L’inglese senza nome e la spia che tradì, di Antonio Capitta

La notte era fredda e stellata. Un vento teso di grecale aveva spazzato via tutte le nuvole dal cielo e la luna era ridotta a una sottile falce di luce morente. Il sommergibile inglese P228 “Splendid”, al comando del tenente di vascello scozzese della Royal Navy Ian McGeoch, affiorò alle 2,50 a mezzo miglio da una piccola spiaggia isolata a nord della torre di San Giovanni di Sarrala, nella costa di Tertenia. Alle 4,45 due uomini raggiunsero la riva su un canotto di gomma. Era il 10 gennaio 1943. Cominciava così l’operazione dei servizi segreti inglesi chiamata in codice “Moselle”. I due uomini erano infatti agenti del Soe, lo Special Operations Executive. Cioè il braccio operativo dell’intelligence militare britannica. La loro missione era quella di operare una “penetrazione in Sardegna”, stabilire un ponte radio con Massingham Interservice Signals Unit 6, la centrale segreta del Soe ad Algeri, trasmettere informazioni politiche e militari sulla dislocazione delle forze italiane e tedesche nell’Isola, prevedendo anche azioni di sabotaggio negli aeroporti sardi e, infine, prendere contatti con gli ambienti antifascisti locali. Un’operazione complessa, dunque, che era stata ispirata dal leader di “Giustizia e Libertà” Emilio Lussu e da Dino Giacobbe, l’ingegnere nuorese che aveva guidato la “Batteria Rosselli” nella guerra civile di Spagna. Erano stati infatti loro a convincere i vertici del Soe che dalla Sardegna sarebbe potuta partire un’insurrezione contro i fascisti e i tedeschi.”Ma chi erano i due agenti segreti che si muovevano silenziosi come ombre sulla spiaggia a nord di San Giovanni di Sarrala in quella gelida notte del gennaio 1943? Uno era sardo. Si chiamava Salvatore Serra ed era di Solarussa. Figlio di contadini, si era arruolato nei carabinieri a 19 anni e nel 1938 aveva disertato ad Harar, in Etiopia. Serra si era rifugiato così nel Somaliland inglese, dove aveva vissuto tranquillo fino all’entrata in guerra dell’Italia, nel 1940. Fu allora arrestato e spedito nel campo di prigionia di Dehra Dun, in India. Lo stesso campo dal quale fuggì nel 1944 l’alpinista-scrittore austriaco Heinrich Harrer, autore del libro “Sette anni in Tibet”.Fu un ufficiale scozzese del Soe, Colin Mackenzie, a notare Serra. Uno dei suoi compiti era quello di reclutare prigionieri italiani per poi utilizzarli in operazioni di infiltrazione. Mackenzie era rimasto colpito dal profilo di quel sardo alto e silenzioso: nel suo fascicolo c’era infatti scritto che era un fervente monarchico e un antifascista. Un’insofferenza alla dittatura che aveva ereditato dal padre. Singolare la descrizione fisica che ne viene fatta nel fascicolo dei servizi segreti di Sua Maestà: «Occhi e capelli neri, denti tanto grandi da sembrare troppi, petto e gambe molto pelosi». Tra minacce e promesse, MacKenzie convinse Serra a collaborare. L’ex carabiniere di Solarussa fu così trasferito in Inghilterra. Nella sua scheda di valutazione si legge: «È un italiano atipico. Timido e taciturno, è impossibile immaginarlo come un leader o capace di iniziative individuali. Ma è il tipo d’uomo che seguirà un leader fino alla fine. È un ardente monarchico». Emilio Lussu andò a trovare Serra al Victoria Hotel, dove l’ex carabiniere era alloggiato, dopo un intenso addestramento nelle basi di Water Eaton Manor e Arisaig. Al termine di un lungo colloquio con lui, Lussu riferì agli uomini del Soe che il suo conterraneo poteva essere utile perché «conosceva bene i luoghi in Sardegna» e perché aveva «dimestichezza con le radio rice-trasmittenti».L’altro agente segreto sbarcato nella costa di Tertenia nel 1943 è