Che cosa insegna l’emergenza Covid a chi volesse amministrare le realtà urbane nel segno dello sviluppo sostenibile e della ricomposizione delle fratture sociali, di Sandro Roggio

Pensiamo a città più solidali per vincere la paura e guardare al futuro con fiducia.


di SANDRO ROGGIO (nella foto) Le forme degli insediamenti umani rispecchiano dall’antichità le preoccupazioni per la tutela della salute di chi li abita. Roma non sarebbe Roma senza la sua potente struttura militare. Ma da acquedotti e cloache è dipesa la sua reputazione di città eterna. Una lezione essenziale. E tuttavia le città sono state i luoghi della diffusione di malattie causate da produzioni di fabbriche nocive e da densità/promiscuità di abitanti, spesso per un deficit d’igiene favorito dall’assenza di regole; tra cui quelle per impedire prepotenze e negligenze nell’uso dei suoli.Tra gli obiettivi dell’urbanistica moderna c’è la tutela della salute. Esemplari progressi disciplinari e disposizioni giuridiche segnano un percorso che ha dato esiti importanti nell’Ottocento; anche per la spinta del movimento impegnato a combattere le patologie (non più accettate come una sorte ineluttabile). Soprattutto in Inghilterra, grazie alle tesi di Chadwick e Engels che sollecitavano provvedimenti per la salute in quanto valore sociale e diritto dei lavoratori. In questo solco il piano di Barcellona curato da Cerdà, tra i primi teorici dello standard abitativo di 250 abitanti per ettaro (contro i 900 della consuetudine). E regolamentazioni tecnico-giuridiche.

SOLDI AI COMUNI. In Italia un grande passo avanti fu fatto con Legge per il risanamento di Napoli (1885) che imponeva interventi igienico-sanitari pure con espropri, anteponendo per la prima volta il fine sociale di un provvedimento al diritto di proprietà. Lo Stato assegnava in seguito finanziamenti ai comuni per adeguare le reti per la distribuzione dell’acqua e i sistemi di smaltimento dei liquami; consentendo i lavori di bonifica delle città più sofferenti: non solo dell’infelice “ventre di Napoli” di cui scriveva Matilde Serao. L’indirizzo era quello di incentivare nuove espansioni con caratteri rispondenti a precetti igienici, a partire dal bisogno di luce e aria che solo un giusto distanziamento nell’edificazione poteva assicurare. Si pensi alle grandi corti interne degli isolati, volute nel secondo Ottocento; quando alle disposizioni per il decoro urbano si aggiungevano i principi dell’ ingegneria sanitaria. Nelle nuove urbanizzazioni si sperimentavano modelli di organizzazione spaziale: strade larghe, grandi piazze, indici mc/mq e rapporti di copertura, distacchi tra pareti finestrate, ecc; e si mettevano a punto tipologie di case salubri. La base per regolamenti evoluto frutto della sintesi tra almeno due saperi progrediti: quello medico e quello urbanistico. L’idea più radicale del diradamento – è doveroso ricordarlo – ha comportato, il sacrificio, non sempre giustificato, di antichi e importanti complessi monumentali.

BOTTEGHE E CAFFÈ. La forza delle città è sempre dipesa dalla capacità di generare ricchezza. Dal sistema dei servizi accoglienti dove conservare e ampliare le relazioni sociali. Ha funzionato il legame antico tra abitazioni e botteghe di commercianti e artigiani. Una miscela indispensabile in ogni grande palazzo già nel Settecento: negozi e laboratori al piano terra e negli ammezzati. Non ci sarebbe la civiltà urbana senza la presenza attiva dei commercianti protagonisti dell’affermazione della città borghese. Inimmaginabili Parigi, Vienna, Venezia senza gli storici bar-ristoranti dove ai cittadini – nel primo Novecento – capitava d’incontrare Proust o Apollinaire, Freud o Schönberg, Hemingway o D’Annunzio. L’ intensità e l’assortimento delle frequentazioni di luoghi pubblici ha contribuito alla crescita culturale dei cittadini.

AFFOLLAMENTO. Le attrezzature nelle città più densamente popolate ne hanno decretato il successo e sono ancora necessarie. Ma proprio questi cospicui attrattori di gente hanno reso gli insediamenti umani più vulnerabili nel caso disgraziato di epidemie (l’affollamento facilita il contagio, intralcia i piani per contenerlo, innalza gli indici di mortalità). Così – lo sappiamo- può capitare che i luoghi destinati all’incontro diventino fatalmente infrequentabili con conseguenti danni economici e spaesamento diffuso.

TRAME. Il rimpianto di oggi è soprattutto per la città com’era, dove non tutto tornerà a posto in poco tempo. Se dall’esperienza della pandemia ci verrà qualche sussulto di saggezza potremo riflettere: da abitanti allarmati ma più consapevoli. Mettendo in conto nei prossimi mesi la paura resistente del virus in agguato. Propensi a comportarci in modo solidale, come pare accada a chi esce dalle gravi crisi. Se accadesse si potrebbe sperare di rinsaldare le trame associative nelle aree urbane debilitate e usare il territorio con maggiore riguardo verso la natura. Aiuterebbe, dicono gli studiosi, un contegno ispirato alla prudenza e insieme più generoso; un modus vivendi più riguardoso verso l’economia di vicinato (limitando gli acquisti su Amazon?). Tante piccole cose da fare – luogo per luogo – che non spegneranno l’allarme nello scenario planetario ma contribuiranno a realizzare l’obiettivo di stare tutti un po’ meglio dove abitiamo. Ridimensionando i racconti fantastici sulle “capitali delle eccellenze” che hanno dimostrato di essere vulnerabili nel momento delle emergenze.

PIAZZE. Un’occasione per riconsiderare i comportamenti nelle città. Forse qualcosa è già successo se c’è chi chiede, ad esempio, meno parcheggi e più spazi per la sosta delle persone. Un disegno che potrebbe sottintendere un ripensamento autocritico della cosiddetta normalità prima della pandemia. Aiuterebbe a salvare l’amalgama di abitanti e servizi – in tutte le vie Cavour, in tutte le piazze d’Italia. Nessuno obietterebbe se aree pubbliche delle città convalescenti fossero messe a disposizione di chi vi svolge attività d’interesse pubblico, come quelle della ristorazione e del commercio, oggi molto penalizzate. Credo che sarebbero restituite meglio di come sono. LA NUOVA SARDEGNA 26 MAGGIO 2020

 

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