Dobbiamo inventare l’Illuminismo del 2019. Dialogo sulle sfide delfuturo

Confronto tra Maurizio Ferrera, Roberto Mordacci, Francesco Guala, Francesca  Pasquali

La scienza moderna ha scoperto che la natura è governata da leggi che la rendono in larga misura  controllabile e prevedibile. Le scienze sociali novecentesche hanno a loro volta messo in luce le molte regolarità che caratterizzano la sfera politica, economica e sociale,  nonché i meccanismi che generano tali regolarità. Lo Stato di diritto – diventato poi liberale e democratico – ha stabilizzato i processi di interazione e di decisione collettiva. In questo contesto, l’immagine del tempo è radicalmente cambiata. In particolare, il  futuro non appare più dominato dal caso, dal destino o dalla provvidenza.  E’ diventato piuttosto la dimensione del possibile: una fase temporale vincolata, certo,  dal passato, ma più o meno liberamente plasmata nel presente, in base ai nostri scopi e valori.

Insegnare ai giovani come “governare il futuro” è uno dei principali obiettivi di una nuova laurea magistrale promossa da due atenei milanesi: la Statale e l’Università Vita e Salute del San Raffaele. Questo dialogo affronta alcune delle tematiche che saranno al centro della nuova iniziativa.

Maurizio Ferrera: In un recente discorso, Emmanuel Macron ha lanciato un ambizioso percorso di riforme, nato da un “gran dibattito nazionale” che ha coinvolto più di due milione di cittadini. Dibattito democratico e progetto di cambiamento: siamo gli eredi dell’Illuminismo, ha ricordato il Presidente. Un richiamo che ben si presta a riflettere su come governare il futuro…

Roberto Mordacci

Certamente. Fu l’illuminismo a elaborare l’idea moderna di storia come orientata verso uno scopo. È l’idea di progresso scientifico ma anche morale e politico: vite meno infelici, istituzioni più giuste. La grande crisi attuale è la sfiducia in questa possibilità, favorita dalla moda postmodernista della “fine” del sapere, della morale e dunque della storia. Ma il progresso è una responsabilità, non una necessità: esiste se lo facciamo accadere.

Francesco Guala

Un’impresa doverosa, ma non facile. Grazie alle scienze cognitive e sociali oggi siamo più consapevoli delle difficoltà che tutti noi, cittadini ed esperti, incontriamo quando cerchiamo di rappresentare e di controllare i processi di cambiamento. La percezione esagerata del rischio, l’incapacità di pensare scenari alternativi a quelli dominanti sono ostacoli enormi che possono impedirci di trovare soluzioni razionali e condivise. Ma illuminismo vuol dire anche ottimismo: la riflessione filosofica e scientifica ci fornisce strumenti formidabili che non esistevano solamente qualche decennio or sono: proprio perché sappiamo quali sono i nostri limiti, abbiamo più chances di superarli.

Francesca Pasquali

Come eredi dell’illuminismo, riconosciamo che, non essendoci fini stabiliti da autorità esterne, il futuro è aperto e ognuno ha il diritto di contribuire a definirne la direzione. Per evitare fraintendimenti piuttosto diffusi, si deve chiarire tuttavia che questo non implica attribuire a tutte le opinioni la stessa validità. Al contrario, proprio perché non ci sono autorità esterne cui affidarci, per orientare il futuro verso il meglio dobbiamo sottomettere al vaglio critico della ragione le nostre opinioni, scartando quelle non fondate su solide argomentazioni o su evidenze empiriche affidabili.

 

Maurizio Ferrera: Le nuove tecnologie, e più in generale quella che il filosofo Luciano Floridi chiama l’Infosfera,  stanno rapidamente cambiando i modi di produrre, lavorare, comunicare, organizzare la vita associata, persino incrementare le nostre abilità naturali. Può davvero aprirsi la possibilità di un grande balzo in avanti dello sviluppo umano.  L’infosfera (e in particolare il progresso dell’intelligenza artificiale) solleva però anche enormi problemi di natura etica e sociale. Quali sono secondo voi le principali sfide e le strategie per affrontarle?

Francesco Guala

Sulle sfide c’è l’imbarazzo della scelta. Ne scelgo una che mina al cuore i fondamenti della democrazia: la necessità e insieme la difficoltà di vivere insieme nella diversità di pensiero. Si tratta di una sfida perenne, ovviamente, ma la tecnologia negli ultimi dieci anni ha enormemente facilitato la creazione di comunità alternative e ‘chiuse’ – dai terrapiattisti agli antivax – restringendo a sua volta lo spazio intermedio dove si stipulano i compromessi essenziali per il vivere comune. I gruppi che contrasteranno questo processo di isolamento e frammentazione d’altra parte potranno formare le coalizioni vincenti della politica del futuro.

