I NUOVI GENI, IRRAGIONEVOLI, di Massimo Gaggi

Visionari, anticonformisti e, a volte, prepotenti e irascibili: nelle storie di alcuni  tra gli uomini più potenti del mondo ( da Jobs a Musk, da Gates a Dorsey) si nascondono i sintomi di disturbi cognitivi o forme di asocialità. Che diventano forza. Ma questi leader sono consapevoli delle responsabilità?

Ha costruito e diffuso ovunque auto elettriche seducenti e convenienti come non se n’erano mai viste prima, costringendo le industrie di tutto il mondo a seguirlo. Ha messo in orbita le prime astronavi private, ha reinventato e reso più efficienti batterie e pannelli solari e sta sperimentando collegamenti terrestri (Hyperloop) e sotterranei (Boring Company) superveloci. Ma Elon Musk guarda molto oltre: vuole trasferire l’umanità su Marte per salvarla dal disastro ecologico della Terra e vuole creare una connessione diretta tra cervello umano e computer. Solo così, dice, eviteremo il rischio che l’intelligenza artificiale prevalga sull’ essere umano riducendolo in schiavitù.

Intanto Jeff Bezos, dopo aver sconvolto l’industria dei libri, trasformato la distribuzione commerciale attraverso Amazon, conquistato il cloud computing col suo sistema AWS, ora guarda allo spazio per l’approvvigionamento di energia e materie prime del nostro Pianeta mentre la sua Blue Oligin sta costruendo un modulo per l’atterraggio di astronauti sulla Luna.

 

Progetti ambiziosi

Anche il cofondatore di Google, Sergey Brin, vuole rendere l’uomo onnisciente, collegando il suo cervello direttamente alla conoscenza senza limiti dei motori di ricerca e sogna di liberarlo dall’Alzheimer, dalle altre malattie e dall’invecchiamento delle cellule grazie a Calico, la società di ricerche mediche del gruppo. L’altro cofondatore, Larry Page, ha investito, invece, nello sviluppo di auto volanti e vorrebbe creare una sorta di città sperimentale nella quale testare le tecnologie più rivoluzionarie e fantasiose sviluppate nei vari campi per verificarne l’impatto sulla società, prima di introdurle nel mondo reale.

Pragmatico e coi piedi per terra, Mark Zuckerberg si è limitato a costruire la più vasta rete sociale del mondo, che è anche il più potente strumento di informazione e persuasione delle opinioni pubbliche del Pianeta. Uno strumento non regolamentato che dà un potere discrezionale sterminato al fondatore di Facebook, grande ammiratore di Cesare Augusto, il primo imperatore romano.

Geniali ma anche prepotenti, spesso irascibili e poco propensi al dialogo, i grandi imprenditori di big tech cavalcano progetti utili o addirittura entusiasmanti, ma anche idee che a molti di noi, gente normale, paiono il frutto di sogni o di incubi di menti distorte. Un po’ pazzi? Forse. Come quelli che, quasi un secolo e mezzo fa, si avventurarono sulle prime macchine volanti. Sogni falliti che hanno aperto, però, la strada al volo.

«Gli uomini ragionevoli» diceva George Bernanrd Shaw, «si adattano al mondo che li circonda. Quelli non ragionevoli insistono nel cercare di cambiare il mondo rendendolo a propria immagine e somiglianza. E’ per questo che ogni progresso viene da gente Irragionevole». .

Allora hanno ragione loro? Dobbiamo affidarci a questi personaggi che a volte ci sembrano extraterrestri, facili da detestare per i loro atteggiamenti e per alcune loro azioni – Steve Jobs che anzichè criticare i suoi collaboratori li umiliava, Mark Zuckerberg che rifiuta di bloccare i messaggi più estremi su Facebook anche quando sono all’origine di campagne di violenza o addirittura di massacri come è avvenuto con la minoranza dei musulmani Rohingya in Bìrmanìa.  Elon Musk che rifiuta di chiudere le sue fabbriche della Tesla durante l’epidemia di coronavirus sfidando le autorità della California,  ma che con le loro innovazioni stanno cambiando in profondità le nostre vite?

