Che guaio Grazia Deledda, scrittrice pettegola e astiosa», di Antonio Rojch

Pubblichiamo un brano dal libro di Antonio Rojch “Attilio Deffenu, un genio spezzato”, in uscita in questi giorni.

Un volto tracciato da un carboncino, lo sguardo sinistro, torvo e scuro, il mento appuntito, le sopracciglia folte e unite, i denti sporgenti: una Deledda improbabile, dipinta sulla tavolozza del pittore romano Cesare Annibale Musacchio. Una caricatura del futuro Premio Nobel, ordinata da Attilio Deffenu per il primo numero della rivista “Sardegna”, nel 1914. Quando la scrittrice, colpita nella sua vanità, riceve la bozza del disegno va su tutte le furie, e minaccia rappresaglie nei confronti del giovane intellettuale nuorese.

I rapporti fra Attilio Deffenu e Grazia restano a lungo tesi, e solo alla fine di un aspro conflitto ci sarà la riconciliazione. In una lettera, del 31 gennaio del 1914, inviata allo scrittore e poeta Francesco Cucca, emigrato in Africa, Deffenu parla della rivista e spiega che non ha importanza se «non vi è nulla di Grazia Deledda nel primo fascicolo». «Queste sono piacevolezze – scrive Deffenu -. Dammi denari e ti farò una rivista sarda che non pubblicherà un rigo né della Deledda né di Salvatore Farina né di Orano». Poi aggiunge: «Non c’è mancata dal coro che la Deledda, la quale tu sai quanto sia stata sollecitata in vari modi e allettata anche con proposte di compenso. Qui mi dicono che abbia un contratto col Corriere per l’esclusività della sua produzione novellistica. Non posso controllare la voce, ma lo saprò fra breve con assoluta certezza».

Il direttore Ugo Imperatori, contestato da Deffenu anche per la gestione finanziaria poco limpida, lascia l’incarico. Ed è Deffenu ad assumere la direzione. In un’altra lettera a Cucca, del 3 febbraio del 1914, scrive che il giornalista Rinaldo Caddeo gli ha assicurato che Grazia Deledda non ha firmato alcun contratto col Corriere, «ma è perfettamente d’accordo con noi nel giudizio aspro sulla grettezza, lo spirito commercialistico della nostra illustre concittadina». «Se la supplicherai ancora per il sospirato scritto e ci riuscirai sarà un miracolo e io te ne sarò gratissimo». Deffenu, il 25 febbraio, scrive ancora a Chicchinu: «Vedi le bozze dei disegni di Delitala: bramo sentirti soddisfatto, con convinzione. La Deledda di Musacchio è venuta ottimamente. Tutti i disegni sono stati riprodotti con rara perfezione».

Prima della pubblicazione Deffenu invia alla Deledda bozze e disegni, tra cui la caricatura, che accende le polveri. Deffenu, che finisce nel mirino della scrittrice, scrive a Cucca: «Volevo renderti conto di un pasticcio in cui ci troviamo impegolati. La nostra grande Deledda è andata su tutte le furie per il famoso Musacchio. Minaccia, come vedi dalla lettera di mio fratello Alfredo, tutti i fulmini dei suoi sdegni, da provinciale pettegola e astiosa. I suoi contorcimenti mi lasciano indifferente. E io sono per la pubblicazione della caricatura. Se cominciamo con queste passive remissività, dove andremo a finire?». Ma la Deledda, a muso duro, manderà un messaggio a Deffenu: «Se non strappate la caricatura, non avrete la mia collaborazione, neppure in futuro. Quella caricatura è un obbrobrio».

Il pittore Musacchio, illustratore del Giornale d’Italia, ironico e sarcastico, col suo carboncino aveva devastato i tratti del volto della scrittrice. Ma Attilio cerca di salvare i rapporti con la narratrice, che da poco aveva pubblicato il romanzo “Canne al vento”, e in una lettera al fratello Alfredo sostiene che «in massima parte non è contrario ad aderire alla richiesta della Deledda», anche se la definisce ancora «una pettegola donnicciola provinciale che non sa rendersi superiore a certe miserie e vanità».