Francesca Pasquali

Se gli scenari prevedibili in base agli sviluppi dell’intelligenza artificiale e del potenziamento biologico – macchine intelligenti, individui sempre più resistenti alle malattie– sono per lo meno possibili, si tratta di capire se e come aggiornare il nostro resoconto circa le caratteristiche distintive degli esseri umani, che fa da sfondo alla riflessione morale. È sensato individuare la nostra specificità in certe facoltà cognitive, che forse condivideremo con le macchine, o in certe caratteristiche biologiche, che forse potremo modificare? Si tratta anche di valutare se simili scenari siano desiderabili e se vi siano soluzioni, magari distanti dalle nostre pratiche attuali, per bilanciarne al meglio vantaggi e svantaggi.

Roberto Mordacci

In passato, le tecnologie generavano paure per la loro potenza distruttiva. Per questo Hans Jonas invocava responsabilità. Quelle attuali vivono di controllo e velocità. Chi ha accesso ai big data e quale potere acquisisce controllandoli? Quanta rapidità siamo in grado di gestire negli scambi di informazione? Abbiamo bisogno di un’etica per l’età digitale, che ne sappia affrontare la legge fondamentale, ovvero l’accelerazione costante e inarrestabile.

 

Maurizio Ferrera

Al di là delle oscillazioni e delle crisi cicliche dell’economia capitalistica, le società avanzate hanno oggi il potenziale di raggiungere sempre più alti livelli di ‘prosperità’: una nozione che evoca benessere quantitativo e qualitativo, pluralità e disponibilità (sperabilmente “equa”)  di  chance di vita sempre più ampie e articolate.  Il percorso verso questa meta è tuttavia irto di ostacoli: pensiamo alla sostenibilità ambientale e demografica, alla pressione migratoria, al logoramento dei legami di solidarietà, al rischio di ripiegamenti nazionalistici e di rigetto dei progetti di integrazione, in particolare in Europa. Quali sono le condizioni più propizie affinché il potenziale oggi esistente si possa realizzare in forme e modi ‘aperti, inclusivi, sostenibili’?

Roberto Mordacci

Le condizioni essenziali dello sviluppo sono chiare: i Sustainable Development Goals mostrano che è il coordinamento la chiave di una crescita equilibrata. La minaccia alla vita viene dall’iniquità, dal conflitto sociale e dall’isolamento, che generano inquinamento, distruzione delle risorse, squilibri, discriminazioni e guerre. Nel mondo globalizzato o si cresce insieme o si muore isolati.

Francesco Guala

L’etica economica si fonda su sue principi universali: il principio secondo il quale chi produce un bene o un servizio ha diritto di goderne i principali benefici; e quello dell’uguaglianza, che si applica ogni qual volta non è possibile identificare chiaramente chi  ha prodotto il bene in questione. Questi due principi funzionano bene in comunità relativamente piccole e coese, nelle quali i rapporti di forza sono relativamente equilibrati. Quando si creano enormi disuguaglianze invece essi entrano in crisi. Credo che la redistribuzione oggi vada pensata in un’ottica nuova – un’ottica politica invece che etica – proprio perché ci troviamo in una situazione di questo genere. In pratica, significa che i ‘vincitori’ di oggi devono smettere di porsi la domanda ‘è giusto redistribuire?’ e chiedersi invece quale sistema di redistribuzione sarà in grado di salvare il nostro patto sociale.

 

Maurizio Ferrera: Su scala globale che il mondo resta attraversato da aspri conflitti e guerre locali, che minacciano pace e sicurezza, anche attraverso il terrorismo. Le radici di questi conflitti sono di natura sia ‘materiale’ (diseguaglianze, accesso alle risorse e così via)  sia ‘ideale’ (cultura e religione). L’Europa è oggi l’area più pacificata, civilizzata e sviluppata del pianeta, ma questo esito è il risultato di secoli di guerre e scontri fra popoli. Non è detto che la via europea sia praticabile e replicabile a livello globale. E non è neppure detto che le dinamiche conflittuali che caratterizzano oggi il mondo possano gradualmente comporsi: potrebbero invece deflagrare nel famoso scontro fra civiltà preconizzato da Samuel Huntington. L’ideale Kantiano di una pace perpetua, sorretta da un ethos universale di civismo e assetti federali sul piano planetario vi sembra oggi più vicino o più lontano?

