! Nollu narat “tziu Corona Virus”: Abbellu! Abbellu! Calmaisí!!! Abbacade sas curreras macas, agabbàdela cun su machine de consumare che idròvoras “di tutto, di troppo e di più”, agabbàdela de furriare totugantu a immondezza, agabbàdela de fàghere armamentos chi mancu a su dimóniu benint a conca, agabbàdela cun sas “seconde” e “triple case” coment’e chi tenzedas sa ubiquità, agabbàdela de cossumare pro sete! Àter’e che “turismo di massa” e “eventi” cun “adunate oceaniche”: seus mandendi totu su mundhu a sa bassa!
      Podimus istare trancuillos solu si própriu nos cherimus ‘imbassare’, o mancari assuprire innantis a bídere su paradisu extraterrestre.