LA SARDEGNA MI HA CURATO. Intervista a Gian Paolo Cuccuru (QQru)

La Sardegna mi ha curato, come sempre, e mi è dispiaciuto poi vederla attaccata, come se avesse infettato tutta l’Italia, perché c’è una divisione enorme tra la Costa Smeralda, la sua economia, e il resto della Sardegna». Parla il sardo del gruppo rock Zen Cyrcus, in arte Karim QQru.


Sembra che il 2019 sia stato l’anno dei Zen Circus, ma forse il bello, girata la boa dei vent’anni, dopo il disco della consacrazione, “Il fuoco in una stanza“, la partecipazione a Sanremo, la raccolta “Vivi si Muore – 1999-2019″ e l’anti-biografia “Andate tutti a…”, deve ancora arrivare. “L’ultima casa accogliente”, l’album, con cui il cantante e chitarrista Appino, il bassista Ufo e il batterista algherese Karim Qqru tornano sulle scene, conferma lo stato di grazia della formazione rock pisana. In nove tracce, tra cui i singoli “Appesi alla Luna” e “Catrame”, incentrate sul concept del corpo e scritte prima della pandemia, ma che dalla pandemia hanno acquistato una prospettiva stupefacente, la band ha confezionato il disco più introspettivo e musicalmente libero della sua carriera. «Ci siamo chiusi in studio per due settimane e abbiamo fatto la parte di pre-produzione più grossa di sempre, come se sapessimo che di lì a poco tutto si sarebbe bloccato. Per registrare dovevamo andare in Texas a marzo, ma è saltato tutto e nei mesi di lockdown c’è stata una riflessione giornaliera su ogni brano», ci ha raccontato Karim. «Questo è un disco a briglie sciolte, ma anche l’album più di gruppo degli Zen, l’empatia assoluta che abbiamo oggi ha funzionato anche a distanza».
Tra una session e l’altra è riuscito a tornare in Sardegna?
«Ho passato l’estate tra Alghero e S’Archittu ed è stato bellissimo, perché l’ho trascorsa con mio figlio Tommaso, dopo anni in cui ero in tour o in studio. La Sardegna mi ha curato, come sempre, e mi è dispiaciuto poi vederla attaccata, come se avesse infettato tutta l’Italia, perché c’è una divisione enorme tra la Costa Smeralda, la sua economia, e il resto della Sardegna».
So che quando è qui studia su una batteria un po’ particolare…
«Ormai è una costante! Non posso sempre portarmi dietro la batteria, ma studio ogni giorno, quindi lo faccio sui pad o sulla mia batteria alternativa, composta da una preziosissima cerata vecchia di decenni, le mattonelle come pedali, un pentolino e la prima pagina di un numero de L’Unione Sarda del 2015. Vi leggo quando sono in Sardegna».
Felici di fare parte del suo processo creativo! Parliamo dell’album: il tema del corpo come rifugio o prigione è attuale sotto molti aspetti, cosa vi ci ha condotti?
«Il padre di Andrea Appino si è ammalato di cancro e gli è mancata per cancro anche un’altra persona cara. Non aveva mai vissuto un dramma del genere, ma come sempre è riuscito a usare quello che gli succede intorno per analizzare se stesso e buttarlo nella parte testuale. Poi è successa una cosa assurda: questo disco, pensato prima del Covid, è diventato ancora più attuale, perché è arrivata la morte nella vita di tante persone e c’è anche un clima di repressione, che nel mondo occidentale non esisteva da anni. Il tema del corpo ha anche un’accezione positiva nel disco, ma credo che ci siamo resi tutti conto della caducità della vita».
Il disco sembra suggerire varie sfaccettature dell’equazione morte-libertà. È così?
«Io vengo da una famiglia cattolica, ma mi rendo conto che nella nostra società tutte le riflessioni attorno a quell’equazione sono appannaggio della fede, mentre questa è una riflessione che tutti dobbiamo affrontare. Il nostro corpo è l’unica cosa che veramente possediamo e il tema morte-libertà apre molte riflessioni: quella della libertà di morire e della libertà che ti dà accettare la morte. Nel disco ci sono tutte, perché fanno parte degli Zen, in modo molto ironico parliamo costantemente di morte, e perché crescendo si guardano le cose da un punto di vista diverso. Credo ci sia una grande presa di coscienza del concetto di morte e il fatto che sia avvenuto in questo momento storico è assurdo».
Cinzia Meroni

In L’UNIONE SARDA, 25 NOVEMBRE 2020

 

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