I 50 anni di Ottana, di Paolo Merlini

Una ferrovia nei piani dell’Eni ma la Regione sarda si oppose.

C’erano settemila persone al lavoro nella piana del Tirso dal 1970, anno della prima pietra dell’industria chimica, al 1974, quando gli impianti entrarono in produzione. Ottana aveva appena duemila abitanti, era un paese che viveva a stento di pastorizia e agricoltura ed era soggetto come tutta la Barbagia a una forte emigrazione. Lo ricorda il primo sindaco dell’era industriale, l’avvocato Mario Lai, in carica per due mandati dal 1970 al 1980. «Il 12 giugno firmai davanti al prefetto, il 3 luglio ci fu il primo colpo di ruspa per la costruzione dello stabilimento. Io ero il sindaco di un paese senza fogne né rete idrica, senza infrastrutture. Mi trovai a fronteggiare l’arrivo di settemila persone delle imprese più varie giunte in Barbagia per costruire lo stabilimento». Fu una rivoluzione, a cominciare da un primo dato essenziale: dove alloggiarli? «A Ottana non c’erano alberghi, così cominciò la corsa alla ristrutturazione degli alloggi, molti soggiornarono nei paesi vicini, i dirigenti negli alberghi a Nuoro». Fu un piccolo terremoto dagli effetti positivi: i bar vennero presi d’assalto, si aprirono i primi ristoranti. In seguito vennero realizzati nuovi alloggi e un albergo. «Ma gli effetti furono ben altri sull’intero tessuto sociale – ricorda Lai -. A posteriori la mia analisi è fortemente critica, ma all’epoca Ottana era un paese in costante spopolamento, i giovani emigravano perché non c’era lavoro: in quel momento io come tanti vidi nell’industrializzazione l’unico strumento di salvezza per il nostro territorio. Fu un evento straordinario, anche traumatico se vogliamo, che però assicurò la sopravvivenza dei nostri paesi». La criminalità. L’industria peraltro era vista come la strada maestra per contrastare la criminalità dilagante (dal 1966 al 1970 in Sardegna ci furono 36 sequestri di persona). A questa conclusione giunse la commissione parlamentare di inchiesta sui fatti della criminalità in Sardegna, meglio nota come commissione Medici dal nome del suo presidente, istituita nel 1969. Nella relazione finale, che arrivò nel 1972, lo sviluppo industriale venne indicato come possibile argine al fenomeno dei sequestri che avevano fondamenta e complicità nel mondo agropastorale più arcaico. «È indubitabile che la miseria alimentasse la manovalanza di quei gesti criminali», dice Mario Lai, che dopo la parentesi politica giovanile tornò a tempo pieno alla professione di avvocato ed è ancora oggi uno dei più illustri penalisti dell’isola.

Democristiano, e come l’avvocato Lai della corrente Forze Nuove (la sinistra del partito), è stato Virgilio Mascia, primo direttore del Consorzio industriale della Sardegna centrale, che ha guidato dal 1973 sino al 1990. Avvocato anche lui, ha dunque vissuto la parabola industriale dall’inizio alla fine, o quantomeno al suo declino. «È evidente che Ottana nacque come argine al banditismo, come ben sottolineò appunto la commissione Medici». Erano gli anni in cui la chimica imperava nel panorama industriale, ma ciò non toglie che Ottana non dovesse ricoprire un ruolo importante nello scena nazionale, specializzandosi nella produzione di fibre sintetiche. «Ma l’Eni, che diede vita allo stabilimento, chiese precise garanzie per la riuscita delle fabbrica – continua Virgilio Mascia – che furono puntualmente disattese. La prima era la realizzazione di un oleodotto che portasse la materia prima da Oristano, dove arrivavano le navi dell’ente nazionale idrocarburi, sino alla piana di Ottana».I fondi c’erano. «La seconda condizione – continua Mascia – era l’arrivo delle ferrovie dello Stato in questa parte della Barbagia, per poter trasferire il prodotto industriale al porto di Golfo Aranci, e da lì ai mercati nazionali ed esteri. L’ipotesi dunque era costruire un tratto ferroviario da Abbasanta sino alla Gallura. La Cassa per il Mezzogiorno era già pronta a finanziare l’opera, anche sulla scia delle conclusioni della commissione Medici. Purtroppo questa proposta trovò la ferma opposizione delle Ferrovie complementari sarde, che avevano il loro epicentro a Macomer, e non si fece niente, anche perché la Regione sarda se ne disinteressò completamente. Non partecipò neppure alle riunioni a Roma. La mancata realizzazione della ferrovia fece cadere anche il progetto dell’oleodotto. Questo fu il primo di una serie di errori che portarono alla fine di Ottana.

La Nuova Sardegna, 5 settembre 2020

 

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