Spiritualità, oggi più che mai, di Dafni Ruscetta

Questa pandemia è uno tsunami, cambierà molte cose, in parte lo ha già fatto. Cambierà le abitudini, le priorità, il nostro modo di stare al mondo, persino di concepire i fatti umani e le connessioni tra settori disciplinari trasversali: anche la scienza, l’economia, il diritto, la politica e i giochi di potere, saranno impostati in una nuova direzione, forse in una prospettiva meno assoluta.
Alcuni mesi fa non lo avrei detto, ma oggi è inevitabile constatare che quanto sta accadendo sia peggio di un guerra. La guerra la puoi fermare, solitamente conosci il nemico da combattere, ma contro un virus ancora sconosciuto non hai margini di manovra. Certo, puoi adottare misure straordinarie per arginarlo limitando le libertà, puoi imparare a conviverci, puoi insegnare alle persone come starne alla larga il più possibile, ma il rischio di ammalarsi gravemente è reale per tutti, nessuno escluso.
È indubbiamente un periodo doloroso e sono comprensibili la paura, la preoccupazione, ogni singolo dramma personale e, in momenti come questo, è facile farsi prendere dallo sconforto, farsi trovare impreparati da un punto di vista emotivo. Le parole non bastano a rappresentare la realtà di avvenimenti tragici personali o familiari, tuttavia credo che valga adesso la pena provare a resistere emotivamente, a non farsi travolgere dalla brutalità di un evento naturale e imprevedibile, ma nemmeno dalla fragilità del nostro essere umani, inconsapevoli e impreparati a simili catastrofi, moralmente e spiritualmente vuoti, in un’era per troppo tempo dominata da una fede incrollabile nel denaro e nel positivismo.
La filosofia e la spiritualità sono strumenti utili in situazioni comprensibili solo all’animo umano, sappiamo di non essere eterni, immortali (almeno nella nostra componente fisica), ma è come se ignorassimo questa verità, come se la paura di morire ci impedisse di vivere con pienezza anche quest’attimo. Allora ci tocca interpretare diversamente la realtà, i cui meccanismi vanno al di là della sola esperienza sensibile, dovremmo privilegiare una prospettiva universale, metafisica, ricercare l’essere nella sua interezza, nella sua parte immutabile, eterna, anzitutto perché ci aiuterebbe ad affrontare la paura. Bisogna pensare che l’empatia e la gentilezza torneranno a imporsi come modalità di relazione dominante, perché è questa la forma più elevata dell’essere umano. Lo stare insieme, la cura e l’attenzione verso i più fragili, la compassione, un senso di solidarietà e di giustizia per gli oppressi.
Ma un’altra speranza, intimamente connessa alla precedente, in questo periodo nutre il mio cuore smarrito: il bisogno impellente di bellezza in senso assoluto, in tutte le sue forme, perché una cosa quando è bella la riconosci, non ci sono filtri, non è mediata culturalmente. È la bellezza che genera euforia, compassione, amore, gentilezza, empatia, giustizia, di cui parlavamo poc’anzi. L’amico filosofo Paolo Bartolini riesce a dirlo in una forma più poetica: «c’è un grande, mai sconfitto bisogno di bellezza che traluce nelle vite assurde che facciamo e le innalza al di sopra della sopravvivenza. Educare alla bellezza non vuol dire solo affinare un’estetica, ma coltivare un’etica, uno sguardo, un modo nuovo di sfiorare ciò che può essere solo custodito e mai posseduto». Smettiamola, allora, di lamentarci di ogni cosa, di auto commiserarci, se abbiamo qualcosa di bello da raccontare, da dimostrare, da esprimere, da assaporare, non aspettiamo altro tempo, il tempo è adesso, qui e ora.

L’Unione Sarda, 5 dicembre 2020

 

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