Torrànci in su c…u, di Marco Piras

Nella foto: il pozzo sacro di Santa Cristina di Paulilatino, visto dall’alto. ( N. d. R.: i puntini nel titolo rappresentano l’unico intervento della Redazione).


Premetto che, data la marginale rilevanza del dato fonetico e la pressoché generale familiarità dei sardi con l’espressione di cui si parla, rinuncio alla trascrizione in caratteri fonetici. La traslitterazione nell’alfabeto fonetico italiano cerca di riprodurre quella che è la forma del Sardo campidanese del Sulcis.

 

Torrànci in su cunnu o torradinci in su cunnu. E’ il peggiore insulto che si possa fare a un sardo e in sardo. Letteralmente significa “Torna nella vagina” o “Tornatene dentro la vagina”, intendendo “in quella di tua madre che ti ha partorito”. E, infatti, si ritrova anche la forma intera Torrànci in su cunnu e mamma tua “torna nella vagina di tua madre”. Più esplicitamente si sente anche Torrànci in su cunnu chi ti nd’ari scavuàu a fòrasa “Tornatene nella vagina che ti ha scaraventato fuori (al mondo)”, o addirittura torrànci de abùi ndi se’ bessìu “Tornatene là da dove sei uscito”. E numerose altre varianti.

In altro modo è da interpretarsi il vario e ricco inventario di invettive con la parola cunnu: cunn ‘e mamma tua, cunn ‘e iaia tua, cunn ‘e tzia tua, cunn ‘e Giudasa, cunn ‘e Pio nòno, cunn ‘e Gesugristu, cunn e Maumètu. In questi esempi è sottesa la maledizione “(maledetto) il ventre di tua madre (che ti ha generato)”, “maledetto il ventre di tua nonna che ha generato tua madre, o tuo padre, i quali a loro volta ti hanno generato”, “maledetto il ventre di tua zia” (“che certamente avrà generato altri della tua genìa “).

Che la maledizione sia da intendersi così lo confermano le forme estese cunn ‘e mamma tua chi t ‘a fattu, cunnu chi t’adi ingeneràu, dove si esplicita, appunto, la maledizione al ventre “che ti ha generato”. Né è difficile ricondurre le maledizioni a Giuda, a Pio IX a Gesucristo, a Maometto al senso “Maledetto il ventre che ha generato…” volta per volta Pio IX, Gesù Cristo, Giuda. ecc”.

 

Come cercheremo di dimostrare, anche con l’aiuto dell’archeologia, il terribile invito del ritorno nel ventre materno è un augurio di morte, ma, attenzione, non è un augurio di non essere mai nato, ma l’augurio proprio di addivenire da parte del destinatario dell’invettiva, alla morte, e anzitempo. Si sa quanto sia comune in bambini fino ai quattro cinque anni, il desiderio, in certi periodi di stress, di stanchezza, di insicurezza, il desiderio di non volere crescere, il desiderio di tornare a uno stato di assoluta protezione quale è quello che solo il ventre materno offre, ma in uno stato da vivi. Il che, in certi casi fa pensare che il bambino abbia un qualche ricordo della felice protezione, del calore del ventre materno. Più di una donna ci ha raccontato di come il proprio bambino chiedesse di “ritornare nella pancia”. Quindi non è questo che si augura con Torrànci in su cunnu.

Per convincerci dell’altra valenza – l’augurio di morte – dobbiamo fare ricorso, come dicevamo, all’archeologia.

Oltre alle spirali, nei numerosi monumenti del Neolitico in Sardegna (e non solo), si trovano anche la testa del toro con le corna, quindi il cosiddetto Dio Toro, il partner della Magna Mater. Della Grande Madre mediterranea si hanno numerose rappresentazioni plastiche, statuette più o meno stilizzate. Del partner maschile si hanno solo rappresentazioni a graffio o le monumentali rappresentazioni fornite dalle cosiddette tombe dei giganti.