restato per molti anni un mistero. Di lui si conosceva infatti solo il “name of war”, il nome di guerra: John Armstrong. Ma poi, frugando negli archivi segreti del Soe, si scoprirà nel 2007 che quello era solo un nome di copertura. Si chiamava invece Gabor Adler ed era nato il 15 settembre 1919 a Satu Mare, nell’allora Transilvania ungherese, oggi Romania. Tre anni dopo la sua nascita, l’intera famiglia, di origine ebrea, composta dal padre Samuel, dalla madre Ida Olga Borgida e dai due figli Imre e Gabor, decise di emigrare nel Trentino-Alto Adige, a Merano. In seguito alla morte di Samuel, la vedova e i due figli si trasferirono per qualche tempo in Germania, ma con l’avvento di Hitler al potere, furono costretti a fuggire e a tornare in Italia, stabilendosi a Milano. Con l’entrata in vigore delle leggi razziali nel 1938, Gabor decise di lasciare il paese. Si imbarcò su un piroscafo con destinazione Tangeri, dove visse facendo lavori saltuari. Qui Adler prese i primi contatti con la resistenza francese e, successivamente, a Gibilterra, con elementi dell’esercito inglese che lo arruolarono nello Special Operations Executive.Fu addestrato nei centri di Chicheley Hall e di Thame Park, nell’Oxfordshire. Nei documenti desecretati dell’intelligence britannica, risultano le valutazioni di Adler. Gli viene riconosciuta «un’intelligenza superiore alla norma» e uno «straordinario talento nelle comunicazioni radio e nella crittografia». Ma Gabor aveva un tallone d’Achille. Era infatti un uomo molto sensibile e non nascondeva la propria ansietà davanti a due evenienze possibili: uccidere a sangue freddo un altro uomo ed essere catturato in territorio nemico. In un appunto del novembre 1942 Cecil Roseberry, responsabile della Sezione italiana del Soe, scrisse: «Adler è stato molto franco con me sul punto di non essere in grado di dire se sia in grado di uccidere. Mi ha chiesto di sottoporlo a situazioni di scontro a fuoco per testare le proprie reazioni». Sta di fatto che Gabor superò brillantemente tutte le prove e gli venne conferito il grado di sottotenente e il nome in codice di John Armstrong. Aveva appena 23 anni, ma ne dimostrava molti di meno. La sua faccia larga e senza barba sembrava infatti quella di un adolescente. L’operazione “Moselle” fallì prima ancora di cominciare. Serra infatti, alla ricerca di un contatto e di un alloggio sicuro, si avviò verso Tertenia. Lungo la strada incontrò un ragazzo al quale affidò una lettera da recapitare a un suo conoscente e lo ricompensò con una tavoletta di cioccolato. Il ragazzo però riferì però tutto al padre che intuì subito che c’era qualcosa di strano e si presentò alla caserma dei carabinieri di Tertenia. A meno di ventiquattr’ore ore dallo sbarco, i due agenti del Soe furono arrestati.Ironia della sorte: l’operazione “Moselle” fu, nonostante tutto, un successo perché servì agli alleati come depistaggio. L’arresto di Serra e Adler, infatti, avvenne quattro giorni prima del vertice di Casablanca, nel quale fu deciso lo sbarco in Sicilia. Partì così l’Operazione Mincemeat (carne macinata), ideata dal geniale tenente di vascello inglese Ewen Montagu della “Naval Intelligence Division”, il servizio segreto della marina britannica. Il 30 aprile del 1943 il sommergibile inglese Seraph calò in mare il cadavere di un uomo a un miglio da Huelva, città spagnola nel Golfo di Cadice.Si trattava di un gallese di 34 anni suicidatosi con veleno per topi. Gli uomini di Montagu l’avevano vestito con un’uniforme da ufficiale britannico, assegnandogli una falsa identità: maggiore William Martin, dei Royal Marines. Nelle sue tasche furono inseriti falsi documenti, alcune lettere destinate ai