Ed è ancora incerto il direttore di “Sardegna”. «Le minacce di rappresaglia e di boicottaggio o di altro dovrebbero logicamente sortire un effetto diametralmente opposto a quel che essa si ripromette. E non ti dico degli appelli che fa il Frongia al nostro gentilomismo: appelli assolutamente fuori luogo. Se non pubblicheremo la caricatura del Musacchio, lo faremo esclusivamente nella speranza che la Deledda smetta le odiose preconcette ostilità che ha finora dimostrato verso di noi e si decida, fuori da ogni procedere gesuitico e anguillesco, a coadiuvarci. Va sans dir che, in tutti i casi terremo l’esecrato temuto cliché come arma di riserva che sfodereremo inesorabilmente per il terzo fascicolo nel caso che le buone intenzioni della Deledda non si rivelino subito in modo efficace e tangibile».

Un braccio di ferro che continua fra la scrittrice e l’intellettuale, quasi un duello all’arma bianca. Attilio Deffenu scrive ancora a Chicchinu che in redazione non è pervenuto alcun articolo di Grazia Deledda. «A quel che se ne può giudicare, lei intende ripagare la nostra lealtà e la nostra condiscendenza con un atto di assoluta slealtà e di ributtante disprezzo, vedrò di compensarla con la moneta che le compete: pubblicando in cartolina illustrata la caricatura del Musacchio e diffondendola in tutto l’orbe terracqueo».

È quasi un diario quotidiano il carteggio con Francesco Cucca. L’affaire Deledda sembra una matassa inestricabile. «Un pasticcio che ancora non è stato liquidato. Io non sono molto preoccupato, ho spedito a Imperatori il famoso cliché (il cliché del contestato disegno – ndr). Ora vedremo la decisione della simpatica Grazia e agiremo in conseguenza. Certo, se fosse dipeso da me, gli indugi sarebbero a quest’ora già rotti e con essi le nostre trattative con la scrittrice. È evidente che essa intende giocarci: ma è certo che dovrà pentirsene assai amaramente. Noi la uccideremo a colpi di spillo! Tu Scrivi a Orano che ci dia un cosa per il fascicolo prossimo e che tenga presente la stroncatura deleddiana. Per la Deledda Orano è del parere di non compiacere le sue vanità, di fare il nostro dovere, avvenga quel che può».

L’11 aprile 1914 Attilio si rivolge al fratello Luigi: «Carissimo, te ne supplico: aiutami in questo momento. Vedi la Deledda, cerca di avere lo scritto. Alla Deledda farai intendere che Imperatori è ormai tagliato fuori dalla nostra iniziativa. Dopo la cortesia che le abbiamo usato non dovrebbe rifiutarsi». E qualche giorno dopo al fratello Alfredo: «Attendo con impazienza la prosa della Deledda. Non temere, non mi abbandonerò ad atti inconsulti». Tra Attilio e Ugo Imperatori, che ha diretto il primo numero della rivista, è rottura completa. L’intellettuale nuorese gli chiede «di rendere conto della sua gestione finanziaria» e lo definisce «un uomo avvolto di ombre», invitandolo a non trattare più con nessuno «gli interessi che riguardano la rivista». Imperatori risponde a Deffenu e gli «manda 50 franchi di qualche inserzione e abbonamento».

Imperatori, dopo aver consegnato il cliché e il disegno a Grazia Deledda, diffonde la notizia della caricatura negli ambienti culturali romani, «facendone un oggetto di scherno e derisione». La Deledda si indigna ancora una volta, per una vicenda che assume toni grotteschi, e non intende più collaborare con la Rivista. «Ma ora che Grazia – così Deffenu scrive ad Alfredo – ha saputo della fine dei nostri rapporti con Imperatori, pare disposta. E’ bene che tu le scriva che Imperatori non ha più a che fare con “Sardegna” e che non vi è più ragione o pretesto che la possano indurre a non mantenere la promessa, dopo che da noi fu favorita in modo che, se il retroscena si conoscesse, sarebbe molto umiliante». Deledda ritiene chiusa la vicenda e invia un capitolo, intitolato “Luci della notte”, del suo ultimo romanzo “Marianna Sirca” , che sarà stampato dalla Treves. In una lettera a Massimo Orano (21 giugno 1914) Deffenu scrive che la Deledda in quest’opera rivela un’arte che raggiunge «le vette della più alta drammaticità» e considera il brano «un dono delicato e prezioso».

La Nuova Sardegna 11 ottobre 2020.

 

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