Che la Grande Madre fosse la più importante divinità dei sardi del Neolitico, raffigurata  in numerose statue, più o meno naturalistiche, più o meno stilizzate, è cosa certa. Meno convincente l’attribuzione delle rappresentazioni a graffio nelle domus de Janas e delle tombe dei giganti a rappresentazione del toro cornuto. Certo, nel grande corridoio coperto delle tombe dei giganti, con anteposto una parete di lastre di pietre che disegnano una concavità rispetto al corpo coperto, si può leggere una testa di toro con le corna.

Contro la simbologia taurina si è autorevolmente pronunciata Marija Gimbutas (Il linguaggio della Dea. Mito e cultura della Dea Madre nell’Europa Neolitica Ed. Longanesi & C, 1990) che invece legge nelle dette raffigurazioni, la rappresentazione dell’apparato genitale femminile.

Se si confrontano le illustrazioni riportate nella pubblicazione di questa studiosa, non si farà fatica a prendere in considerazione l’ipotesi e a considerarla, se non convincente, degna di considerazione. Lasciando da parte le articolate argomentazioni a favore di tale interpretazione, si permetta una banale considerazione: come mai di una divinità così importante come sarebbe stato il Dio Toro, non sarebbero rimaste che dubbie stilizzazioni e rappresentazioni, mentre della Magna Mater esistono numerose raffigurazioni plastiche? Peraltro, simili e riconducibili a equivalenti rappresentazioni in altre culture geograficamente lontane.

 

Si potrebbe pensare, tornando alle formule esecrative, che il senso sia quello di un augurio a non essere mai nato. Ma dobbiamo respingere anche questa supposizione in quanto, insistiamo, l’augurio è proprio quello di morire. E dicevamo, sono l’archeologia e l’osservazione linguistica che ci confermano in questa nostra supposizione.

Intanto, i simboli di cui parliamo – rappresentino essi corna di toro o l’apparato genitale femminile interno, li troviamo nelle domus de giànas e nelle tombe dei giganti, quindi nei monumenti funerari. Queste ultime, di per sé, costituiscono, peraltro, come detto, una rappresentazione plastica di tale simbologia.

Banale ricordare che è di pressoché tutte le culture primitive (ma non estraneo al sentire dei moderni) l’idea della morte come ricongiungimento con la natura, con la Madre Terra che ci ha generato e che ci accoglie di nuovo, alla fine del nostro ciclo vitale, nel suo ventre materno. Quindi, la morte come ritorno entro la terra.

Bene, torniamo a “Torranci in su cunnu”.

Un rilevamento linguistico in comune di Santadi, purtroppo, unica testimonianza in cui mi sono imbattuto, sembra dare la conferma che abbia ragione la Gimbutas a riconoscere l’apparato genitale femminile sia nelle raffigurazioni nelle domus de Janas, sia nella forma delle tombe dei giganti.

 

Dovendo preparare delle lezioni per un Master all’Università di Cagliari e riascoltando i nastri da me registrati in una campagna di rilevamenti fatti nel 1984, in territorio del Sulcis, sono incappato in un’intervista a un uomo di 96 anni di Santadi. Peraltro, proprio questa intervista, molto breve, non l’avevo mai utilizzata per i miei studi fonetici e fonologici in ragione della cattiva qualità della registrazione, sia perché pessima era la pronuncia dell’anziano, sia perché non sempre l’intervistato rispondeva a tono. Di conseguenza, mi ero limitato a condurre un discorso libero su quanto a lui piacesse, in quanto foneticamente ‘non attendibile’. Tra le altre cose si era sbizzarrito nell’elencarmi insulti, bestemmie, invettive ecc.

Tra le numerose varietà, riguardanti “su cunnu”, che mi aveva snocciolato e che in parte sono riportate qui sopra, una mi era completamente sfuggita e al momento non mi aveva, evidentemente, colpito, forse proprio per la scarsa attenzione che avevo posto a questo informatore e per la scarsa attenzione che la mia ricerca poneva all’aspetto lessicale.