Francesca Pasquali

Kant è chiaro: una pace perpetua è possibile solo tra repubbliche, in cui le decisioni si fondano sul consenso dei cittadini che, consapevoli dei costi, rifiutano la guerra. Se è così, la tendenza attuale non è incoraggiante: i regimi autoritari non sono in diminuzione e, anzi, alcuni sono attori chiave a livello internazionale. Questo è un motivo in più per capire perché regimi autoritari mantengano una notevole centralità e domandarsi come, senza contraddire principi democratici, fare i conti con tali regimi.

Roberto Mordacci

La tendenza odierna verso la barbarie è fortissima. Lo spettro dell’autoritarismo, dell’odio etnico e della regressione si aggira minaccioso per l’Europa e non solo. La pace perpetua va ripensata da capo, come fece lo stesso Kant nel proprio tempo. Ogni epoca deve vivere il proprio illuminismo, non ripetere quello passato. È ora che lo facciamo anche noi, prima che sia troppo tardi.

Francesco Guala

L’ideale Kantiano della pace perpetua è un modello che deve guidare sempre il nostro agire politico. Ma non sono particolarmente ottimista riguardo alla progressiva integrazione degli stati nazionali in entità federali planetarie. La difficoltà che sta incontrando il progetto europeo sono significative a questo proposito: dei popoli già profondamente integrati culturalmente ed economicamente non riescono a compiere il salto decisivo verso un assetto federale. D’altronde credo che lo ‘scontro di civiltà’ sia uno spauracchio politico semplicistico utile a spaventare le persone, molto meno ad analizzare la realtà. E’ più probabile che la violenza si sviluppi in focolai relativamente marginali, dove le grandi nazioni non hanno l’interesse o la forza di intervenire.

 

Maurizio Ferrera: Torniamo ai giovani, che almeno dal punto di vista socio-demografico costituiscono il 100% del nostro futuro. Quali sono le competenze che essi dovrebbero padroneggiare  grazie agli studi universitari per apprendere dal passato, interpretare il presente e dare il proprio contributo, anche in ambito lavorativo, per costruire e governare il mondo di domani?

Francesco Guala

Sicuramente la capacità di integrare gli strumenti e le conoscenze provenienti da diverse discipline – economia, politica, filosofia. Ma anche la capacità di esprimere una sintesi in modo chiaro, comprensibile, e non conflittuale. Vorrei sottolineare quest’ultimo punto – non conflittuale – perché è forse il più difficile: andare controcorrente non è difficile: basta dire il contrario di quello che dicono gli altri! Quello che è davvero difficile è trovare nuove soluzioni e convincere chi non la pensa come noi, spesso con ottime ragioni. Tornando a quanto detto prima, le nuove tecnologie non ci aiutano da questo punto di vista. Ma proprio per questo è essenziale provarci, formando una generazione di giovani che siano in grado di farlo meglio di noi.

Francesca Pasquali

Serve una preparazione multidisciplinare che, producendo anticorpi contro specialismi fini a se stessi, consenta di acquisire una prospettiva di ampio respiro e strumenti analitici, descrittivi e filosofici, per capire e valutare i rapidi cambiamenti politici e sociali e immaginare modalità di intervento efficaci e appropriate in termini valoriali.

Roberto Mordacci

Sono d’accordo: preparazione multidisciplinare e capacità di “visione”. Solo il futuro dà senso al passato e alla frammentazione presente. L’avvenire non è degli specialisti: i problemi sono sempre dell’intero. Per questo la filosofia ha un ruolo decisivo, purché si mescoli alle scienze sociali, alla ricerca e all’evoluzione delle imprese. Queste ultime stanno cambiando il capitalismo, sono più attente ai valori, ma hanno bisogno di giovani capaci di strategie vincenti sul piano sociale e politico e non solo economico.

Politics, Philosophy and Public Affairs è un nuovo corso di laurea magistrale in inglese offerto dall’Università degli Studi di Milano e l’Università Vita-Salute San Raffaele a partire dal 2019. Propone un percorso interdisciplinare innovativo che, coniugando competenze politologiche e filosofiche avanzate, fornisce strumenti per comprendere e valutare i fenomeni politici e socio-economici contemporanei e le loro implicazioni di lungo periodo (www.unimi.ppa). Sempre dal prossimo anno accademico la Statale offrirà anche una nuova laurea triennale in inglese intitolata International Politics, Law and Economics (www.unimi.it).

Questo dialogo è comparso anche su La Lettura del Corriere della Sera del 19 maggio 2019

 

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