Tumore al seno: l’allattamento diminuisce il rischio. Qualche dato sulla Sardegna, di Mario Budroni

Il dott. Mario Budroni  è un medico epidemiologo, dal 1992 responsabile del Registro tumori per la Provincia di Sassari. Sommario: Dati di carattere generale – Una comparazione – Prevenzione primaria – Prevenzione secondaria – Promuovere comportamenti virtuosi.


Dati di carattere generale. I tumori più frequentemente diagnosticati nella popolazione italiana sono il cancro al seno, seguito dal carcinoma del colon-retto, del polmone, della prostata e della vescica. Il tumore della mammella colpisce un gran numero di donne (raramente si rileva anche negli uomini) e rappresenta il 29% (quasi 1/3) di tutti i tumori che insorgono nel sesso femminile (Associazione Italiana Oncologia Medica, Associazione Italiana Registri Tumori, I numeri del cancro in Italia, 2018). Questa malattia rappresenta anche la prima causa di morte per tumore nelle donne, con 12.274 decessi in Italia (dati ISTAT). Negli ultimi decenni, si è registrato un costante aumento di frequenza di diagnosi, accompagnato da una riduzione della mortalità. Dal punto di vista sanitario, la malattia ha un peso rilevante e deve essere monitorata per il rischio, la prevenzione e la cura, tenendo presente le caratteristiche specifiche di aree diverse.

Di seguito descriviamo l’incidenza (numero di nuovi casi per anno), la sopravvivenza e la mortalità. Cerchiamo quindi di capire i problemi della prevenzione e della cura, che sono legati ad atteggiamenti culturali e all’organizzazione sanitaria della nostra regione.

Una comparazione. Sulla base delle stime eseguite dalle società scientifiche che studiano i tumori, in Sardegna, nel 2018, abbiamo avuto 134,4 nuovi casi per 100.000 donne, che in numero assoluto vuol dire circa 1.300 nuovi casi per anno; 390 le donne decedute. La maggior incidenza si registra in Friuli Venezia Giulia con 171 casi e in Emilia Romagna con 164 casi per 100 mila donne. Di queste pazienti, il 25% ha meno di cinquant’anni. La sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi nelle pazienti sarde è dell’85% rispetto al valore massimo di 89%, raggiunto in altre regioni italiane. Questo risultato è straordinario se si considerano il nostro minor impegno economico e la fragile organizzazione delle nostre strutture.  Da alcuni anni si è scoperto che la presenza di una mutazione nei geni BRCA1 e BRCA2 comporta un maggior rischio di ammalare di tumore della mammella. Da studi condotti in Sardegna, risulta che, nella nostra popolazione, poco meno del 3% delle pazienti affette da tumore mammario ha una mutazione BRCA1/2. Questa condizione comporta un maggior rischio d’ammalare ma non un decorso della malattia più grave e la sopravvivenza non si discosta da quella generale.

Nonostante il carcinoma della mammella sia una malattia grave e di grande impatto sociale non si conoscono fattori di rischio specifici come in altri tumori (fumo di sigaretta per il cancro del polmone). Molti studi sono stati eseguiti al fine capire l’eziopatogenesi e cercare strumenti per una prevenzione primaria e secondaria.

Prevenzione primaria. Uno scienziato giapponese ha pubblicato una ricerca nella quale dimostra che le donne che allattano al seno i loro figli hanno minore probabilità di ammalare di tumore della mammella (American Journal Epidemiology. 1992 Apr 1;135 (7): 726-33). Qualche anno dopo lo stesso autore dimostrò l’effetto protettivo dose-dipendente dell’allattamento al seno (tempo più lungo dell’allattamento, minore il rischio d’ammalare) (European  Journal  Cancer  Prevention. 2007 Apr;16(2):124-9). Più precisamente, uno studio caso-controllo riporta che 12-23 mesi di allattamento riducono del 66% il rischio di cancro al seno, 24-35 mesi dell’87% e 36-47 mesi del 94% (Cancer Epidemiology. 2010 febr; 34, 267-273).

Da diversi anni, l’INT (Istituto Nazionale Tumori di Milano) programma delle ricerche per capire se alcuni stili di vita siano legati all’insorgenza del tumore mammario. Ultimamente segue particolarmente pazienti con sindrome metabolica e usa, come fattori di rischio, la circonferenza vita > di 85 cm, l’aumento dei valori di colesterolo, trigliceridi e glicemia. Inoltre somministra metformina poiché è stata osservata una minor incidenza di tumore in donne diabetiche che quindi assumono tale farmaco. Al momento non si hanno comunque dati conclusivi di tali studi.

Lo screening, intervento di prevenzione secondaria, è proposto da molti anni; di tanto in tanto si sollevano dubbi se sia opportuno eseguirlo, tuttavia mi pare che le conclusioni scientifiche siano in favore del suo utilizzo. Lo screening è un’attività diagnostica organizzata e periodica rivolta a donne sane asintomatiche al fine di giungere a una diagnosi di carcinoma mammario in stadio precoce e di offrire trattamenti adeguati con l’obiettivo di ridurre la mortalità da carcinoma mammario. L’offerta della mammografia attraverso un programma organizzato, rivolto in modo attivo a tutta la popolazione, favorisce l’equità di accesso anche per le donne più svantaggiate o meno consapevoli dell’importanza della prevenzione secondaria.

Prevenzione secondaria. I programmi di screening in coloro che vi hanno aderito costantemente hanno determinato: migliore prognosi dei tumori individuati con lo screening; riduzione della mortalità di circa 28%-30%; riduzione degli interventi demolitivi a favore di trattamenti conservativi, salvaguardando l’integrità del seno; migliore qualità della vita. L’Osservatorio nazionale screening considera accettabile un’adesione allo screening del 70%, ottimale quella che supera il 75%.

Promuovere comportamenti virtuosi. In Sardegna abbiamo un’adesione del 40%: in tale ambito l’accesso spontaneo è costituito dal 20% (anche questi dati sono dell’Osservatorio nazionale screening). Ovviamente sarebbe importante capire le caratteristiche sociali e culturali delle donne che non si presentano e di quelle che si gestiscono in proprio. Abbiamo un tasso d’identificazione del tumore del tre per mille (in altre parole si eseguono mille mammografie per accertare tre tumori). Ne consegue che una dispersione dei centri per la mammografia, quale si verifica in Sardegna, non aiuta l’efficienza dell’organizzazione e l’expertise degli operatori. Per quanto riguarda l’intervento chirurgico, mi pare che le pazienti si sentano abbastanza garantite e, infatti, la migrazione non è elevata e rientra nella fisiologica libertà di scelta, come succede anche tra le regioni del nord. La situazione ideale dovrebbe essere di poter arrivare all’intervento entro trenta giorni; purtroppo, non solo in Sardegna, le liste d’attesa si stanno allungando. A questo problema bisogna prestare attenzione e produrre il massimo sforzo per promuovere comportamenti virtuosi.

 

 

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