E cosa Ii rende così capaci e diversi da noi? Solo tenacia, genio matematico, capacità di sviluppare grandi visioni che a volte somigliano ad allucinazioni?

 

L’anticonformista

«In America gli imprenditori più creativi sono quelli della Silicon Valley che presentano sintomi da sindrome di Asperger» dice Peter Thiel, uno dei geni della Silicon Valley che, dopo aver creato PayPal insieme a Musk, è diventato con la sua Palantir il maggior fornitore di tecnologie per la sicurezza del governo amerìcano, a partire da Pentagono e servizi segreti.

Thiel ha orrore del conformismo, o anche solo dell’uniformità di giudizi, nella tecnologia e negli affari, così come in politica. Lo dimostrò già durante la campagna elettorale del 2016: fu l’unico, tra i grandi delle tecnologie digitali a schierarsi con Trump. Lui dà al genio anche una connotazione geografica: sostiene che, nella Bay Area californiana, fiorisce nella Silicon Valley ma non a San Francisco dove anche tra i tecnologi prevale la mentalità· del gregge.

A questo imprenditore tedesco-americano (è nato a Francoforte, ma vive negli Usa da quando aveva 10 anni) non piace chi socializza facilmente: «Non assumo chi esce dall’università con un master in management: sono molto estroversi, ma non hanno convinzioni forti, non cercano strade originali, seguono la corrente». E l’idea che una patologia come l’Asperger, una forma lieve di autismo, sia alla base del successo di molti geni della Slicon Valley, l’ha sostenuta già sei anni fa nel saggio Zero to One: «Se hai difficoltà nei rapporti sociali e tendi a isolarti, agli altri potrai anche apparire strano, ma sarai più determinato e più portato a cercare soluzioni originali; fuori dagli schemi che influenzano gli altri ma non te». Thiel non è certo l’unico  a pensare che «Asperger è un vantaggio per chi vuole fare innovazione e creare grandi imprese». E’ da quando, alla fine degli anni Novanta, la sociologa australiana Judy Singer elaborò la teoria della neurodiversità che alcune patologie dell’apprendimento e del comportamento – autismo, dislessia, disturbi della concentrazione – vengono rilette anche in molti ambienti clinici come espressioni di tipi diversi d’intelligenza, anziché come malattie.

«L’interesse ossessivo per i dettagli, una passione irrefrenabile per i numeri e l’accettazione senza remore di compiti ripetitivi», scrive l’Economist,«sono sintomi di autismo, ma sono anche le caratteristiche di un buon programmatore». Il magazine britannico traccia addirittura una mappa patologica dei geni digitali: oltre a quelli con sintomi di Asperger, da Mark Zuckerberg a Craig Newmark, il fondatore di Craiglist, ci sono i dislessici come il fondatore di Appie, Steve Jobs, Richard Branson della Virgin (linee aeree, musica ma anche missioni spaziali con la Virgin Galactic ), il finanziere Charles Schwab, fondatore dell’omonimo fondo d’investimenti e John Chambers che ha trasformato Cisco Systems in un gigante del software. Qui, più della creatività, ad essere esaltata da una patologia è lo sviluppo della capacità di governare sistemi imparando a delegare i compiti.

Che la determinazione che porta un imprenditore al successo possa essere frutto anche di un atteggiamento mentale ossessivo, quasi patologico è cosa ipotizzata molte volte. Andy Grove – all’anagrafe Andras Istvan Grof, il pioniere ungherese dei semiconduttorì arrivato negli Usa nel 1956 dove ha trasformato Intel nel gigante mondiale dei microchip – nel 1996 ha addirittura dedicato a questo fenomeno uno dei suoi saggi più famosi, pubblicato anche in Italia:

Ma se la determinazione estrema alimentata da ossessioni o alterazioni della personalità come il narcisismo possono diventare chiavi di successo, sicuramente è più inquietante scoprire che innovazioni capaci di aprire le porte del futuro possono essere, in parte, frutto d una patologie che rende l’innovatore un asociale. In Danimarca c’è addirittura una società di consulenza, Specialist People, che colloca lavoratori con problemi di autismo i società che offrono lvori molto ripetitivi e che richiedono una memoria di ferro.