suoi fantomatici genitori e una missiva straziante a un’inesistente fidanzata. Nel suo zaino, invece, gli agenti dei servizi segreti della Marina inglese misero falsi documenti “top secret” che indicavano la Sardegna come luogo di sbarco degli alleati. Il corpo del falso maggiore Martin fu rinvenuto dagli spagnoli, che lo consegnarono agli agenti dell’Abwehr, il servizio segreto tedesco. La trappola funzionò anche perché la cattura di Adler e di Serra sembrava confermare il piano d’invasione in Sardegna. I due agenti del Soe catturati a Tertenia erano stati intanto portati a Cagliari e sottoposti a una serie di durissimi interrogatori da parte del Sim, il servizio dell’intelligence militare italiana. Salvatore Serra non aveva probabilmente la stoffa dell’eroe. Crollò infatti quando, dopo avere ricevuto l’estrema unzione, fu messo davanti a un finto plotone d’esecuzione. Ammise di essere un ex carabiniere, di aver disertato in Africa e di collaborare con gli inglesi. Fu un sottufficiale del Sim di un paese vicino a Solarussa, Virginio Sias, a convincere Serra che l’unica alternativa che aveva per sfuggire alla fucilazione era quella di collaborare con il controspionaggio italiano. E l’ex carabiniere diventò così la chiave dell’operazione del Sim in Corsica. E la rete di “France Libre”, sostenuta dagli inglesi, fu distrutta. Finì in carcere anche Fred Scamaroni, un ufficiale gollista, diventato uno dei capi della Resistenza corsa. Per non fornire informazioni al controspionaggio italiano, Scamaroni si suicidò nel carcere di Ajaccio. Su un pezzo di carta scrisse: «Non ho parlato! Viva De Gaulle, viva la Francia!». Poi si ficcò un filo di ferro in gola, affogando nel proprio sangue. In questa operazione del controspionaggio italiano Serra era stato determinante perché, ad Algeri, violando la consegna della compartimentazione tra i settori dell’intelligence, era entrato in contatto con il radiotelegrafista francese Jean-Baptiste Hellier, nome in codice Henri, che stava per partire alla volta della Corsica con altri agenti per la missione parallela a “Moselle”, chiamata in codice “Sea Urchin”. Serra riuscì a rintracciare Hellier ad Ajaccio e da lui il Sim risalì a tutta la rete della Resistenza.”Adler, invece, subito dopo la cattura,riuscì mantenersi freddo. Subì interrogatori pesantissimi, ma, attenendosi al protocollo appreso nell’addestramento, disse di essere un semplice caporale e di chiamarsi John Armstrong. Poi improvvisò. Raccontò infatti di essere un marinaio del sommergibile “Splendid” e di essere finito sul canotto approdato sulla costa di Tertenia per un incidente: mentre aiutava nel trasbordo l’ufficiale che doveva comandare la missione “Moselle”, la corrente aveva spinto la piccola imbarcazione verso riva e lui si era così trovato coinvolto in un’operazione della quale, da semplice caporale, non poteva sapere alcunché. Utilizzando la radio sequestrata ai due agenti del Soe a Tertenia, il controspionaggio italiano tentò di ingannare la centrale di Algeri dell’intelligence britannica. E qui Adler/Armstrong compì il suo capolavoro, fornendo un mix di informazioni vere e false. Ad Algeri capirono subito che qualcosa non andava e spedirono così un “messaggio trappola”. E cioè che, entro qualche settimana, sarebbe stato spedito in Sardegna un altro agente: nome in codice Pisano. «Ok, saremo felici di accoglierlo» rispose l’operatore del Sim, ignorando che Pisano era il “name of war” di Serra. Era la prova che l’operazione “Moselle” era fallita. Il Soe utilizzò allora quel canale intossicato per far credere che si stava preparando lo sbarco alleato in Sardegna. Tra i documenti sequestrati ad Adler e a Serra c’erano