A 66 anni senza lavoro in fila per pane e pasta, di Luca Fiori

Carpentiere con trent’anni di esperienza, da otto non ha più un contratto. La prima volta in fila per il cibo è stata dura: «Poi la fame fa passare la vergogna».

SASSARI«La prima volta che mi sono messo in fila mi vergognavo da morire. All’inizio mi camuffavo per non farmi riconoscere, tenevo la testa bassa e non parlavo con nessuno. Poi ci ho fatto l’abitudine. La fame ti toglie ogni pensiero e ti fa passare anche la vergogna». La fila è quella per il sacchetto di generi alimentari che da quindici anni a questa parte la Casa della fraterna solidarietà distribuisce ogni mattina nella sede di corso Margherita di Savoia a chiunque bussi al cancello e tenda la mano. A nessuno viene chiesto chi sei o quanti soldi hai dichiarato l’anno precedente.Ad aver vinto la vergogna, non avendo alternative, è un uomo di 66 anni, un sassarese che per 32 ha fatto il carpentiere e dal 2012 si è ritrovato da un giorno all’altro senza lavoro. Una moglie e tre figli, di cui due ancora a casa, l’operaio non ha più trovato occupazione nei cantieri edili e con il passare del tempo anche strappare un contratto di poche settimane è stato sempre più complicato. «Quando ti presenti a un’impresa alla mia età – spiega il 66enne – della tua esperienza e competenza non interessa a nessuno. Ti guardano storto e ti dicono che sei troppo grande e che per te non c’è posto». Così, quando diventa difficile anche fare qualche lavoretto in nero, ma le spese familiari devono essere comunque pagate tutti i mesi, può capitare di ritrovarsi una mattina a dover mettere da parte il pudore e attendere in mezzo a tante altre anime disperate il proprio turno per ricevere tra le mani un sacchetto che risolverà il pranzo di tutta la famiglia.«Non avevo alternative – spiega il carpentiere – ma ora ci ho fatto l’abitudine. Mi sento ancora giovane e vorrei lavorare, ma senza questo aiuto quotidiano non so proprio come farei».Durante il lockdown, quando la crisi è andata a bussare anche a indirizzi fino a quel momento sconosciuti, il numero degli aiuti quotidiani in città è quasi raddoppiato. Nei mesi in cui in tanti sono rimasti improvvisamente senza occupazione si è passati da 250 e 400 sacchetti distribuiti ogni mattina.Da quel momento per evitare assembramenti il lungo serpentone umano che attendeva ammassato l’apertura del cancello della onlus fondata da Aldo Meloni è sparito. La consegna del cibo e di alcuni generi di prima necessità ora avviene dalle 7.30 alle 9.30 del mattino. Chi ha bisogno in questo modo evita anche l’imbarazzo e in pochi secondi va via con il pranzo. «Io lavoravo nei cantieri – racconta il 66enne – e stavo bene e infatti sono riuscito fortunatamente a comprare la casa in cui vivo. L’ultimo contratto l’ho avuto con l’impresa che ha realizzato il carcere di Bancali – prosegue – poi nel 2012 quando l’opera è stata completata mi hanno mandato a casa e da quel momento è iniziato il dramma». Prima di arrivare a tendere la mano il carpentiere ha provato in tutti i modi a rientrare nel mondo del lavoro, ma ho trovato solo porte chiuse.«Alla fine ho dovuto chiedere aiuto – ammette – e quando le prime volte mi sono ritrovato in mezzo a tante persone disperate mi chiedevo cosa ci facessi e perché fossi finito a dover ricevere l’elemosina. Poi ho iniziato a conoscere le storie degli altri e ho visto che quello che è capitato a me può succedere a chiunque. Tra un anno spero di poter presentare la domanda per la pensione – conclude il 66enne – sarà piccola, ma forse mi consentirà di non dover più chiedere aiuto».

La Nuova Sardegna, 20 novembre 2020

 

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