Destra e terzomondisti assediano il Medioevo, di Amedeo Feniello

 

Il congresso mondiale degli specialisti a Kalamazoo (Michigan) ha segnalato un duplice stravolgimento. Da una parte ci sono i banditori suprematisti delle «nuove Crociate» islamofobe, dall’altra coloro che accusano gli studi su quel periodo di avere un approccio scorretto, eurocentrico e maschilista. Tutte deformazioni favorite dal fatto che, in realtà, il Medioevo non esiste

Un f a nt a s ma s i a g g i r a pe r i l mondo e ha un nome che impaurisce: Medioevo. Corre, questo fantasma, e anima le folle, le riempie di stereotipi su neri orrori, ma anche di illusioni fantastiche. E si insinua, fomentando, ancora oggi, le polemiche. L’ultima, di appena un mese fa, così fragorosa da coinvolgere addirittura il «New York Times», con l’art i col o Medieval Scholars Joust With White Nationalists. And One Another, da tradurre come «Gli studiosi del Medioevo giostrano contro i bianchi nazionalisti. E gli uni contro gli altri». Riassumo.

Lo scenario dello scontro è già di per sé mitico per chi studi il Medioevo: Kalamazoo, nel Michigan, il luogo dove, ormai da parecchi anni, ogni mese di maggio si tiene il Congresso internazionale sugli studi medievali, nel corso del quale, per quattro giorni, migliaia di persone provenienti da pressoché tutto il pianeta si impegnano in seminari, discussioni, performance e after-hours che rendono questo posto il cuore pulsante del medievalismo su scala mondiale, ossia di ciò che uno dei più avvertiti studiosi internazionali del tema, l’italiano Tommaso di Carpegna Falconieri, definisce «un fenomeno culturale che è molto esteso nelle società occidentali», la «proiezione nel presente di uno o più Medioevi trasfigurati, ovvero la rappresentazione postmedievale del periodo medievale».

Che cosa è successo quest’anno? Si sono battuti con asprezza, contro gli storici di professione, due universi, totalmente contrapposti. Da una parte, gli esponenti della destra più oltranzista, che, in genere, traggono da una lettura spesso non fondata e arbitraria del Medioevo alcuni argomenti da sfruttare come clave nelle loro guerre ideologiche (l’articolo, firmato da Jennifer Schuessler, insiste proprio sulla weaponization del Medioevo, il suo uso come arma). Che cos’è per loro questo periodo? È la possibilità di rinfocolare i temi del suprematismo, del razzismo, del disprezzo dell’altro (soprattutto se musulmano), della guerra santa, del tradizionalismo cristiano e così via. Con tutto il loro corteggio di cerimoniali, rievocazioni e simboli pseudomedievali. Come le Crociate, entrate pienamente nel linguaggio di certa cultura: pensiamo alla guerra di George W. Bush contro Saddam; oppure alla campagna elettorale di Trump che, per i suprematisti, è stata voluta da Dio, come se a guidarla vi fossero stati Urbano II e Pietro l’Eremita; fino al massacro compiuto nelle moschee neozelandesi da un assassino convinto di essere un crociato redivivo, cavaliere chiamato a una missione di redenzione.

Dal lato opposto, si affaccia l’altro estremismo. Il congresso di Kalamazoo è infatti diventato lo sfondo per chi, invece, ritiene che il Medioevo, con il suo studio, sia precluso alle minoranze e sia, per sua natura, fondamentalista, maschio e bianco, discriminatorio e irrispettoso delle diversità. Così, un anno fa, è partita negli Stati Uniti la campagna, un po’ sullo stile #MeToo, dei Medievalists of Color, dei medievisti di colore, con un manifesto, firmato da 600 studiosi, secondo i quali esisterebbe una totale «mancanza di interesse o disprezzo verso temi che fossero autocritici ( self-critical) nei confronti degli studi medievali». Con un attacco diretto agli organizzatori del convegno, ritenuti disattenti verso gli studiosi di altre razze, questa è la parola usata, con panel dedicati alle diversità cui «partecipavano solo studiosi bianchi».

Due mondi. E due maniere diverse di affrontare il Medioevo, che diventa non tanto un tema storiografico, ma solo la scure da brandire in uno scontro che va ben al di là della semplice organizzazione di un convegno; e ha pulsioni profonde, ideologiche e preclusive. Temi nei confronti dei quali esercitare le normali forme del dibattito storiografico risulta assai difficile, vista la pertinacia e l’intolleranza di entrambe le posizioni.

La cosa che colpisce però è un’altra. Che il Medioevo si presta assai bene, meglio di altre epoche, a essere impugnato come un tomahawk sia da una parte sia dall’altra. Perché? Perché il Medioevo non esiste. Cioè: esistono i dieci secoli che lo compongono, un enorme bacino di «elementi non necessariamente omogenei tra loro, ma resi tali da processi interpretativi», per riprendere ancora le parole di Carpegna Falconieri. Infatti, che cosa accomuna Carlo Magno a Giovanna d’Arco? E Giotto a un maniscalco della Germania del VII secolo? Niente. Se non un denominatore comune: il Medioevo. Un’invenzione moderna, che comincia a esistere solo dopo la fine del Medioevo. Media aetas è il modo dispregiativo con cui si comincia a guardare quell’enorme coacervo di secoli che separavano, nel Quattrocento, gli Umanisti dalla rotondità dell’età classica. È la parola usata, per la prima volta in modo specifico, nel 1688, dal tedesco Cristoforo Keller, il Cellarius, per distinguere la sua epoca di riforma religiosa dal passato cattolico a cui era ostile. Contro il Medioevo si dispiega la rivoluzione volterriana, del disprezzo verso secoli di superstizione, che era il rifiuto di un’intera società verso le aberrazioni dell’Ancien Règime.

Però, il Medioevo non è solo bruttura. È bellezza, spirito, poesia. La parola giusta quando, dalla fine del Settecento, occorre fornire un’impalcatura storica a motivazioni dottrinali nuove. Se ne impossessano storici come Edward Gibbon. Filosofi, come i fratelli Schlegel. Scrittori, come il poeta Novalis o l’inventore di epopee avventurose Walter Scott. In una bolla che si distende su tempi lunghi e assorbe non solo la letteratura, ma altri campi della cultura: basta ascoltare la musica di Richard Wagner o guardare le dimensioni neogotiche di Eugène Viollet-le-Duc. E del Medioevo si fa man bassa, appena si può.

Senza Carducci che cos’è Alberto da Giussano, «“Or ecco”, dice Alberto di Giussano/ “Ecco, io non piango più. Venne il dì nostro/ O milanesi, e vincere bisogna”»? Senza il post-risorgimento dove sarebbero le nostre repubbliche marinare? Senza Ejzenštejn e Stalin, l’epopea di Aleksandr Nevskij, il vincitore dei Cavalieri Teutonici, avrebbe avuto la stessa fama? Senza Il Codice da Vinci e internet dove sarebbe finita tanta pubblicistica sui Templari? E così via. Perché il concetto di Medioevo si presta: flessibile e modellabile, a secondo dei tempi. Materia utile per tutti, strumentalizzabile per rinnovati razzismi quanto per i sogni di castelli fatati, cavalieri e Il Trono di Spade. Derive spesso irrefrenabili. Sta allora a noi storici tirare le redini. E arrestare queste deviazioni con il nostro metodo di lavoro e il ricorso puntuale alla scienza del documento e alla filologia.

LA LETTURA, 9 giugno 2019

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