Il padre degli Shardana: un’isola ancora da scoprire, di Stefano Ambu

L’archeologo Ugas racconta la sua vita tra studi e ritrovamenti in oltre 250 scavi. «Ma quello che viene accertato non è sempre quello che ci piacerebbe trovare».

 

 

Il georadar come il vecchio colpetto di piccone di una volta per saggiare il terreno. Anche se qualcosa si intuisce o si intravede, per conoscere la verità bisogna scavare a fondo. Speranze e idee- anche se ci sono- bisogna tenerle a freno. Benvenuti tutti gli indizi. Ma ci vuole sempre la controprova. Anche per evitare che le illusioni possano diventare delusioni.

È un discorso che vale per Mont’e Prama. Ma che è la base del metodo scientifico.

Giovanni Ugas, archeologo, ex docente di storia e protostoria all’Università di Cagliari, lo sa bene. Elogia il lavoro del geofisico Gaetano Ranieri nel Sinis. E già si congratula con lui per aver dimostrato che il mondo di Mont’e Prama è più vasto di quello che si poteva pensare. Ma su strade, edifici eccetera ancora interrati commenta così, dall’alto dei suoi duecentocinquanta scavi archeologici effettuati.

Il sogno che ci sia sotto qualcosa che dia una (nuova) svolta alla storia della Sardegna? «Un conto – sorride – è quello che vorremmo trovare, un altro è ciò che deve essere accertato». Perché a volte la storia sarda passa da un eccesso all’altro: o insignificante o periferica come hanno scritto (non scrivendo nulla o quasi nulla) i libri di storia usati a scuola. O improvvisamente più centrale del sole nel sistema solare.

«La conoscenza un tempo si formava solo attraverso la letteratura antica – spiega Ugas – l’archeologia a partire dall’Ottocento è diventato uno strumento fondamentale per la conoscenza del nostro passato. Ma devo essere un po’ severo: bisogna fare attenzione a distinguere tra l’archeologia e romanzi dell’archeologia».

È importante però anche l’interpretazione. «Che – precisa – può fornirla chi ha una preparazione specifica. Vero, si può cadere in errore: anche lo scienziato può sbagliare. La ricerca archeologica deve passare attraverso una formazione universitaria, scientifica, la tutela dei beni e la loro valorizzazione. Tre elementi fondamentali. A volte però vedo magari in uno scavo dell’Università che non ci sono archeologi della Soprintendenza o viceversa. Non c’è quella giusta forma di collaborazione. Non dovrebbe essere così: c’è lo spazio in Sardegna perché tutti collaborino a nuove scoperte».

Sardegna centro o periferia? «La Sardegna è un’isola del Mediterraneo – spiega Ugas – e ha avuto la fortuna di avere avuto importanti risorse per l’economia, dall’ossidiana all’argento. Da isola ha dovuto fondare il commercio, come Creta Cipro e Sicilia, sul mare. La civiltà si sviluppa quindi anche nelle isole, non solo nella terraferma.

Sardegna isolata? Non è così. Nel neolitico vediamo uno sviluppo culturale straordinario con le domus de Janas e con le meravigliose sculture. Né isolata, né centro del mondo.

La Sardegna va valutata anche attraverso il confronto con le culture che si sviluppano anche nelle altre terre.

Non c’è dubbio che nell’età nuragica la Sardegna fosse una civiltà importunate in cui c’erano settemila nuraghi. Settemila fortezze – lo ribadisco, fortezze – circolari che solo dopo diversi secoli verranno copiate con lo sviluppo delle coperture a tolos e dei terrazzi fuori dalla Sardegna».

Ugas ha scritto un libro “Shardana e Sardegna”. A ottobre uscirà una riedizione con un bel lavoro sull’indice che renderà più agevole la consultazione con il richiamo a luoghi e personaggi. «Mi è costato molto lavoro – racconta riferendosi al lavoro già in circolazione – ho approfondito le relazioni con gli altri territori del Mediterraneo attraverso archeologia e letteratura antica e studiando testi anche egizi. Proprio queste informazioni mi hanno consentito di dire che i sardi erano gli Shardana: insieme ad altri popoli del mare furono quelli che abbatterono micenei, egizi, hittiti, facendo cambiare il corso della storia. Si evince dai testi che gli Shardana ebbero un grande ruolo. E se gli Shardana sono i sardi, anche la Sardegna ebbe un grande ruolo».

Ascesa e caduta. «Ogni cultura – racconta – ha un suo inizio e una sua caduta. Non ci sono tracce di alluvioni, di tsunami o di qualche evento apocalittico: i nuragici cadono a causa di una sollevazione interna, può darsi anche con contributi esterni. Diodoro Siculo dice che i capi tribali furono cacciati via e si rifugiarono nei dintorni di Cuma e di altre località della penisola».

Storia da valorizzare. Ma anche la lingua. «Io dico che non bisogna insegnare il sardo – dice – ma che bisogna insegnare in sardo. Il sardo non è stato trattato da lingua madre. Ma da lingua matrigna e abbandonata. Occorre quindi scrivere i testi delle varie materie in sardo. Dagli anni Sessanta abbiamo assistito a una violenza: alla esclusione del sardo dalle scuole. Solo un’altra “violenza” può rovesciare le cose. Anche se bisogna andare per gradi. Con un’editoria che guardi al sardo, i giornali in sardo, testi in sardo. Iniziamo con il valorizzare noi stessi. Poi chissà magari se ne accorgeranno anche gli editori italiani quando si dovrà parlare della Sardegna». Sardegna Atlantide?

«Sergio Frau ha scritto un bel libro: ho parlato molto con lui. Ma non sono d’accordo né sullo tsunami. Né sulla interpretazione delle parole di Platone: il filosofo greco si riferiva alla terra degli Atlantidi, all’Africa settentrionale. Non alla Sardegna».  la nuova sardegna, 14 ottobre 2019

 

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