Torradìnc in su cunn (..) pèrda. La pessima qualità della registrazione in quell’occasione e della pronuncia, peraltro offuscata anche da un raschiarsi della gola, possono avvalorare una realizzazione torradìnc in su cunn e pèrda, “tornatene nella vagina di pietra”. Ma si potrebbe anche sentire un Torradìnci in su cunn e sa pèrda (tornatene nella vagina della pietra). Anche l’ascolto proposto ad altri amici non ha fornito decifrazioni alternative certe.

Dopo qualche tempo, proprio riflettendo sulla preziosa pubblicazione della Gimbutas, mi ha colto improvvisa una fantasia, o meglio un’associazione di idee.

“E se l’eventuale vagina di pietra (ammesso di avere decifrato correttamente la frase del vecchio) fosse la dómu de giànas o (nel sulcitano la o di dómu è chiusa) la tomba dei giganti, o entrambe le cose?

Alla prima occasione che mi è stata data di tornare in Sardegna, pur non contando di trovare ancora in vita il mio informatore, dopo 10 anni, volevo, mediante domande dirette e indirette, provare ad avere conferme alla supposizione.

Ho trovato l’unico figlio vivente del mio informatore, più che settantenne, purtroppo non molto presente, sordo, e con fortissime difficoltà ad articolare le parole.

Avrei voluto fargli elencare le invettive in cui compare la parola cunnu che lui conoscesse, ma intanto non riuscivo a fargli capire ciò che io desideravo e, in ogni caso, era quasi una tortura farlo parlare.

Non mi restava che procedere con riferimenti diretti all’invettiva sentita dalla voce del padre e, così, gli ho fatto sentire a tutto volume, la parte dove il padre parlava di “su cunn ‘e sa pèrda” se così era da intendersi. Gli ho chiesto se lui conosceva l’espressione su cunn ‘e sa pèrda. Lui assentiva. Gli ho ripetuto in sardo: suo padre diceva “su cunn’e sa perda“, lei lo ha mai sentito?” Lui continuava ad assentire. Gli ho chiesto “cos`è su cunn e sa perda?“. La persona ha accennato a un luogo lontano, ma non sapeva spiegare di più. Il figlio che assisteva senza interesse alla conversazione, quasi contrariato perché aspettava che me ne andassi, perché potesse finalmente  sbrigare una qualche faccenda, mi disse che non ne avrei cavato nulla, e mi faceva capire che, poverino, il padre non era del tutto in sé “Léi ca non di òga suppa“, “Badi che non ne cava nulla”.

Ma, alle mie insistenze, e con l’aiuto di questo figlio, ho capito che il vecchio voleva accompagnarmi in un qualche punto della campagna. Con la mia auto, indicandomi, quando necessario, dove dirigermi, siamo arrivati alla frazione di Terresòli e ai piedi di un poggio, in un punto in cui non si poteva proseguire in auto mi indicava una direzione. L’uomo non era in grado di fare più di pochi passi. Quindi impossibile farsi guidare.

Di più non ne ho cavato. Ma, di fatto, in quella direzione è la località “Barràncu mannu” dove si trova una tomba dei giganti.

Procuratomi una polaroid, il giorno dopo ho fotografato la tomba dei giganti e sono tornato dall’informatore che, evidentemente, aveva ancora una vista bastante a fargli riconoscere l’oggetto e alla mia domanda se quello fosse su cunn’e sa perda rispondeva con convinzione di sì.

 

Tutto ciò non lo si ritiene assolutamente probatorio. Una cosa a cui deve prestare molta attenzione il ricercatore è essere convinto che la fonte capisca la domanda e anche il fatto che spesso la fonte è pronta ad accontentare le aspettative dell’intervistatore. Certo è che potrebbe essere uno stimolo per i ricercatori a indagare in tal senso, in altre parti della Sardegna, sia quanto all’aspetto linguistico che antropologico in generale.

(Marco Piras: Meggen, Luzern März 2006)

 

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