Inquietante, ma non è una novità: vent’anni fa Steve Silberman fece scalpore con The Geek Syndrome, un saggio pubblicato dalla rivista Wired, nel quale questo giornalista scientifico dava conto di un fenomeno a quel tempo poco discusso: la moltiplicazione di casi di autismo diagnosticati negli USA passati, nei 40 anni dal !960 al 2000, da 4 ogni 10 mila abitanti a un caso ogni 68 americani.

Silberman indicava tre cause possibili per questa enorme crescita: il miglioramento delle tecniche di indagine medica accompagnato da una definizione più chiara di una patologia individuata da pochi decenni; una avvelenamento dell’ambiente, ad esempio gli acquedotti inquinati, capaci di incedere sul sistema nervoso dei residenti; i matrimoni tra persone che hanno nel loro patrimonio genetico lievi tracce di autismo.

 

Un incubo

il saggista raccontò che proprio in quegli anni nelle scuole della Silicon Valley arrivava un numero enormemente alto di ragazzi con problemi di inserimento sociale, spesso figli di coppie di ingegneri e programmatori delle aziende della Internet economy. Sono anni in cui si scopre che nell’autismo c’è una componente ereditaria. Ma ben presto le diagnosi preoccupate si trasformano quasi in un inno alle opportunità che si aprono per chi soffre: per i teorici della neurodiversità, dislessia, autismo, Asperger e altre patologie dell’attenzione che hanno trasformato in un incubo l’adolescenza di molti ragazzi bullizzati o emarginati dai compagni, diventano poi la carta vincente nell’attività professionale.

Anche avere un temperamento introverso può rivelarsi un dono prezioso: se lo sei non segui la corrente, cerchi la tua strada da solo. Nel 2013 il saggista Ma!k Roeder prova a rovesciare la teoria darwiniana della selezione naturale sostenendo nel libro Innatural  Selection che il mondo dell’alta tecnologia è riuscito  a creare una sorta di serra digitale dentro la quale le debolezze naturali prodotte da alcune patologie diventano forza: una trasformazione destinata a consolidarsi e a rafforzarsi con i progressi della farmacologia, dell’ingegneria genetica e dell’intelligenza artificiale. Due anni dopo, nel 2015, anche Silberman cambia rotta e sdrammatizza: in un nuovo libro, Neurotribes, abbraccia le teorie della neurodiversità. Che, dopo i sociologi, cominciano ad essere apprezzate anche da medici, come la psichiatra Gail Saltz, che in The Power of Different (II potere di chi è diverso) conclude, dopo 10 anni di studi su un campione di pazienti, che chi svolge un lavoro creativo tende a considerarsi affetto da qualche patologia mentale molto più spesso rispetto ad alni professionisti che hanno un quoziente d’intelligenza analogo, ma svolgono moli assai meno creativi.

E per un Jack Dorsey, capo di Twitter, che, pur avendo ormai un rilevante profilo pubblico a causa del peso politico della sua rete sociale, continua ad avere rapporti sociali accidentati (è reduce da anni nei quali è stato impegnato in sedute di speech therapy), c’è un Bill Gates che ha ormai completato la trasformazione dall’ “Eta Betà’ che fondò Microsoft a filantropo giramondo, spesso ospite delle varie reti televisive per raccontare la sua lotta contro le malattie endemiche dell’Africa e le pandemie.

La nostra civiltà, insomma, si sta adattando ai _suoi geni asociali ma una novità c’è: l’enorme peso sociale e politico conquistato negli ultimi anni dalle imprese di personaggi come Mark Zuckerberg ed Elon Musk, anche grazie a piattaforme onnipresenti che veicolano i messaggi di miliardi di utenti. E’ legittimo chiedersi se questi leader si rendano conto delle enormi responsabilità finite sulle loro spalle. E se siano in grado di gestirle. E anche se, come avviene in tante altre aree, la tutela di un interesse pubblico così rilevante non vada sottratta all’arbitrio di singoli.

7, sette, 10.07.2020

 

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