anche i nomi degli antifascisti sardi con i quali i due agenti del Soe avrebbero dovuto prendere contatto. Erano i nomi forniti da Emilio Lussu e da Dino Giacobbe. Gli uomini del Sim arrestarono così a Nuoro Salvatore Mannironi, avvocato cattolico e antifascista che diventerà poi uno dei padri della Costituzione e successivamente sottosegretario e ministro, il fratello Cosimo, che gestiva l’azienda agricola della famiglia, e un mezzadro di Orgosolo, Sebastiano Mereu. Finirono in carcere anche il veterinario Ennio Delogu, originario di Bitti, i pescatori Francesco e Domenico Ogno di Siniscola e la maestra di Orune Margherita Sanna. Furono tutti sottoposti a interrogatori molto duri, ai quali non potevano rispondere per il semplice fatto che non sapevano nulla.I fratelli Mannironi e Mereu furono rinchiusi prima a Cagliari, nel carcere di Buoncammino e poi, dopo i bombardamenti alleati, a Oristano. Successivamente furono trasferiti a Roma, a Regina Coeli, e infine in un campo di prigionia a Isernia, in attesa di essere deportati in Germania. Li salvò un bombardamento degli alleati, che fece crollare i muri di cinta del campo. I tre fuggirono così verso sud. Verso la cosiddetta linea Gustav, dove si fronteggiavano la Wermacht di Kesserling e l’Ottava armata britannica e la quinta armata americana. Fu una marcia terribile e penosa verso la libertà. Mereu, che era rimasto ferito a una gamba durante il bombardamento alleato, fu portato a turno sulle spalle dai due fratelli Mannironi. Di notte i tre riuscirono a superare la linea del fronte e ad arrivare in Puglia. Da Brindisi poterono fare ritorno in Sardegna. Intanto Salvatore Serra, approfittando della confusione creatasi l’11 settembre del 1943 con la proclamazione dell’armistizio, era riuscito a sfuggire al controllo del Sim e si era unito alle formazioni partigiane in Piemonte. Gli uomini del Soe, al seguito delle truppe alleate, lo trovarono a Torino. Qui fu interrogato e raccontò il fallimento dell’operazione “Moselle”, la collaborazione con il Sim e infine la sua fuga sulle Alpi, dove si era unito ai partigiani. Disse che lui e Adler (che Serra conosceva solo come Armstrong) erano stati subito separati e che aveva sentito dire che era rinchiuso nel carcere romano di Regina Coeli. Il giovane ungherese con il volto da bambino finirà i suoi giorni con un colpo di pistola alla nuca il 4 giugno del ’44 nella penombra di un boschetto sulla via Cassia, in una zona detta La Storta, trucidato insieme ad altri tredici martiri del nazifascismo, tra i quali l’ex deputato e sindacalista socialista Bruno Buozzi. Morì proprio il giorno in cui gli alleati stavano entrando a Roma. Nessuno sapeva chi fosse e infatti nella lapide che ricorda il massacro per decenni è rimasta la scritta: “Inglese sconosciuto”.Solo nel 2007, dopo una lunga e complessa ricerca nella quale fu determinante il giornalista investigativo Paolo Pelizzaro, è stato possibile dare un’identità al soldato inglese ucciso alla Storta. «Adesso finalmente sappiamo il suo nome – disse nel marzo di 12 anni fa il colonnello Thomas Huggan, classe 1920, ex carrista ed ex consigliere dell’ambasciata inglese a Roma -. Dopo anni di ricerche, possiamo affermare con ragionevole certezza che si tratta del tenente John Armstrong, inquadrato nei servizi segreti britannici e collaboratore della Resistenza». La sua tomba è nel cimitero monumentale del Verano, a fianco a quella di Bruno Buozzi.Per molti anni, fino alla sua morte avvenuta il 28 gennaio 1976, Ida Olga Borgida ha cercato inutilmente di scoprire cosa fosse accaduto al figlio Gabor.

lA nUOVA sARDEGNA, 5 AGOSTO 2019

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